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La logistica si ferma: “A casa a salario pieno”

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La situazione attuale di magazzini e corrieri e l’appello del SI Cobas

Da giorni ormai mobilitazioni e blocchi scuotono anche il comparto della logistica dove le aziende non sembravano prendere sul serio la necessità di misure drastiche per la salute dei lavoratori e il contenimento della pandemia. I sindacati maggioritari nel comparto, S.I. Cobas e ADL Cobas, hanno da subito dato copertura all’iniziativa operaia aprendo lo stato d’agitazione e indicando che la salute viene prima dei profitti. Tuttavia sembra che il ruolo sociale dell’impresa sia una finzione che esiste solo nelle aperture delle assemblee dei soci delle cooperative, dove i dirigenti percepiscono stipendi faraonici, o nelle slide delle multinazionali del settore, ma che raramente si traduca in un impegno concreto. Dopotutto nel frangente attuale si evidenzia senza appello come questa si configuri come una frattura insanabile: dove ci sono profitti e sfruttamento non può esserci una presa in carico della società nel suo complesso. Nel settore della logistica in questi giorni tutto ciò è stato lampante. La linea di classe si è presentata in tutta la sua durezza. Mentre negli uffici di alcune committenti si distribuivano kit di sanificazione personale all’avanguardia, si procedeva al telelavoro e si davano permessi extra per accudire i bambini rimasti a casa da scuola, in magazzino e sul furgone il business doveva continuare as usual. Quel trattamento discriminatorio antiproletario, debordante nel razzismo, nei confronti di questa classe operaia multinazionale che si muove nella logistica, emerge dunque anche dentro questa emergenza. In altre situazioni la trascuratezza verso gli stessi impiegati della committente si traduceva nella mancanza totale di controllo sull’applicazione delle misure di sicurezza in magazzino da parte del fornitore dove le situazioni di rischio sono maggiormente amplificate dal carico/scarico delle merci e dal gran numero di addetti impiegati. Inoltre, ci sono appalti in cui le donne, su cui sta ricadendo con più forza il peso delle cure parentali, devono mobilitarsi per avere i permessi pagati per stare a casa con i figli. Dove non c’è capacità mobilitativa e copertura sindacale, le donne, ancora una volta, devono arrangiarsi. E in questo non possiamo non vedere una discriminazione di genere su cui vengono scaricati i costi della pandemia. Per gli uomini una simile richiesta non è neanche presa in considerazione. Alla faccia del ruolo sociale dell’impresa appunto.

In tutto ciò si è aggiunto il decreto del governo guidato da Giuseppe Conte che ha definito quelle che sono alcune attività produttive essenziali, ma che ha concesso, sotto pressione di Confindustria e Alleanza delle Cooperative (e con il cedimento annunciato dei Confederali) la continuazione dell’attività a tutti i settori produttivi, a patto che provvedessero alla messa in sicurezza dei lavoratori e degli impianti. Ma qui sono state proprio le lotte operaie a indicare il nonsense di questa risoluzione. Semplicemente non è possibile continuare le attività in piena sicurezza, non è possibile adeguare gli impianti alle misure di contenimento del virus, non è possibile avere l’equipaggiamento adeguato per garantire la salute sul posto di lavoro.
Da un lato i magazzini sono luoghi dove mantenere le distanze tra lavoratori è quasi impossibile, dall’altro i disastrosi tagli alla sanità degli ultimi anni hanno fatto si che il governo stia rincorrendo con misure emergenziali la carenza di dispositivi di protezione individuale adeguati (e le aziende non li trovano sul mercato o non sono disposte a spendere cifre importanti). Infine i corrieri che si muovono nel reticolo dei territori, entrando in contatto con decine di persone ogni giorno, sono un veicolo perfetto per la diffusione del virus. Come nelle fabbriche metalmeccaniche la consapevolezza dell’ingiustizia sociale prende corpo: “Non siamo carne da macello”.

