Povertà: l’ascensore sociale è rotto, vogliamo scendere
Secondo i dati del rapporto Caritas dedicato alla trasmissione del disagio economico di generazione in generazione, tra i nati a cavallo degli anni ’80 la quota di chi si impoverisce è la più alta di sempre.
“Per i nati tra il 1972 e il 1986 la quota di chi sperimenta una mobilità verso il basso (26,6%) è tale da superare i livelli registrati da tutte le generazioni precedenti, inclusa quella più anziana dei nonni” e per quanto riguarda i più giovani “la quota di chi sperimenta una mobilità discendente supera la quota di chi, al contrario, ne sperimenta una ascendente, marcando così una profonda discontinuità nell’esperienza storica compiuta dalle generazioni nel corso di tutto il XX secolo”. Queste sono alcune delle tendenze individuate dal rapporto della Caritas sulla mobilità sociale.
Non solo immobilismo sociale dunque, ma un vero impoverimento di massa delle generazioni più “giovani”. I casi di povertà intergenerazionale (cioè quelli in cui si eredita una condizione di disagio economico) sono del 59% e nelle Isole e nel Centro si arriva addirittura al 65,9% e al 64,4%.
E la situazione non può che peggiorare infatti, nonostante il forte aumento del PIL, nel 2021 la quota di nuovi poveri è cresciuta del 42% e per quanto riguarda il 2022 i dati raccolti fino ad oggi “non preludono ad un ridimensionamento della povertà, tutt’altro: da gennaio ad oggi il numero delle persone seguite ha superato il totale di quelle aiutate durante l’intero anno 2019”.
I dati mostrano con evidenza che non si tratta di fenomeni congiunturali, ma che sono tendenze strutturali del capitalismo italiano che vivono un’accellerazione a causa della pandemia, della guerra e della recessione economica.
Il nostro paese si basa su un modello di sviluppo in gran parte parassitario, fatto di piccole e medie imprese, di estrattivismo, di basso valore aggiunto e ipersfruttamento della forza lavoro. Un pantano in cui i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri non vedono alcuna via d’uscita dal tunnel. E’ significativo in questo senso anche l’impatto diseuguale dell’inflazione sulle famiglie, infatti per i poveri l’aumento dei prezzi è pari all’11,6% mentre per i più ricchi si ferma al 7,6%. “Poiché i beni incidono in misura maggiore sulle spese delle famiglie meno abbienti e viceversa i servizi pesano maggiormente sul bilancio di quelle più agiate“, spiega Istat, “l’inflazione è in accelerazione per tutti i gruppi di famiglie ma continua a registrare valori più elevati per le famiglie del primo gruppo rispetto a quelle del quinto”.
E’ evidente che questo sistema distrugge la ricchezza, le possibilità e le capacità delle classi più povere a favore di un mantenimento del privilegio per quelle più ricche. Le migrazioni di massa dei giovani, il lavoro povero, la desertificazione dei territori per favorire il profitto sono alcune delle manifestazioni di questo meccanismo. Nonostante ciò basta nominare l’estensione del Reddito di Cittadinanza e la richiesta di un salario minimo decente per generare nei giornaloni, nei politici e negli imprenditori sdegno e indignazione.
L’ascensore sociale è rotto, ma non si tratta di un guasto momentaneo, e nessuno si scusa per il disagio. Vogliamo scendere da questa giostra al massacro e pensare un modello di sviluppo diverso.
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