InfoAut
Immagine di copertina per il post

Baracche, emigrazione e rancore: i cristiani in Iraq

“Da allora per noi cristiani sono iniziati i problemi. I salafiti [Corrente religiosa che chiede il ritorno al purismo islamico dei primi califfi, Ndr] hanno cominciato a introdurre per tutti il criterio Halal”. «Halal», aggiunge sprezzante Ilyas, non è semplicemente un modo di macellare la carne («Questo è ciò che dicono a voi, nel fottuto occidente»), ma ciò che è consentito e ciò che non lo è, in generale, secondo la legge coranica. Anche i cristiani di Falluja, secondo Al-Qaeda – racconta Bassem – dovevano conformarsi ai dettami del profeta, e le loro donne dovevano coprire i capelli fuori dalla propria abitazione. Bassem e la sua famiglia hanno lasciato per questo Falluja nel 2007, rifugiandosi prima a Baghdad, poi a Mosul: “I conflitti tra sunniti, sciiti e cristiani erano diventati troppo gravi, andarsene era l’unica soluzione”. Da Mosul, dove negli ultimi anni Al-Qaeda aveva, analogamente, commesso omicidi di cristiani, la sua famiglia si è poi trasferita a Karakosh, nella piana di Niniveh (tra Mosul e Erbil), dove i cristiani erano, fino al 2014, la quasi totalità della popolazione.

Nel giugno 2014 decine di migliaia di persone di fede cristiana lasciarono Mosul a causa dell’arrivo dell’Isis e trovarono rifugio per le strade di Karakosh. “Non avevano nulla, non avevano lasciato loro neanche i vestiti. Lo stato islamico li aveva spogliati di tutto prima di lasciarli partire”. Poi, il 6 agosto, sette razzi si abbatterono su Karakosh da Mosul, facendo qualche morto e alcuni danni materiali. “Io ero arruolato nei Peshmerga – dice Bassam – ma i miei superiori diedero l’ordine di evacuare subito la città”. I Peshmerga erano male equipaggiati, o troppo pochi? “Le armi c’erano – risponde – gli uomini pure. Ci doveva essere qualche gioco sporco di mezzo”. Il governo di Erbil decise che non era strategico difendere i cristiani di Karakosh, così come aveva deciso per gli ezidi di Singal appena sei giorni prima? Bassam, come tutti i profughi che abbiamo finora intervistato, si dice incline a pensarlo, ma Ilyas nega. Per sua stessa ammissione, vuole mantenere una posizione più sfumata verso le istituzioni barzaniane, da cui percepisce un lauto stipendio: “Non combatterono perché l’area è desertica, priva di alture, inadatta a uno scontro con un avversario ben armato”.

A lui, più che criticare il governo di Erbil, interessa attaccare la religione musulmana. Una signora velata e la sua bambina si affacciano al suo negozio chiedendo elemosina, ma lui le ignora con disprezzo: “Non vogliamo questa gente ad Ankawa. Che cosa hanno fatto, loro, ai miei fratelli di Mosul? Li hanno spogliati delle loro case e dei loro averi”. Andreus aveva 15 anni quando l’Is ha attaccato Karakosh: “C’è stata l’esplosione di un razzo e siamo andati a vedere. Abbiamo trovato due bambini morti” racconta sorridendo imbarazzato, come avesse visto un film che i genitori gli avrebbero proibito. L’anziano Bashar Yohanna ha una baracchetta sul lato opposto del marciapiede, in cui vende tè ai passanti; ci implora di fotografarla, pensando che ciò possa fargli pubblicità. “Ho capito che sarebbe successo qualcosa quando ho visto la gente che faceva scorte al Bazar. Poi i sacerdoti ci hanno detto che se la chiesa avesse suonato le campane a stormo, tutti avremmo dovuto lasciare la città”. Così accadde il 6 agosto, dopo i primi colpi di mortaio, mentre i miliziani dell’Is raggiungevano Karakosh incolonnati sui loro Toyota.