La lotta, dunque, non poteva più limitarsi a invocare correttivi e misure tampone. Da lunedì S.I. Cobas e ADL Cobas hanno lanciato la parola d’ordine dell’astensione dal lavoro per giustificato motivo oggettivo. Comunicato qui: http://sicobas.org/2020/03/16/comunicato-anche-noi-vogliamo-restare-a-casa-non-siamo-carne-da-macello-diritto-alla-vita-e-dovere-di-preservarla-per-tutti/.
I lavoratori e le lavoratrici devono stare a casa perché non sussistono le condizioni di sicurezza sui posti di lavoro. Se il motivo è oggettivo i lavoratori devono percepire il pieno salario. Reddito di quarantena garantito. Anche andando caso per caso diventerà impossibile per i padroni dimostrare il contrario. La battaglia è cominciata: nessun modello Ilva per gli operai! I 100 euro in più del governo per chi continua a lavorare nel mese di marzo puzzano di morte. Se il governo definisce attività non essenziali quelle della logistica perché diventa essenziale andare al lavoro? Perché mettere a rischio sé e la comunità andando al lavoro se l’indicazione sanitaria è stare a casa?

Se i padroni mettono i profitti davanti alla vita, gli operai della logistica si stanno facendo carico della salute pubblica. Le attività non essenziali devono chiudere immediatamente. Se Amazon, ad esempio,  dichiara un picco della sua attività legato alla diffusione delle misure di contenimento del coronavirus e si dichiara pronta addirittura ad assumere nuovi lavoratori qualcosa non va. La chiusura dei negozi e la difficoltà ad uscire di casa stanno portando ad un picco delle consegne a domicilio, ma questo non può andare a discapito della salute dei lavoratori che spesso non godono di nessuna tutela. Accade ad Amazon dove l’atteggiamento antisindacale è di casa – ma nell’hub di Castel San Giovanni a Piacenza è ora in corso uno sciopero – ma anche ai rider, categoria che, tra le nuove professioni nate con la platform economy, è forse la più selvaggiamente sfruttata.

Un capitolo a parte meriterebbero le condizioni di lavoro nella attività definite essenziali come filiera dell’alimentare, Gdo e sanità. In questi comparti condizione operaia, comando di fabbrica, precarietà e tagli al welfare si intrecciano in un mosaico di contraddizioni in cui la pandemia sta facendo emergere su quali soggetti vengono scaricati, anche in termine di vite umane, i costi dell’attuale crisi sanitaria.

Riprendiamo dal facebook del S.I. Cobas i magazzini attualmente chiusi grazie all’astensione generalizzata dal lavoro (si tratta di un elenco ancora provvisorio):

Sda Milano 3
Sda Milano 1
Sda Milano 4
Sda Stradella
Fercam Novara
BRT Mecenate
BRT Landriano
BRT Albairate
BRT Bovisa
BRT Liscate.
DHL Liscate
SDA Cuneo
SDA Novara
SDA Alessandria
SDA Biella
TNT Como
GLS S. Giuliano
SDA Bergamo
ALA Logman Srl
BRT Albairate
GLS Rho
Ceva Lazzate
SDA Bologna corrieri
BRT Cesena
Facility Bergamo
BRT Sedriano
XPO Pontenure
TNT Milano 6
TNT Milano 10
TNT Settala
SDA driver Bologna
SDA Hub Bologna
Cantieri 2 Torri Bologna (3 magazzini)
Assaboloy Bologna
TNT Ancona
BRT Ancona
BRT 093 Cazzago San Martino (BS)
BRT Pontedera
GLS Campi Bisenzio
GLS Sesto Fiorentino
TNT Calenzano
TNT Fiano romano
TNT Salone
TNT Cinecittà
SDA RM1
SDA RM2
SDA RM Hub
SDA L’aquila
GLS Riano
TNT Teverola
MULTISERVICE Napoli e Caserta
SIM Salerno
ESAF Scarl Benevento
ANC Costruzioni Avellino
Asia Napoli
Di Gennaro Spa Napoli
SDA Modena
TNT Genova
BRT Roveri Bologna

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