Discutere di reddito, ribaltare la narrazione sull’emergenza
Nel perdurare dell’isolamento di massa imposto dal governo Conte-bis in seguito allo scoppio dell’epidemia di Covid-19, la posta politica in gioco in questa nuova e inaspettata fase che si è aperta si rivela sempre con maggiore ampiezza. Approfondendosi con la continua entrata in gioco di nuovi conflitti, di pari passo con lo scorrere del tempo. Preannunciato dalle agitazioni nelle carceri e nelle fabbriche, rivelatori delle differenze profonde sul terreno di classe rispetto al diritto alla salute, lo scontro in merito agli effetti di questa crisi sanitario-economica si sta attestando sul piano della riproduzione sociale in senso ampio.
Una grande parte della popolazione inizia a fare i conti con la fragilità della propria costituzione esistenziale ed economica, a cavallo tra le difficoltà a sostenere nel lungo periodo le stringenti disposizioni governative e quelle nel far quadrare i conti, tra affitti, bollette e non solo. La crisi si sente con ancora maggior forza nell’ambito del lavoro nero, tendenzialmente azzerato dallo scoppio della pandemia, con le ovvie ricadute sulla tenuta di un sistema sociale dove ad emergere è in particolare la condizione di quel Meridione già vessato da forme strutturali di impoverimento. Le scene viste di fronte ai supermercati, la rabbia montante rispetto alle insufficienti misure del governo sembrano segnalare l’esistenza di qualcosa di molto diverso rispetto ai primi giorni. Non si canta più sui balconi, è palese che non andrà tutto bene, è sempre più chiaro come non tutti siano sulla stessa barca. Le stime sui milioni di disoccupati che verranno creati da questa crisi sono inquietanti.
Dal punto di vista dei movimenti la fase in corso sembra poter mutare radicalmente alcune delle coordinate politiche a cui ci si era abituati. In particolare, ponendo con forza il tema di uno strumento come quello reddito universale slegato dal lavoro. Non interessa aprire questo ragionamento a partire dalle dichiarazioni di politici in questo senso, che pure significano qualcosa, trattandosi di compagini al governo. Piuttosto, preme farlo assumendo la doccia fredda che il Covid-19 sta rappresentando per molti, instillando un’assunzione collettiva dell’enorme precarietà della propria vita di fronte a questo assetto sociale turbo-capitalistico che mai è stato così fragile dal tempo della Seconda Guerra Mondiale.
A quel tempo, la strategia delle democrazie occidentali, spaventate dalla possibilità di un trionfo del modello sovietico su scala globale, fu rispondere alle straordinarie mobilitazioni sociali dell’epoca con quel welfare state poi messo in ginocchio da quarant’anni di controrivoluzione neoliberista. La diffusione dell’individualismo proprietario spinto alla massima potenza, la retorica del There Is No Alternative e della scomparsa della società di thatcheriana matrice portarono ad una profonda atomizzazione delle società. Fino all’odierno tutti contro tutti, corroborato anche dalla serie di riforme precarizzatrici soprattutto negli anni Novanta e Zero, in seguito alla caduta del Muro e all’ipotesi della “fine della storia”. Se la crisi del 2008 aveva messo le prime crepe in questo impianto, mettendo in luce quanto questa dittatura del mercato si fondasse sul ruolo di supporto dello Stato ( che infatti salvò i profitti delle banche sacrificando sul loro altare le persone), quanto sta succedendo nel 2020 riapre la contraddizione.
Il nuovo contesto è però uno in cui scaricare sulla popolazione i costi della crisi rischia di mettere KO la stessa sostenibilità del sistema. Attraversato allo stesso tempo da una profonda crisi di stampo ecologico, che è direttamente responsabile anche della nascita e della propagazione del virus. Si apre di conseguenza uno spazio politico, letto in chiave riformista da alcune punte avanzate della socialdemocrazia occidentale (ad esempio negli Usa), su nuove forme di redistribuzione della ricchezza. Nulla più di vecchie formule keynesiane, che mostrano però la difficoltà delle elites di poter procedere come fatto finora. E in cui ciò che sembrava prima difficilmente credibile assume una luce nuova.
Stante questo quadro politico, la rivendicazione di un reddito universale incondizionato sembra assumere lo status di una rivendicazione capace di parlare a moltissimi. Rendendo dunque utile aprire il dibattito sul fatto che possa costituire una proposta sulla quale incentrare importanti sforzi politici e comunicativi nei prossimi tempi.
Negli scorsi anni era infatti decisamente difficile immaginare questa possibilità. Non tanto poiché criticabile nel merito, quanto perchè molto distante dai vissuti e quindi dalle possibilità di attivazione del corpo sociale. Non si intravedeva alcun blocco sociale disposto a pensare credibile una tale proposta, a spendersi in tal senso. Oggi però, con l’aggravarsi della crisi, sembra pacifico immaginare prospettive differenti sul tema. Tali da permettere di inserire questa ipotesi nel campo delle possibilità concrete su cui sperimentare una prassi politica in futuro.
Un approfondimento a partire da questa assunzione. Dal punto di vista della battaglia culturale, della narrazione su ciò che è stato e di ciò che sarà, una grossa differenza in questi giorni la sta facendo la questione dell’emergenzialità. Sul piano comunicativo e politico diventa necessario assumere un ribaltamento della sua logica, invece che subirla come dispositivo terrorizzante. Emerge la necessità di affrontare l’emergenza con un atteggiamento reattivo, contendendo alla controparte la definizione del suo orizzonte temporale.
Da parte dello Stato, gli strumenti che stanno venendo varati puntano ad essere straordinari, pensati non oltre questa fase transitoria. Risulta importante assumere invece, al contrario, una lettura dell’emergenza come permanente, e quindi a rischio di costante ripetizione, in mancanza di risposte adeguate. E immaginare dunque di pretendere misure di carattere universale e continuativo, invece di rischiare di invischiarci da soli in un discorso sul contingente, il quale potrebbe sciogliersi come neve al sole una volta che questo periodo di isolamento sarà finito. Se, come ovunque sentiamo ripetere, nulla sarà come prima, il domani dovrà essere affrontato in maniera completamente differente.
In ultimo è importante sottolineare come nè il governo nè l’opposizione sembrino in grado di raccogliere per davvero il sostegno popolare. In questo sembra avere avuto un ruolo la tenacia del governo, come del resto della finta opposizione, nel difendere a tutti i costi in maniera evidente i propri comuni padrini di Confindustria, nonostante fosse sempre più chiaro che ai sacrifici dei molti non si accoppiassero quelli dei pochi più ricchi. E già si parla di ripartire con la produzione. Inoltre, i dati emersi sull’incredibile diseguaglianza nella distribuzione dei redditi per la quale tre persone posseggono il 10% della ricchezza totale, mostrano che anche il tema di una requisizione delle risorse, della patrimoniale, in un contesto di crisi prolungata potrebbe essere oggetto di largo consenso.
Come in ogni crisi gli schieramenti si delineano con maggiore chiarezza. Se questo non è strano da parte padronale, ora come ora abbiamo la necessità di immaginare un orizzonte comune di senso per chi si trova dalla parte opposta. Il reddito universale incondizionato può essere l’ipotesi da promuovere, oggi come domani, in vista di quello che sarà un contesto fortemente cambiato rispetto al prima? Riteniamo questa domanda particolarmente rilevante nel momento in cui, al netto di molte ambivalenze ancora oggi non del tutto decifrabili nella loro complessità, un orizzonte di possibile sembra tornare a manifestarsi.
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