Bashar non trattiene le lacrime mentre ricorda le migliaia di persone incolonnate a piedi verso Erbil, gli ingorghi di auto, l’arrivo ad Ankawa e le persone accampate «come animali» attorno alla chiesa. Ricorda l’alternativa datagli al check point dai miliziani dell’Isis: avrebbe consegnato loro tutto, “oppure si sarebbero presi le mie quattro figlie”. I profughi sarebbero stati sistemati alcune settimane dopo in dieci campi allestiti ad Ankawa dal Krg, tra cui Ankawa2, dove vivono 5.500 persone, circa 1.200 famiglie stipate in 1.040 prefabbricati. Ibrahim, originario di Bartella, un altro villaggio della piana di Niniveh ora in mano al califfato, si occupa della gestione del campo con solo altre nove persone, per conto di «Pérè Emmanuel», grazie a cui ha studiato dai padri domenicani a Mosul. Ci accompagna in mezzo alla distesa immensa di container identici tra loro ammassati l’uno affianco all’altro, composti ciascuno da due stanze per dormire e un stanzino per i servizi igenici.

La chiesa del campo è stata costruita dagli abitanti addizionando diversi prefabbricati e ponendo sopra essi un tetto a spiovente. La messa viene celebrata in aramaico e tradotta in arabo, e il rito scelto, poiché nel campo maggioritario, è quello siriaco ortodosso; tuttavia, vi partecipano anche cristiani caldei e della chiesa orientale assira. “Nonostante tra noi vi siano persone di confessione orientale, siriaca, caldea e ortodossa, apparteniamo tutti al popolo assiro, e la nostra lingua è l’aramaico, la lingua di Gesù. Parliamo arabo per la strada, con gli arabi e i curdi, ma in famiglia usiamo sempre l’aramaico”. Gli assiri dominavano la Mesopotamia settentrionale nel XXV secolo a.c., con capitale Niniveh. Furono conquistati quasi duemila anni dopo, e divennero gli abitanti sottomessi dell’Assiristan persiano. Dopo la conquista alessandrina subirono l’influenza culturale greca, per divenire popolazione contesa ai confini tra impero romano e persiano, fino alla conquista musulmana, a cui arrivarono già convertiti in massa al cristianesimo.

Mantennero in maggioranza questa religione, ma dovettero pagare una tassa ai califfi, come previsto nel Corano, a causa della loro mancata conversione. Dopo la caduta dell’Impero Ottomano questa discriminazione venne meno in Iraq, ma le conquiste dello stato islamico hanno tentato di riportare la situazione allo stato precedente. In qualità di “emiro”, poco prima di autoproclamarsi califfo, Al-Baghdadi arrivò a Mosul il 6 giugno 2014. “Una settimana dopo, dopo la preghiera del venerdì, dai minareti fu detto che, in ottemperanza al dettato coranico, i cristiani avrebbero dovuto convertirsi, pagare una tassa o affrontare la morte”. Al-Baghdadi chiese una riunione con i vescovi di Mosul per affrontare la questione, ma questi rifiutarono di incontrarlo. Tutti i cristiani partirono il giorno stesso per le città della piana.

Nowel, vecchio dirigente scolastico, era uno di loro. Ci fa sedere sullo spazio davanti al suo container, dove l’intera famiglia si sforza di allestire uno spazio accogliente, offrendoci dell’acqua e del tè. «Le milizie di Daesh, una volta entrate a Mosul, hanno vergato su tutte le case cristiane, in alfabeto arabo, la «N» di «Nazareni» (termine utilizzato dai musulmani, spiega il sindaco di Ankawa, per denotare i cristiani)». Questo segno, dice Nowel, era preludio alla confisca delle abitazioni. «Come potevamo fidarci? Al-Baghdadi aveva annunciato che i cristiani sarebbero stati rispettati, ma appena i suoi miliziani hanno preso il controllo della città i funzionari cristiani hanno smesso di percepire tanto lo stipendio quanto i regolari razionamenti di cibo. Quando se ne sono usciti con la storia della tassa, ce ne siamo andati». Sulla strada per Karakosh la sua famiglia incontrò il check point dello stato islamico dove venne derubata di soldi, oro e fedi matrimoniali; a cento metri di distanza si trovava il check point dei Peshmerga, che li fecero entrare a Karakosh e, dopo che anch’essa fu attaccata, nel Kurdistan.

