Aprile indigeno occupa Brasilia
In questo articolo l’autrice si fa eco delle mobilitazioni che da 17 anni i popoli indigeni del Brasile hanno effettuato nell’Accampamento Terra Libera.
L’Accampamento Terra Libera, organizzato dalle comunità indigene a Brasilia, fa parte di una trama di azioni che si stanno già convocando da 17 anni durante il cosiddetto “Aprile Indigeno”, uno dei principali riferimenti di mobilitazioni popolari del paese. Sono due settimane intere di marce, dibattiti e proteste, nelle quali gli indigeni occupano la capitale brasiliana per rivendicare i diritti garantiti nella Costituzione del 1988. Nemmeno la pandemia ha raffreddato gli animi delle comunità e nel 2020 gli indigeni sono stati i primi a realizzare una programmazione intera nello spazio virtuale, mantenendo così la mobilitazione e la tradizione di lotta. Anche con tutto il dramma dell’abbandono durante questi due anni di battaglia contro il covid-19, non c’è stato un minuto di riposo poiché dalla vittoria di Bolsonaro gli indigeni stanno venendo attaccati con molta più forza, sia mediante la tradizionale violenza dei pistoleri o per mezzo dello stesso governo, che chiude un occhio sui crimini e incentiva l’occupazione delle terre indigene.
Ora, nel 2022, l’accampamento ha recuperato la sua edizione in presenza e sta riunendo a Brasilia più di settemila indigeni, che rappresentano più di 300 etnie che sopravvivono in Brasile. Il punto centrale di quest’anno è la lotta contro la PEC 191, presentata dal governo federale, che fissa nuove regole per l’attività mineraria nelle terre originarie.
I dati del 2021, divulgati dall’Istituto Socioambientale dicono che attualmente le terre indigene corrispondono a 725 terre in differenti fasi del procedimento di demarcazione. Raggiungono i 114 milioni di ettari e formano il 13,8% del territorio nazionale. In generale sono spazi ecologicamente preservati, dove le comunità ne fanno un uso sostenibile, e ricchi di biodiversità e minerali, fatto che li rende terre molto bramate da parte delle imprese minerarie e di latifondisti. Giustamente è per questa ragione che il governo federale, per rispettare le promesse della campagna elettorale, ha presentato al Congresso una Proposta di Emendamento Costituzionale (PEC) che prevede l’attività mineraria nelle aree indigene, senza che le comunità possano esercitare il diritto di veto. Complice di questo attacco contro gli indigeni, la maggioranza dei congressisti ha votato per inoltrare la legge in modo urgente, eludendo in questo modo la fase di discussione e dibattito nelle commissioni. La PEC sarà portata direttamente in plenaria. Una plenaria che è in maggioranza favorevole a tutto quello che propone il governo.
La Costituzione del 1988 è stata un ambito importante per le comunità indigene, precisamente per il fatto che ha imposto alcune condizioni normative all’estrazione dei minerali nelle terre che le appartengono. Dice l’articolo 176, paragrafo 1°: “L’indagine e l’estrazione di risorse minerali e l’utilizzo delle potenzialità a cui fa riferimento l’introduzione di questo articolo, potranno essere effettuati solo mediante un’autorizzazione o concessione dell’Unione, nell’interesse nazionale, da brasiliani o imprese costituite attraverso leggi brasiliane e che abbiano la propria sede e amministrazione nel Paese, nella forma che stabilisce la legge, che stabilirà le condizioni specifiche quando queste attività si svilupperanno in spazi di frontiera o in terre indigene”. E anche se è di interesse nazionale, qualsiasi estrazione deve passare attraverso una consultazione delle stesse comunità. Ora, con la PEC proposta da Bolsonaro, questo diritto di veto scompare. Questo significa che i popoli indigeni non avranno alcun controllo sull’attività mineraria nelle proprie terre. Il progetto prevede che le comunità potranno avere un profitto sull’attività mineraria, ma la partecipazione ai benefici rimane limitata ad un unico 1,75% delle entrate nette dell’impresa mineraria. Non sono considerati i danni ambientali e umani che verranno dall’estrazione, in genere predatrice, che distrugge l’ambiente, il modo di vita e la stessa esistenza delle comunità.
Secondo studi fatti da Ana Carolina Reginatto e Luiz Jardín Wanderley nel libro “Chi è chi nel dibattito sull’attività mineraria nelle terre indigene?”, da quando Bolsonaro si è insediato nel governo del paese, nel 2019, le richieste di attività mineraria in terre indigene sono passate da 57 nel 2018 a 82 l’anno seguente e a 214 nel 2020, la maggiore registrazione di richieste in 24 anni, più di quattro volte la media annuale. L’Agenzia Nazionale dell’attività Mineraria ha concesso, inoltre, in modo incostituzionale, 59 ordini di estrazione ed esplorazione in terre indigene senza l’autorizzazione delle comunità, fatto che ha causato innumerevoli situazioni di violenza contro gli indigeni.
Lo studio indica anche le principali imprese che stanno intervenendo nelle terre indigene, solo le seguenti: Anglo American, Guanhãos, Río Verde e altre decine di differenti cooperative di garimpeios (minatori). Tra i popoli più minacciati ci sono i Kayapó, Nambikwára, Munduruku, Yanomami, Paresí e Apurinã, oltre agli indigeni che vivono in terre isolate, che nemmeno sono rimasti fuori dalla portata della PEC.
È di fronte a questa congiuntura che i popoli originari hanno occupato Brasilia in un nuovo “Aprile Indigeno”, visitando ministeri, protestando nel Congresso, di fronte al Palazzo presidenziale, rendendo evidente con fermezza la propria protesta contro questo nuovo attacco che è sul punto di essere sostenuto dal Congresso Nazionale. A questa mobilitazione si uniscono i movimenti sociali legati alle questioni indigene, studenti, sindacalisti e altri movimenti popolari di lotta per un paese migliore.
Da parte sua, mentre aspetta la risposta positiva del Congresso, il governo ha esaudito le richieste dei lobbisti dell’attività mineraria illegale, smantellando gli organi di controllo, distruggendo la Funai, ricevendo i minatori illegali in udienze amichevoli e garantendogli che il governo non distruggerà le loro attrezzature che sono già installate nelle terre indigene. Agendo così continua a sostenere le azioni criminali che sistematicamente si presentano contro le comunità, incentivando ancor di più gli attacchi e la violenza contro i popoli indigeni.
Le attività dei popoli originari a Brasilia, anche se grandiose, sono totalmente ignorate dalla maggioranza dei mezzi di comunicazione, che gli dedica appena delle note a pié di pagina, senza garantire un’informazione veritiera ai brasiliani. In questo gigantesco Brasile, i nemici degli indigeni sono potenti, come ha già detto il grande Ailton Krenak, gli indigeni stanno resistendo da più di 500 anni e non si fermeranno.
Con loro, andiamo anche noi in questa lotta senza fine…
Foto: Marcia dell’Aprile indigeno a Brasilia, concessa dall’autrice, @oliverninja.
Tradotto dal portoghese in spagnolo per Rebelión da Alfredo Iglesias Diéguez.
15/04/2022
Rebelión
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