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Sciopero per il salario e sciopero per le pensioni: prospettive intrecciate nella lotta delle operaie Vert Baudet a Lille.

Un aspetto presente e significativo del ciclo di lotte che sta attraversando la Francia è la reciprocità tra le possibilità organizzative e di lotta che si trovano nelle composizioni operaie, che già vogliono lottare e modificare le proprie condizioni di lavoro e di vita, e il movimento più generale che si sta dando contro la riforma delle pensioni. Non sempre questi due aspetti si sovrappongono, ma entrano in relazione si intrecciano in maniere per cui vertenze operaie specifiche, solitamente condotte dai sindacati francesi più conflittuali potenziano e ricevono potenza dal piano di contestazione e mobilitazione contro l’impopolare riforma del governo.

Questa intervista si è svolta a Marquette-lez-Lille, un paese del distretto industriale intorno a Lille, nel Nord della Francia, con una operaia della fabbrica Vert Baudet, produttrice di prodotti per l’infanzia, e un sindacalista CGT. Dal 20 marzo sono in sciopero in questa azienda 80 operaie che stanno tenendo un presidio permanente fuori ai cancelli e conducendo una lotta molto dura con l’azienda per avere degli aumenti salariali e contestare le forme di comando, pressione e oppressione sessista nello stabilimento. Negli ultimi giorni il picchetto è stato anche sgomberato dalla polizia e due sindacalisti CGT sono stati arrestati. Ora è in corso di ricostruzione, con le lavoratrici e il sindacato che stanno riprendendo lo spazio e aprendo una campagna contro questa operazione violenta.

Questa lotta non nasce immediatamente dal movimento per il ritiro della riforma delle pensioni, ma vi è intrecciata e può gettare luce sul tipo di bisogni e motivazioni che hanno spinto e stanno spingendo milioni di persone a lottare, senza avere necessariamente esperienze di lotta alle spalle. Allo stesso tempo ha le sue specificità: è una vertenza per il salario, in un territorio non metropolitano ma suburbano e in provincia, condotta da donne che devono lottare non solo contro l’azienda, ma anche in famiglia per rivendicare la propria autonomia di partecipare al picchetto, inventando maniere di socializzare il lavoro di cura dell3 figli3 che molte hanno. La dimensione del picchetto permanente consente di vedere il bisogno di creare nuove forme di socialità, legami, solidarietà, organizzazione del tempo di vita, come un aspetto che nel movimento è presente nelle lotte che hanno espresso più forza e determinazione e che lo Stato ha incontrato e sta incontrando più difficoltà a governare o reprimere.

La prima parte dell’intervista è con una lavoratrice, Jennifer, dipendente operaia di Vert Baudet, che ha raccontato la nascita e lo sviluppo della lotta; le difficoltà incontrate e gli elementi di forza, motivazione e trasformazione soggettiva e personale nel passare dall’alienazione della fabbrica alla vita comune nel presidio; le proprie percezioni e idee sul legame tra quella vertenza e il più generale movimento contro la riforma delle pensioni; le forme di solidarietà che si sono attivate intorno alle operaie e al sindacato, anche in relazione al lavoro di cura.

La seconda parte dell’intervista è con Samuel, sindacalista CGT responsabile della vertenza a Vert Baudet, che a sua volta ha parlato del tipo di lotta che stanno conducendo contro l’azienda, del significato politico di condurre una lotta per il salario nel contesto sociale che è in corso in Francia e del ruolo che può avere l’organizzazione sindacale. Abbiamo anche affrontato punti di forza e difficoltà che il sindacato CGT sta incontrando e ha incontrato e le diverse anime e ipotesi che lo attraversano dall’interno, nonché l’atteggiamento dello Stato contro la società e l3 lavorator3 e le potenzialità per la lotta di classe che questo atteggiamento svela.

I PARTE: INTERVISTA JENNIFER OPERAIA DI “VERT BAUDET” IN SCIOPERO

Come è iniziata la vostra lotta?

Abbiamo iniziato lo sciopero il 20 marzo in seguito alla firma di una trattativa annuale in cui abbiamo avuto lo 0% di aumenti salariali. Lo sciopero è iniziato per queste ragioni: l’aumento salariale e le condizioni di lavoro all’interno della fabbrica, che non sono affatto buone, né fisicamente né mentalmente.

Per esempio, che problemi ci sono?

Per esempio la pressione: subiamo una pressione enorme, ci sono vietate cose che fino a qualche mese prima erano consentite, ci sono atteggiamenti sessisti da parte dei dirigenti e anche la questione delle pensioni, per cui dovremmo lavorare due anni in più senza avere nulla in cambio, tutte queste cose hanno fatto sì che noi adesso siamo qui fuori e siamo arrivati all’ottava settimana di sciopero.