Bassam dice che non c’erano problemi con i musulmani prima dell’arrivo dell’Isis, ma Ilyas cerca palesemente di storpiare la traduzione, capovolgendo il senso della sua risposta. Nowel afferma che non c’erano mai stati attriti tra comunità cristiana e musulmani, sebbene alcuni gruppi organizzati attaccassero i cristiani di tanto in tanto, ma Ibrahim interviene a correggerlo: «Non è così. In ogni musulmano c’è un grande Daesh: il dettato coranico impone all’umanità intera di riconoscere Mohamed come ultimo profeta». Appare chiaro che i leader della comunità cercano di dare alla contrapposizione che si è creata in Iraq una curvatura religiosa e identitaria, ma la popolazione non sembra percepire spontaneamente questo bisogno. Nowel protesta alle parole di Ibrahim, si mette a urlare: non accetta, benché profugo, di affermare che tutti i musulmani sono uguali, come vorrebbe Ibrahim. La moglie tenta di intervenire, ma nessuno la ascolta; il figlio, Silwan, interviene contro il padre: «Se un musulmano crede davvero, deve agire come Daesh. Soltanto i musulmani meno rigorosi ci rispettano».

«Non è un problema di arabi o curdi, nè di sunniti o sciiti: i musulmani sono così. Quando sono deboli stanno tranquilli, ma appena si sentono forti vogliono imporre a tutti la loro fede» dice Ibrahim mentre ci accompagna all’uscita del campo: «Quelli come Nowel, a Mosul, avevano la grana, lavoravano per lo stato: per questo vogliono far pensare che Daesh sia un fenomeno isolato nella società islamica». Anche lui, come Nowel, concorda nel dire che il presidente del Krg Barzani ama i cristiani e il Kurdistan è oggi ospitale verso di loro. «Le cose, però, possono velocemente cambiare. Ti faccio un esempio: un amico curdo si è rifiutato di stamparmi dei santini l’altro giorno, nonostante fare stampe sia ciò che gli dà da mangiare. Il rifiuto per gli altri ce l’hanno dentro». Dal 2003 a oggi, i cristiani in Iraq sono passati da 1.600.000 a 300.000, di cui l’85% vive ormai nel Kurdistan, spiega Surut Al-Makdici, unico parlamentare Krg dei «Discendenti della Mesopotamia», una delle liste assire in Iraq. «Vogliamo protezione militare internazionale per i cristiani. Non possiamo andare avanti così. L’Europa ci deve aiutare, deve mandare più soldati, più armi».

Papa Francesco doveva visitare Ankawa a ottobre, ma ha rinunciato per motivi di sicurezza: «Ha fatto male» dice Al-Makdici «Dovrebbe sapere che la sua sicurezza non deriva dagli eserciti, ma da Dio». William, giovane attivista vicino al partito, non ha dubbi su chi potrebbe attivare una protezione efficace per i cristiani: «La Russia». Spiega come per lui la questione sia nazionale prima che religiosa: occorre difendere la minoranza assira, tanto in Siria quanto in Iraq. In Siria, spiega, le milizie assire Sotoro sono al momento divise in due fazioni: una, quella originaria, combatte con il Pyd e le Ypg; un’altra, che si è staccata, è fedele al governo siriano. Queste divisioni si ripercuotono qui, alcune centinaia di chilometri più a est, sulle complesse affiliazioni politiche che dividono la comunità di Ankawa, già frammentata, sul piano religioso, da tante diverse tradizioni e riti cristiani. «Gli americani sono venuti qui per prendersi i soldi, e così faranno tutti» dice dal canto suo Ilyas, ostentando cinismo. «Siamo noi, fin dall’antichità, i padroni di questa terra: non i russi, nè gli americani, non i curdi, nè gli arabi» aggiunge in un volo pindarico. «Chiunque manderà dei soldati qui, in ogni caso, non lo farà certo per i miei occhi azzurri».

