Ancora Trump, non stupitevi
Ad un primo sguardo superficiale queste elezioni negli Stati Uniti sono state un replay di quelle del 2016. Trump vince nonostante le previsioni dei sondaggisti più autorevoli.
Vince nonostante in questi anni sia stato dato per finito diverse volte: dopo i fatti di Capitol Hill, per i suoi guai giudiziari e la sua retorica politicamente scorretta. Vince nonostante per lungo tempo sia stato considerato dagli strateghi democratici l’avversario migliore, quello apparentemente meno presentabile.
Ancora una volta le illusioni autoindotte della sinistra liberal si schiantano contro la realtà brutale.
Qualcosa invece è cambiato dal 2016. Nel frattempo il trumpismo è mutato nella direzione opposta a quelli che molti commentatori si aspettavano: la coalizione trumpiana si è estesa in alto ed in basso, è diventata un “gioco di squadra” con figure quali Elon Musk e JD Vance ad affiancare Trump e a garantirne la successione.
A differenza del 2016 Trump non vince solo nei collegi elettorali, ma anche nel voto popolare, sottraendo un argomento ai democratici, ma soprattutto dimostrando che la sua presa nel paese si è allargata, tra l’altro in un contesto in cui l’affluenza alle urne sembra essere stata significativa. Bisogna essere cauti con l’analisi dei flussi elettorali al momento, ma a quanto pare rispetto al 2016 i repubblicani avrebbero incrementato il loro consenso tra le minoranze ed i giovani maschi bianchi, nonché consolidato la presa sul popolo core del trumpismo: le aeree rurali, la working class bianca e quel variegato popolo della piccola borghesia americana che lo segue da tempo.
Non una gara testa a testa, ma una debacle totale per i democratici, che perdono al momento con una distanza di circa cinque milioni di voti (ed in tutti e sette gli swing states). Nel 2020 Biden aveva sopravanzato Trump di circa sette milioni di voti.
Nel nostro editoriale della scorsa settimana avevamo già sottolineato le significative debolezze della campagna democratica che vanno ben al di là della scelta di Kamala Harris come candidata. In termini di analisi sarà importante nei prossimi giorni focalizzare alcuni fenomeni:
- Quanto ha contato realmente il genocidio di Gaza in queste elezioni? Gli stati chiave con grosse comunità arabo-americane sono andati a Trump e bisognerà guardare anche ai dati dell’affluenza per quanto riguarda i giovani. Come abbiamo visto il dibattito nelle università USA e in generale tra gli ambienti a sinistra del Partito Democratico sull’opportunità di non votare in segno di protesta per la complicità statunitense nel genocidio è stato significativo.
- Più in generale quanto ha pesato la particolare stanchezza di guerra dell’impero? Trump nel suo discorso della vittoria non ha mancato di sottolineare, assieme alle evocazioni di una nuova epoca dell’oro e del pugno duro sulle migrazioni, il fatto che non inizierà nuove guerre e concluderà quelle in corso. Ha avuto un’importanza questa posizione trumpiana rispetto al voto dei giovani maschi bianchi?
- Come è andato il voto delle donne? I risultati dei referendum sull’aborto che si svolgevano in alcuni stati dell’Unione sono contrastati. Anche in questo campo i democratici hanno avuto una performance inferiore alle aspettative o come nel 2016 sarà da qui che partirà l’opposizione a Trump?
Ciò che è evidente in queste elezioni è stato il peso delle politiche economiche dell’amministrazione Biden. Insistiamo: sebbene i dati macroeconomici vadano bene ad essere stata determinante non è una “percezione” degli elettori di condizioni economiche peggiori, ma la reale disuguaglianza nella distribuzione delle ricchezze. Una candidata di establishment come Kamala Harris, che sostanzialmente sull’economia non è stata in grado di proporre nessuna visione, se non una rivendicazione dei risultati dell’amministrazione Biden, ha di fatto consegnato il voto di una parte consistente dei settori popolari nelle mani dei repubblicani.
A sinistra la vittoria di Trump getta un’aria ancora più opprimente e depressiva, ma “i fatti hanno la testa dura”: è evidente che se non si affrontano seriamente i nodi che sono all’origine dell’ascesa dell’internazionale sovranista in tutto il mondo, non si possono trovare nuovi riferimenti per praticare una trasformazione radicale dello stato di cose presenti. Il continuo negazionismo che affligge la sinistra che a seconda dell’occasione attribuisce questi fenomeni alla diffusione di fake news, al tasso di scolarizzazione dei votanti, al millenarismo sempre più diffuso, impedisce di vedere che le premesse sono molto più materiali e concrete (e potenzialmente contendibili).
Al di là delle considerazioni a caldo sono molte le domande su cui dovremo riflettere nei prossimi giorni: di cosa sarà fatto il secondo corso del trumpismo? Vi sarà un reale disimpegno in Ucraina o le pressioni dell’establishment saranno in grado di invertire le promesse elettorali? Trump darà effettivamente carta bianca ad Israele non solo nella perpetuazione del genocidio, ma anche nell’ampliamento di una guerra regionale contro l’Iran? E ancora quali saranno i risultati delle politiche protezioniste che ha rivendicato sull’Europa e come i suoi alleati dell’internazionale sovranista in UE ed in Italia si riposizioneranno di fronte a questa vittoria?
Le domande sono molte e per nulla semplici. Anche nel campo dei movimenti sociali dove l’opposizione alla guerra di Israele potrebbe assumere nuovi compiti e caratteristiche alla luce di queste elezioni a fianco ad una mutata composizione del lavoro che mostra delle timide effervescenze e che è in una certa parte sovrapponibile sul piano politico con settori dell’elettorato trumpiano.
Ciò che è certo è che la polarizzazione all’interno degli Stati Uniti non è cessata, ma è destinata a crescere e magari ad assumere forme diverse da quelle attuali.
Intanto, per una comprensione delle origini del fenomeno consigliamo la lettura del nostro dossier a puntate sui fatti di Capitol Hill “Un oggetto misterioso? Ad un anno dall’assalto a Capitol Hill” in cui erano presenti alcuni spunti di riflessione ancora attuali:
- Prima puntata: Un oggetto misterioso? Ad un anno dall’assalto a Capitol Hill
- Seconda puntata: Ad un anno dall’assalto di Capitol Hill pt 2. Le origini della crisi, le origini del conservatorismo sociale
- Terza puntata: Ad un anno dall’assalto di Capitol Hill pt 3. Lo spartiacque della crisi del 2008
- Quarta puntata: Ad un anno dall’assalto di Capitol Hill pt 4. Di che materia era fatto il trumpismo?
- Quinta puntata: Ad un anno dall’assalto di Capitol Hill pt 5. La polarizzazione
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