Toscana. La lotta dei tirocinanti di infermieristica
Il corso di laurea di Infermieristica prevede 2100 ore di tirocinio nell’arco dei tre anni di corso, durante le quali gli studenti svolgono lo stesso lavoro degli infermieri assunti e stipendiati: questo perché il personale delle aziende ospedaliere toscane non è sufficiente a coprire la domanda di assistenza sanitaria della popolazione. In pratica senza i tirocinanti il sistema collasserebbe.
La vita dello studente è scientificamente divisa tra esami, studio e tirocinio: il tempo libero non esiste, non è previsto dall’ordinamento. I tempi di lavoro invece sono da caserma: massima attenzione a puntualità e praticamente nessun tipo di elasticità con gli orari e le ore da recuperare. Basti pensare che addirittura le ore che un tirocinante “salta” per svolgere un esame vanno recuperate in fondo all’anno. L’Università si cura che il dipendente gratuito dell’Azienda Ospedaliera Universitaria svolga tutte le sue ore di lavoro, la mansione non importa, quel che c’è da fare si fa. D’altronde è facile sfruttare la voglia di imparare il più possibile degli studenti. All’occorrenza questi diventano Oss, all’occorrenza Infermieri già laureati, lavorando cioè senza supervisione, assumendosi rischi e responsabilità non propri. Il tirocinante nelle corsie è direttamente forza lavoro altamente flessibile e non qualificata. Tutto questo avviene “per necessità”, data la mancanza di personale in molti reparti. Va ricordato che per entrare in quest’èlite di lavoratori sfruttati bisogna passare un test di ingresso e successivamente pagare le tasse universitarie, gli spostamenti, senza alcuna agevolazione di sorta, neanche fosse la possibilità di usare la mensa ospedaliera o un camerino per cambiarsi. A Pisa addirittura si pagano le divise!
In questo contesto la Regione Toscana ha istituito gli “assegni di merito per infermieri” di cui sopra. Questi sono un rimborso spese di qualche centinaia di euro all’anno (poco più di due euro all’ora sulla base delle ore di tirocinio) riservato a coloro che portano a termine tutto il tirocinio e tutti gli esami di ogni anno, e che quindi hanno sopportato i ritmi massacranti sognando l’assegno. Sogno perchè sin dal 2001, anno dell’istituzione degli assegni, lo stanziamento dei fondi viene deliberato all’inizio dell’anno accademico, ma in riferimento al tirocinio agli esami svolti l’anno precedente. Questo fatto lascia gli studenti nella più totale incertezza sulla possibilità di conseguire l’assegno. Ogni anno gli studenti si ritrovano a rispettare i tempi del tirocinio e a superare tutti gli esami con una certa media sperando che il bando degli assegni esca con gli stessi criteri di merito degli anni passati. Per chi non si può permettere di non lavorare, puntare sull’assegno è un po’ come giocare ad una lotteria: se vinci rimani, se perdi te ne torni a casa tua.
Quest’anno, come l’anno scorso, gli studenti hanno dovuto lottare per ottenere quel sacrosanto riconoscimento del loro lavoro, ma stavolta non si sono fermati alla difesa dell’esistente ed hanno avanzato proposte concrete per fissare nel tempo questa pratica di retribuzione del tirocinio.
In quest’ottica è stato dunque affrontato un incontro proprio con il responsabile del progetto “GiovaniSì” e con i funzionari dell’assessorato regionale alla Salute. L’incontro si è svolto l’11 di gennaio: la Regione, lungi dal voler incentivare l’occupazione giovanile, punta a ridurre gli investimenti in linea con i tagli che stanno colpendo sanità pubblica e istruzione. I funzionari regionali hanno proposto il pagamento del solo terzo anno di corso attraverso il progetto GiovaniSì. Ma gli studenti non si sono fatti ingannare dalla propaganda e dal tentativo di giustificare il loro sacrificio in nome di una presunta equità con gli altri giovani “aiutati” dal progetto. Hanno preso la parola ed hanno ribadito che la forma non importa (GiovaniSì, assegni), la sostanza deve essere la retribuzione certa del lavoro svolto per tutti e tre gli anni. Ed hanno anche rilanciato, sottolineando il discorso degli studenti di infermieristica pediatrica ed ostetricia, che hanno sempre svolto lo stesso carico di lavoro, ma per i quali non era mai stata prevista neanche la forma degli assegni.
Per i funzionari che si aspettavano studenti disposti ad accettare tutto in cambio dell’aspettativa di un lavoro sicuro – aspettativa ormai vana anche per gli infermieri – trovarsi ad affrontare un secco rifiuto, seguito da un “anzi…”, è stata una vera sorpresa. A quel punto si sono visti costretti a rimandare ad un altro incontro con data da destinarsi chiedendo anche una relazione dettagliata sulla modalità e sui tempi di svolgimento del tirocinio, che gli studenti dei vari poli stanno già preparando.
Quello che emerge da questa vicenda è da un lato l’arroganza della Regione Toscana che sbandiera conquiste che in realtà sono la legittimazione dello sfruttamento del lavoro in formazione, ma dall’altro una presa di coscienza da parte degli studenti infermieri toscani che deve servire da esempio per tutte le altre regioni e per tutti gli altri tirocinanti. Difendere le forme di retribuzione del tirocinio formativo quando si tratta di lavoro vero e proprio deve tradursi nell’estensione di queste nelle regioni e nelle facoltà in cui non è mai esistita.
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