Dai nostri corrispondenti ad Ankawa, Iraq

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Conflitti Globalidi redazioneTag correlati:

ankawaerbiliraqmedioriente

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Francia, 10 settembre: bloccare le periferie delle grandi città per fermare il Paese?

Dall’inizio di luglio, la data del 10 settembre e lo slogan «blocchiamo tutto» circolano massicciamente. Si formano gruppi, si organizzano assemblee, si discute sui modi migliori per impedire il piano di austerità di Bayrou.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Porti, ferrovie e nuove basi: così il governo Meloni sta militarizzando l’Italia

Il governo accelera sulle infrastrutture militari: nuovi porti, ferrovie e basi in tutta Italia, mentre cresce la protesta contro il traffico di armi

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

L’11 settembre No al summit della guerra a Roma!

È stato annunciato dal Sole 24 Ore il primo “Defence Summit”, appuntamento programmato dal giornale di Confindustria per l’11 settembre a Roma.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Vicenza – Corteo 13 settembre: “No more bases”

Il corteo è stato organizzato in occasione dell'”Italia-America Friendship Festival” organizzato dall’amministrazione e dalla National Italian American Foundation (NIAF) in occasione dei per i 70 anni di presenza delle basi militari in città.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

To Kill a War Machine. Un documentario su Palestine Action

Palestine Action è un collettivo che da anni porta avanti una campagna di sabotaggi ed iniziative in solidarietà con il popolo palestinese. Di recente il collettivo è stato dichiarato organizzazione terroristica da parte dello stato britannico.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Appello per un campeggio No Base territoriale: 5-6-7 Settembre al presidio di Pace “Tre Pini” San Piero a Grado

Mentre crescono le connessioni tra le nostre lotte, sentiamo l’urgenza di continuare ad organizzarci insieme in un nuovo campeggio al Presidio di pace “Tre Pini”, per trasformare il diffuso rifiuto della base militare e della guerra in opposizione concreta.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Si prepara a partire verso Gaza la Global Sumud Flotilla, con il pensiero a Vittorio Arrigoni

Decine di barche con centinaia di persone a bordo, provenienti da 44 Paesi, salperanno da diversi porti del Mediterraneo tra agosto e settembre per raggiungere insieme la Striscia.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Strage di giornalisti a Gaza: Anas Al-Sharif e Mohammed Qreiqea assassinati da Israele

Questa notte i giornalisti Anas Al-Sharif e Mohammed Qreiqea sono stati assassinati da Israele in un attacco con drone che ha colpito una tenda di giornalisti davanti all’ospedale Al-Shifa nella città di Gaza.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Genova: armamenti e mezzi cingolati al porto. Procura apre inchiesta, presidio dei portuali

La Procura di Genova ha aperto un fascicolo per atti relativi alla nave Bahri Yanbu, il cargo saudita su cui sono stati trovati armamenti e mezzi militari cingolati.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

“Guerra alla guerra”: dopo l’assemblea nazionale in Val di Susa inizia un percorso di mobilitazione sui territori verso e oltre l’8 novembre a Roma

Riportiamo di seguito gli interventi introduttivi dell’assemblea nazionale tenutasi domenica 27 luglio durante il Festival Alta Felicità in modo da sottolineare le caratteristiche del percorso di mobilitazione contro guerra, riarmo e genocidio in Palestina proposto in tale occasione.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Anche con l’avvenuto scioglimento del Pkk, la fine del conflitto curdo-turco appare lontana

