Una sola grande opera: casa, reddito, dignità per tutt*
Nuove realtà si sono affacciate alle assemblee portando con sè le proprie esperienze e specificità territoriali. “Abitare nella crisi” è diventato un appuntamento importante e largo che dopo l’anno di mobilitazione appena trascorso ha raggiunto nuove città, confermando il carattere riproducibile e concreto delle battaglie messe in campo.
Le battaglie di riappropriazione e di resistenza agli sfratti esprimono, all’interno dei territori, non solo il bisogno di casa ma la necessità di organizzarsi contro l’inasprimento delle condizioni di vita, mettendo in discussione l’esistente in tutte le sue forme e l’impoverimento delle nostre vite. I quartieri, le borgate hanno sempre più bisogno di punti di riferimento, di presidi liberati nei quali poter organizzare di battaglie che vanno direttamente e quotidianamente a rivendicare dignità. A partire da diritti primari come la casa, l’acqua, la luce ridotti ormai a beni da privatizzare.
Attraverso il jobs act, lo sblocca Italia, il piano casa viene messa in discussione la dignità di ognuno di noi, di cui il governo si fa beffa attraverso misure che vogliono dividere il paese in solvibili e insolventi.
L’attacco ai movimenti e alle pratiche di riappropriazione, attraverso l’art.5 del piano casa Lupi-Renzi e gli arresti e le restrizioni a danno degli attivisti in tutta italia sono un chiaro tentativo di fermare un’alternativa concreta difronte all’austerity.
Vogliono farci credere che i sacrifici, lo smantellamento dei diritti essenziali, la privatizzazione forzata del welfare, l’incremento della cementificazione sottoforma di rigenerazione urbana, lo stanziamento di risorse pubbliche per costruire grandi opere come il tav, l’expo o il tap siano l’unica via all’uscita dalla crisi e per la ripresa economica. Ma i provvedimenti approvati e quelli in cantiere non sono altro che l’estensione delle politiche neoliberiste che da più di trentanni impongono un modello di sviluppo devastante, che vogliamo combattere.
La legalità viene usata come dispositivo morale per relegare nell’isolamento le iniziative di resistenza alla devastazione e di riappropriazione delle risorse e del reddito che ci spetta. Ma nessuna legalità regge di fronte all’estensione forzata della miseria.
La battaglia contro l’art.5 è dirimente da questo punto di vista. Un provvedimento che arriva proprio per smantellare un percorso possibile, che la mobilitazione del 19 ottobre ha reso evidente, in grado di restituire dignità e voglia di lottare a decine di migliaia di persone in tutto il paese. Una battaglia che può muoversi su due fronti fondamentali: la lotta quotidiana alle contraddizioni che il piano casa pone all’interno dei territori e la resistenza attiva ai tentativi di distacco delle utenze e contro la negazione delle residenze.
Le città intervenute nella giornata di sabato ci raccontano di una capacità inedita di stare in mezzo alle contraddizioni che la legalità della misera diffonde nei territori. Le amministrazioni locali non riescono infatti a gestire un’emergenza abitativa dilagante e rimangono mere esecutrici degli ordini centrali di un governo sempre più autoritario. Le regioni varano piani casa in copia conforme al piano casa di Lupi, mentre i comuni propongono a chi è in emergenza abitativa soluzioni temporanee che sono lontane anni luce dal risolvere i problemi di chi si rivolge loro, utilizzando i servizi sociali sempre più come strumento di minaccia e controllo invece che di sostegno.
Lo stesso fondo sugli sfratti per morosità incolpevole che dovrebbe attivarsi da gennaio si configura ancora una volta come erogazione di fondi a favore dei proprietari e non come intervento a sostegno di chi è sotto sfratto.
Stare all’interno delle contraddizioni nascenti vuol dire per noi dare battaglia sul canone degli affitti e sulle bollette, pretendendo lo stanziamento delle risorse per la casa e il reddito invece che per i proprietari e per le grandi opere.
Gli sportelli in questo quadro sono sempre più strumenti utili alle lotte all’interno dei quartieri non solo come punti informativi ma come presidi permanenti in grado di comunicare e agire quel conflitto necessario alla conquista pezzo dopo pezzo dei diritti negati e della diffusione di un linguaggio comune che incide sulle facili strumentalizzazioni che si vuol fare del disagio che si vive.
Nelle città infatti si stanno diffondendo iniziative della destra e dell’estrema destra che vogliono cavalcare il malcontento per scatenare una guerra tra poveri, disseminando razzismo e odio tra chi soffre in questo paese e noi non possiamo permettere, proprio come soggetti attivi nei territori, che questo avvenga. Dalle occupazioni, attraverso i picchetti antisfratto, attraverso le battaglie quotidiane contro le speculazioni dobbiamo riuscire a capovolgere l’ordine del discorso, orientando la rabbia contro chi impoverisce questo paese. L’antifascismo che dobbiamo rivendicare nelle piazze e nelle strade che attraversiamo passa prima di tutto dalla nostra capacità di costruire pratiche comuni contro questo governo. Abitare nella crisi vuol dire soprattuto vivere i territori e i luoghi in cui si abita a trecentosessanta gradi, dalle battaglie che riguardano strettamente la casa a quelle sui posti di lavoro e per la difesa dalle devastazioni ambientali.
