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Torino, picchetto antisfratto. Testimonianza di un’ordinaria follia

“Bene, adesso racconto la mia parte di questa storia, perchè io sono fra i 17 fermati. 
Ore 9,30 circa. Cammino in via S.Anselmo per andare in ufficio. All’angolo con via S. Pio V sosta, come ogni giorno, la camionetta di militari che presidia la Sinagoga. Improvvisamente sento provenire dalle mie spalle grida, rumori e voci di megafono, quindi mi volto e vedo poliziotti in assetto anti-sommossa che caricano dei ragazzi che scappano, alcuni nella mia direzione. Onde non trovarmi in mezzo alla carica, siccome so che non è prassi delle forze dell’ordine fare molta differenza in quelle situazioni, corro anch’io. In men che non si dica uno dei militari che sostavano davanti alla Sinagoga mi corre incontro con manganello alzato e in posizione per colpirmi e mi ordina di fermarmi. Dico che io stavo passando di lì per andare al lavoro, che ho corso perché mi sono spaventata, ma a nulla serve. Vengo fermata assieme a due ragazzi fuggiti in via S. Anselmo e ci fanno consegnare i documenti e aspettare. Intanto i ragazzi mi raccontano che stavano presidiando contro uno sfratto e la carica è partita pressoché immotivatamente. Non posso verificare questo racconto, ma temo che nemmeno quello che riporta Repubblica sia stato verificato, o sbaglio? Dopo poco arriva un gruppo di poliziotti in assetto antisommossa, chiamati probabilmente dai militari, con altri fermati. Si fanno consegnare i nostri documenti dai militari e quelli degli altri ragazzi, con atteggiamento, diciamo, poco simpatico. Qualcuno chiede di parlare col suo avvocato e c’è una discussione. Ci tengono lì per un po’, poi ci dicono che devono portarci in via Berthollet e veniamo scortati a piedi, non più di dieci persone da circa il doppio di poliziotti bardati, di cui una non perde l’occasione di commentare ad alta voce e con tono strafottente le nostre ‘brutte facce’. In via Berthollet ci sono altre persone fermate e altra polizia, varie camionette. Dopo un po’ ci dicono che dobbiamo salire sulle camionette per andare al commissariato di corso Tirreno ed essere identificati. Premetto che è chiarissimo fin da subito che io passavo di lì per caso, i ragazzi non mi conoscono (a parte uno conosciuto in altri contesti) e solidarizzano apertamente con la mia sfiga. Io con loro, peraltro. Comunque salgo su una camionetta assieme a due, prima salgono tutti gli ufficiali (una decina) e si siedono comodamente sui sedili, noi per terra, uno in mezzo al corridoio tra i sedili e gli altri due di fronte alle due file di sedili. Si chiude il portellone e si sfreccia via a sirene spiegate. Chiedo se posso telefonare, perchè prima ho avvisato mia madre e i miei colleghi che ero stata fermata, ma non del fatto che mi stessero portando via. Mi rispondono che in quel momento non posso usare il telefono. Me ne sto ferma e zitta. I poliziotti non parlano e quello di fronte a me si mette dei guanti. Ho molta paura, lo ammetto, e da alcune facce direi che loro lo vogliono, ma queste sono impressioni e non ci costruirò sopra alcunché. Arrivati in commissariato, ci tengono in cortile, dove possiamo nuovamente usare i telefoni e fumare delle sigarette (molte) e man mano ci chiamano all’interno. Io rimango tra gli ultimi, poi mi chiamano e una poliziotta mi porta in bagno, dove mi fa svuotare la borsa e scrive su un foglio il mio nome e cognome, mette telefono e qualche altro oggetto in un sacchetto con dentro il foglietto col mio nome, poi mi fa andare in una stanza dove ci sono altre due ragazze e dopo ne arriva una terza, che poi scopro essere quella che verrà arrestata, perchè ‘avrebbe colpito un poliziotto’. I suoi compagni dicono che si è divincolata, anche su questo non posso dire nulla, ma ci tengo a riportare l’altra versione. Questa ragazza all’inizio non ha una sedia per sedersi, la chiede e le viene portata. La poliziotta di prima ci domanda di confermare i nostri indirizzi di residenza. A turno ci chiamano, la prima volta mi fanno solo sporgere dalla stanza per ‘farmi vedere’ da quelli che compilano i verbali. Poi mi richiamano per firmare il verbale di identificazione e rilascio, dove si dice che sono stata fermata per identificazione in via S. Anselmo e poi rilasciata. Nessuno mi interroga, nessuno mi chiede che cosa facevo e dove stavo andando. Mi viene restituito il mio sacchetto. Arriva un poliziotto di quelli col grugno, che bruscamente mi ordina di seguirlo fuori, e si volta indietro con aria minacciosa quando vede che non sto camminando abbastanza vicina a lui, mi lascia alla fermata dell’autobus, dove c’è già un gruppetto di ragazzi rilasciati come me, che aspettano i loro compagni insieme ad altri sopraggiunti perchè chiamati dai compagni. Il poliziotto dice loro che non possono aspettare lì, che devono salire sul prossimo pullman sennò fermeranno anche quelli che sono arrivati ora. Poi lascia perdere. Dopo poco arriva un altro poliziotto, più bonario, che dice a me a un’altra ragazza che era insieme a me nella stanza che dobbiamo tornare dentro perchè ‘siamo scappate via’ senza prendere il verbale di avvenuta perquisizione. Quando arriviamo dentro c’è di nuovo il poliziotto di prima che con la solita aria chiede che cosa ci facciamo ancora lì. L’altro spiega, poi ci dà il verbale e dice che possiamo anche non firmarlo, ma dobbiamo prenderne visione e avere la nostra copia. Sopra c’è scritto che siamo state perquisite durante un’operazione di polizia “atteso che vi era motivo di ritenere potessimo occultare armi, esplosivi o strumenti di effrazione” e che tutto questo è avvenuto “dopo aver informato il perquisito che era sua facoltà farsi assistere da un difensore di fiducia”. Questo è falso, quindi nè io nè lei firmiamo. Il poliziotto ci lascia la nostra copia e dice che possiamo andare, sopraggiunge l’altro di prima dicendo “aspetta aspetta” e chiamando un collega affinché scorti fuori “queste qua”. Di nuovo alla fermata, scherzo un po’ con gli altri, fumo ancora una sigaretta e prendo il 66 per raggiungere l’ufficio. Sono le 12,30 circa.”

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