Nonostante il PKK si sia auto-dissolto con il XII Congresso, da parte di Ankara non si assiste a comportamenti speculari.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Kurdistan: filmato di 70 minuti sull’operazione di guerriglia rivoluzionaria a Zap

Il 12 gennaio Gerîla TV ha diffuso un filmato di 70 minuti dell’operazione di guerriglia rivoluzionaria nella regione di Zap, nel Kurdistan meridionale.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Unità operativa rivoluzionaria di guerriglieri a Zap: “Noi non ci arrenderemo, ma il nemico sì”

Gerîla TV ha pubblicato un filmato del gruppo d’azione Girê Şehîd Pîrdogan che ha preso parte all’operazione rivoluzionaria per espellere l’esercito turco dalla regione occidentale di Zap, nelle zone di difesa di Medya controllate dalla guerriglia nel Kurdistan meridionale (Iraq settentrionale).

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Levante: la puntata di ottobre 2023. Il decennale della “Via della seta” e la postura cinese in Medio Oriente

La Cina è economicamente il secondo partner di Israele (dopo gli Usa), mentre dal punto di vista diplomatico la Repubblica Popolare, fin dai tempi di Mao, ha un atteggiamento di vicinanza alle istanze del popolo di Palestina.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Kurdistan: si intensificano su tutti i fronti gli attacchi degli stati-nazione contro la rivoluzione confederale

Sebbene il movimento rivoluzionario per la libertà attivo in Kurdistan sia costantemente sotto la minaccia non soltanto della Turchia, ma di tutti gli stati-nazione capitalisti dell’area, i movimenti di truppe che negli ultimi giorni si stanno verificando su tutti i lati di questo accerchiamento, uniti all’intensificarsi, di settimana in settimana, degli attacchi, su più fronti, fanno temere un’ulteriore escalation e devono essere seguiti con attenzione per diversi motivi.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

La resistenza è vita: il campo di Makhmur continua a lottare contro l’aggressione irachena

La popolazione del campo dopo aver respinto a sassate le jeep dell’esercito ha iniziato subito a smantellare a mani nude il fossato creato dalle forze irachene con lo scopo di circondare il campo e installare filo spinato e torrette di controllo.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

La Turchia e le sue dighe: assetare terra e popolazione per l’egemonia regionale

Di fatto la costruzione di queste dighe promuove una forma di controllo del territorio che accompagna sfruttamento coloniale e militarizzazione e ha per conseguenze la distruzione del patrimonio curdo, assiro e armeno;  come l’allagamento pianificato della bimillenaria città di Hasankeyf, seguito alla costruzione della diga di Ilisu, ha dimostrato.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Iraq Distopico

In collegamento con Luca Foschi, giornalista freelance che da anni si occupa di vicino oriente. Dall’esperienza dell’ultimo viaggio fatto di recente in Iraq ci dipinge con il suo racconto l’immagine di paese attraversato da pulsioni centrifughe che si irradiano dalla centrale Baghdad, il cui parlamento è stato occupato dalle forze leali ad Al-Sadr, fino al […]

Immagine di copertina per il post
Intersezionalità

In ricordo di Nagihan Akarsel

La notizia dell’uccisione di Nagihan Akarsel, attivista e studiosa femminista impegnata nella Jineoloji, fuori dalla sua casa di Sulaymaniyah ha sconvolto il mondo martedì mattina. Traduciamo il contributo di Zîlan Diyar, dal Comitato Europeo di Jineolojî e pubblicato sul sito dell’Accademia per la Modernità Democratica. Volevo iniziare con una poesia. Poi ho visto che la […]

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Il campo di Makhmur si sta trasformando in una prigione a cielo aperto

La co-presidente dell’Assemblea del popolo del campo di Makhmur, Pakistan Bilen, ha dichiarato che, in linea con la richiesta della Turchia il campo è chiuso con recinzioni di filo metallico e che le persone vi si oppongono. Le forze irachene vogliono chiudere l’area intorno al campo profughi di Makhmur, istituito dalle Nazioni Unite (ONU) nel […]