Che tipo di lavoro fate?

Noi facciamo la preparazione degli ordini, l’imballaggio e la spedizione. Riforniamo i magazzini di merci e anche i clienti.

Dopo che avete cominciato lo sciopero, come si è evoluta la lotta fino a oggi?

Abbiamo cominciato il 1 marzo e dopo la prima settimana di sciopero eravamo molto fiduciose, avevamo fatto blocchi totali, non c’era alcun camion che entrava o usciva. Dopo la seconda settimana la direzione ha risposto con delle assegnazioni per cui volevano dare aumenti ad alcune colleghe di 1000 euro per ogni giorno di sciopero [una tantum], la terza e la quarta settimana di sciopero il direttore è sceso al picchetto di sciopero per dirci che se non ci aumentava i salari era perché noi potessimo beneficiare degli aiuti dello stato (CAF). C’è stata anche una riunione con l’ispettorato del lavoro, che non ha dato alcun risultato. I dirigenti Vert Baudet sono arrivati senza alcuna proposta. Da quel momento non c’è stata alcuna altra proposta dell’azienda se non parole negative. Dal lato di noi scioperanti, più passano le settimane è più è evidente il disprezzo della direzione, più per noi la questione non è solo un problema di soldi, ma di principio e di dignità.

L’azienda sta utilizzando anche interinali?

Vert Baudet lo sta facendo ma in Francia non è legale e giovedì scorso è andata di fronte al tribunale. Non è stato ottenuto granché, il tribunale dice che non ha gli elementi. L’appello è stato fatto e aspettiamo il report dell’ispettorato del lavoro.

C’è stata anche la visita della polizia, viene qui ogni giorno, più volte al giorno, si ferma e siamo state anche spostate. Prima eravamo in un altro punto dentro i cancelli ma la seconda settimana la polizia ci ha fatto spostare e non c’è stato giorno senza che ci fossero macchine e macchine di CRSi che fanno i giri per la strada.

Alle scioperanti dicono che sono protette e tutelate, ma in realtà più si va avanti più si capisce che non ci sono altri modi per farsi capire, è veramente difficile farsi ascoltare.

In questo momento, state continuando a fare dei blocchi?

Non abbiamo continuato a fare blocchi. Nonostante i blocchi siano legali, è venuta la polizia in grandi forze per farci spostare. È già difficile farsi ascoltare in quanto salariate, ma in quanto scioperanti ancora di più.

Qual è la composizione di chi lavora qui?

Noi siamo maggiormente donne, circa 80%, molte di una certa età prossime alla pensione. Quando arrivi qua a Vert Baudet inizi con il salario minimo (SMIC) e quando hai terminato la carriera hai sempre lo stesso salario. Tutta la vita lo SMIC. La società Vert Baudet gode di molti benefici ed è la prima volta in 60 anni che i salari non sono aumentati. Non si parla di aumenti enormi, ma è la prima volta che non ci sono aumenti dopo che l’azienda fattura cifre record. Noi viviamo situazioni finanziarie complicate e non possiamo neanche permetterci piccoli sfizi per i nostri bambini, non sono più spese possibili.

Questa lotta è nata in maniera indipendente dal movimento contro la riforma delle pensioni, ma qual è il legame tra la vostra vertenza e il grande movimento in corso?

Necessariamente se ci aumentano i salari si pagano più contributi; dunque, non saremmo obbligate a lavorare due anni supplementari. Noi vogliamo l’aumento dei salari, in primo luogo, ma nei fatti tutto è legato. Se l’azienda, che funziona bene e fattura molto, pagasse meglio le operaie, non ci sarebbe alcun bisogno di aumentare l’età pensionabile. Ogni giorno ci chiedono di fare dei sacrifici, di fare uno sforzo dietro l’altro ma non ci dicono perché e non si vede il senso di fare questi sforzi. Chiedono di fare concessioni, ma intanto prendono, prendono, prendono e non lasciano nulla.

Noi siamo stati aperti anche durante il periodo Covid, quando tutti erano confinati. Molte mie colleghe hanno deciso di continuare a lavorare malgrado il rischio e Vert Baudet ne ha ben approfittato, perché molte altre aziende erano chiuse e Vert Baudet ha recuperato un sacco di clienti e ha fatto grandi affari. Hanno detto tutto il tempo alle salariate che sarebbero state ricompensate alla fine, ma non vediamo nulla. Abbiamo avuto 2 euro in più all’ora di salario in quel periodo e quando il periodo è passato tutto è stato dimenticato.

Quale tipo di solidarietà avete ricevuto dalla società, per esempio di Lille ma anche da lavoratrici e lavoratori di altre fabbriche?