Le giornate del 16 e del 18 ottobre da questo punto di vista c’hanno permesso di approfondire le connessioni urbane che intrecciano le lotte in un legame sempre più ovvio e naturale. Lo sciopero sociale che ha visto in piazza i facchini della logistica insieme agli occupanti di case, ai precari e agli studenti, rappresenta una sperimentazione sempre più efficace, anche perché in grado di incidere sugli interessi padronali attraverso il blocco della mobilità e il picchetto che ferma le attività lavorative. Queste figure non coincidono aritmeticamente, ma s’incontrano dentro la crisi e intraprendono un cammino di riappropriazione comune di dignità e reddito, nonché di diritti ribaltando positivamente e a proprio vantaggio i tentativi di mettere contro gli autoctoni e i migranti, i garantiti e i non garantiti. Tutto ciò ci convince, rimanendo sempre molto pragmatici, che il percorso intrapreso si inserisce positivamente nella direzione comune della costruzione della minaccia necessaria per imporre significativi cambi di rotta nell’affermazione di diritti e nella gestione delle risorse in questo paese.
Un percorso tutto ancora da sperimentare che ci mette anche nella condizione di porci nuovi interrogativi. Come coinvolgere su questa strada anche quei pezzi a cui è difficile arrivare, quei pezzi che vengono manganellati nei posti di lavoro e nelle piazze ma che stentano ad esprimere una netta opposizione a Renzi.
C’è un nodo universale infatti che può unire quel corpo sociale che ha la responsabilità di produrre un cambiamento reale: quello che si contrappone allo spreco delle risorse pubbliche per le grandi opere contro il reddito, il salario, il diritto alla casa, all’acqua, all’energia e alle residenze, alla salute, all’istruzione e alla cultura libera. L’ipotesi di uscita dalla crisi basata sulle grandi infrastrutture e sui grandi eventi che incorporano dentro di se lavoro gratuito e precario, devastazione di territori e ulteriore e inutile cementificazione deve essere sconfitta totalmente. Non esistono possibili mediazioni con un modello di sviluppo che divora risorse, territori e vite.
Ecco perché assumiamo la giornata del 7 Novembre a Bagnoli contro lo Sblocca Italia come data di mobilitazione contro l’arroganza di governi che continuano a proporre con arroganza ricette speculative devastanti.
Con lo stesso spirito affrontiamo il nodo del costante aumento delle risorse economiche necessarie alla realizzazione del Tav, oggetto in queste ore di incontri e confronti anche tra i maggiori sostenitori dell’opera. Crediamo importante non mancare di dare un segnale l’11 novembre a Roma quando Esposito, l’esponente del Pd da sempre pasdaran del Tav, incontrerà il ministro Lupi, il ministro dell’Economia e i vertici delle ferrovie in merito ai cosiddetti extracosti. Stiamo parlando di 12 miliardi di euro e dunque di un incremento di quasi 4 miliardi rispetto ai costi previsti. Vogliamo ritrovarci a ridosso del Senato dove si svolgerà l’incontro e non lasciarli da soli a discutersela tra amici, denunciando ancora una volta i costi di una grande opera inutile contrastata dagli abitanti della Valsusa, e ribadendo come i fondi destinati al Tav possano essere usati per l’unica grande opera che ci interessa: casa e reddito per tutti. Un appuntamento quello dell’11 che guarda alla settimana di mobilitazione rilanciata in Valle dal 14 al 22 novembre.
Anche il dibattito intorno alla giornata del 14 novembre si presenta ricco e interessante. Tante e diverse le forme con cui la rete abitare nella crisi starà dentro questa larga mobilitazione. I territori in cui le realtà che compongono la rete si muovono sono diversi e ancora una volta sarà la ricchezza delle differenze a produrre contributi decisivi in una giornata importante. Dentro la decisione di rilanciare pratiche e strumenti di riappropriazione il 14 novembre si eserciterà quel diritto alla città già espresso nella settimana di mobilitazione dal 10 al 18 ottobre.
Riteniamo utile tornare a vederci domenica 30 novembre per cercare di rilanciare in termini più generali la battaglia contro le devastanti decisioni del governo per la gestione delle città e dei territori. Un’assemblea capace di mettere insieme da sud a nord la possibilità di impedire un uso delle risorse, del patrimonio pubblico e dei suoli devastante e criminale.
Abitare nella crisi
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