In un primo tempo noi fermavamo le macchine che passavano per la strada e chiedevamo se le persone volessero partecipare alla cassa di sciopero, facendo più di 1300 euro in una settimana. Poi anche la CGT ha aperto una cassa di sciopero, per cui le persone possono inviare soldi, fare collette su internet e questo funziona bene. La spontaneità delle persone contribuisce, ci sono persone che vengono semplicemente perché sono parte del movimento, stanno 1 o 2 ore, donano qualcosa. Poi c’è la CGT e ci sono operai un po’ ovunque che fanno collette nelle loro aziende e le donano.

Una fabbrica che ci ha molto aiutato è stata la fabbrica di fronte, poi la società Ikea qui a fianco che ci ha consentito di andare in bagno e così un’altra fabbrica qui vicino.

Ancora oggi al picchetto ci sono tantissime persone, la solidarietà è incredibile. Non ce l’aspettavamo. Anche se il tempo che passa si fa sentire e vediamo l’impatto che ha su tutte, è meraviglioso vedere il sostegno che riceviamo; reggere otto settimane è complicato. Ci sono momenti di gioia e abbiamo avuto modo di conoscerci tanto durante il picchetto, cosa che è complicata quando sei dentro la fabbrica perché non c’è socialità lì dentro. Quindi abbiamo avuto modo di scoprire le nostre colleghe e vedere che non viviamo in un mondo individualista. Prima pensavo che vivessimo in un mondo individualista, ma al picchetto di sciopero vedi che non è così, che la solidarietà esiste sempre.

Qual è la vita quotidiana al picchetto di sciopero?

In settimana stiamo qui tutto il tempo dell’orario di lavoro, ma anche prima e dopo e ci organizziamo per il weekend, perché il picchetto dura giorno e notte, da lunedì a domenica. Dunque c’è tutta una organizzazione. Dopo la prima settimana ci siamo ben coordinate per organizzare i pasti, la musica, il karaoke, creare bei momenti di convivialità. Ci sono momenti di pioggia, non è sempre facile e c’è anche lo sconforto a volte. Otto settimane non è facile, è faticoso, anche rispetto alle nostre famiglie.

Come siete organizzate rispetto a lavoratrici che hanno bambini/e, per far sì che tutte partecipino?

La settimana scorsa ero sola, ma lo scorso weekend ho portato mia figlia di sei anni al picchetto, in modo che vedesse e provasse a capire, così che le possa servire più avanti nella vita. Penso che non ci sia nulla di male a portare qui i nostri bambini, ci serve anche per poter stare con loro. Questa lotta implica grandi concessioni psicologiche, siamo molto prese mentalmente dal picchetto; quindi, quando rientriamo a casa è difficile essere veramente consacrate alla nostra famiglia. Per questo cerco di farla venire il più spesso possibile; poi ci sono anche cose organizzate da persone esterne: abbiamo avuto un concerto, un piccolo festival, tutte attività per i bambini. Molte persone vengono apposta nel weekend, c’è un gruppo musicale che viene la domenica, abbiamo avuto anche lezioni di musica. Non organizziamo tutto noi scioperanti, molte altre attività sono organizzate da altre in modo che noi possiamo passare meglio il tempo con i nostri figli, le colleghe, in modo da vivere bei momenti, guardarci col sorriso perché siamo fiere di noi stesse. E siamo fiere quando vediamo che c’è una così come venticinque persone da fuori.

Le famiglie quindi sostengono la lotta?

Sì, almeno per quanto mi riguarda. Non è facile per tutte, è una doppia battaglia: battaglia sul picchetto e battaglia a casa per far comprendere le proprie idee. Io ho la fortuna di avere un compagno che mi comprende e mi sostiene e di avere mia figlia con me e di mostrarle che cosa succede.

Ci sono mai stati degli scioperi a Vert Baudet e se sì come sono stati?

Io lavoro a Vert Baudet da 11 anni e ho lavorato 4 anni alla logistica. Ci sono stati degli attriti con la direzione per cui siamo uscite dalla fabbrica per una o due ore, per manifestare il nostro scontento, ma non siamo mai andate oltre questo, mai. Quest’anno è una grande prima volta per tutte, ci sono donne che lavorano qua da 30 anni e non hanno mai scioperato contro l’azienda. Noi siamo con la CGT, ma il sindacato maggioritario è FO e c’è anche la CFDTii. Sul picchetto c’è soltanto la CGT, mentre gli altri due hanno firmato l’accordo che dava 0% di aumenti. Abbiamo avuto pressioni anche da parte loro per accettare.

Che relazione c’è tra lavoratrici in sciopero e altre che lavorano?

Noi siamo circa 300 ma di queste 300 molte sono capi e quadri. Quindi in percentuale c’è il 65% di salariate in sciopero. Quello che vogliamo con la nostra lotta è l’aumento del salario. La direzione ha cercato di fare sì che scioperanti e non scioperanti litighino. Raccontano loro quello che vogliono e il loro obiettivo è rompere il legame tra le due parti. Anche prima dello sciopero era già così dentro la fabbrica: dividono tutte, ogni servizio è ben separato, perché così possono prevenire gli scioperi. Ora stanno cercando di interrompere lo sciopero prendendo in ostaggio le scioperanti. La direzione è molto dura, non era così anni fa, è il nuovo direttore del sito.

L’azienda è di un gruppo europeo di azionisti che lo possiede. Quando un’azienda è di proprietà di azionisti è complicato ottenere qualche cosa. Ma tra qualche cosa è nulla, c’è una grande differenza, enorme.

Che percezione avete avuto da qui del movimento contro la riforma delle pensioni, come l’avete vissuto?

Va detto che Vert Baudet è l’immagine dello Stato. Qui è l’aumento dei salari, lo Stato è la questione delle pensioni. Noi scioperanti non siamo ascoltate, e così anche il popolo non è ascoltato. Sono diverse settimane che le persone manifestano, mostrando che non sono d’accordo, ma lo stato va avanti sulla sua linea senza fare caso a noi.

Secondo te ci sono state differenze nella lotta in territorio più di provincia e nelle aree metropolitane molto grandi, come Parigi?

Penso sia lo stesso da tutte le parti. La Francia sta vivendo la stessa cosa. È vero che come regola generale, le cose si vedono di più su Parigi, ma anche nelle città piccole e nei paesi si manifesta, e preferiamo manifestare rimanendo nelle città piccole piuttosto che andare tutti a Parigi, anche per paura della repressione e degli interventi della polizia. Io ho fatto due manifestazioni e comunque c’è ancora timore, per tutte le informazioni che arrivano di manifestanti feriti o che passano le notti in caserma.

Come dicevo prima, stiamo sempre a fare concessioni e concessioni, senza sapere mai perché le facciamo. Come vedete non riusciamo a soddisfare i nostri bisogni lavorando e in più ci chiedono di lavorare di più. Non ha nessuna logica questo, tanto più che noi sappiamo che la ricchezza c’è. Perché noi dobbiamo fare ancora sacrifici, quando si potrebbe fare altrimenti? Quando basterebbe che alzassero i salari? Ciò permetterebbe a noi di vivere meglio e se viviamo meglio possiamo anche essere più produttive e non dovremmo lavorare due anni di fa. Penso che sia assolutamente legittimo avere le reazioni che ci sono ora Francia. È necessario che lo sciopero serva da esempio. È complicato e difficile, difficile per il morale, a livello finanziario, più tempo passa più cose succedono e meno c’è una prospettiva sulla nostra vita. È complicato ed è lo stesso a livello nazionale, per noi salariati è difficile proiettarsi nel futuro.

Nella dimensione dello sciopero e del presidio permanente che cosa vi dà forza e motivazione?

La solidarietà e la socialità che avevamo dimenticato tra colleghe: prima era “buongiorno”, “come va” e finiva lì. E non si guardava veramente se l’altra persona stava bene. All’interno della fabbrica non è possibile. Quindi abbiamo avuto dei momenti super positivi. La solidarietà di cui parlavo prima ha portato a festival, concerti, della gente è venuta a fare le crepes. Ma resta comunque difficile: è stancante, vediamo poco la famiglia, è complicato progettare. Oggi c’è la riunione con la direzione per la negoziazione, noi siamo piazzate qua, ma non sappiamo come andrà. Ma per me la battaglia deve andare avanti ancora. Non ho totalmente fiducia in quello che accadrà oggi [trattative], so che si apriranno dele possibilità, ma non so se cambierà qualcosa. Siamo all’ottava settimana di sciopero e con tutto quello che la direzione ci fa subire non è facile dire se otterremo necessariamente grandi risultati. Sembra paradossale perché io credo alla nostra lotta, ma è più una questione di principio e di dignità che di soldi.

È un sentimento diffuso?

Si si, penso che tutte la pensino così. Anche se non ottenessimo grandi cose, psicologicamente saremmo preparate a rientrare in fabbrica. Perché ciò che è detto e fatto non si dimentica, il loro comportamento è troppo duro per essere dimenticato. È complicato dare delle prospettive da questo punto di vista.

i Corpo di polizia antisommossa francese.

ii Sono altri due sindacati francesi: FO (Force Ouvrière) e CFDT (Confédération française démocratique du travail).

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