Biden ordina l’attacco, almeno 17 morti
Nella notte raid aerei al confine con l’Iraq contro postazioni delle milizie sciite filo-iraniane, in risposta al lancio di missili su basi Usa a Erbil e Baghdad. Per Washington una risposta proporzionata e necessaria a calmare la tensione, ma che giunge nel mezzo di un braccio di ferro con Teheran sull’accordo nucleare del 2015
Roma, 26 febbraio 2021, Nena News – Il primo concreto atto di politica estera di Joe Biden è un bombardamento. Ieri notte gli Stati Uniti hanno lanciato raid aerei su postazioni di gruppi militari legati all’Iran nella Siria dell’est al confine con l’Iraq, in risposta – dice il Pentagono – al lancio di missili contro basi Usa nel Kurdistan iracheno.
“Bombardamenti difensivi di precisione”, li ha definiti il dipartimento della Difesa americano che hanno preso di mira “infrastrutture” e che avrebbero provocato 17 morti tra i miliziani, secondo quanto riportato dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, associazione basata a Londra e vicina alle opposizioni al governo di Bashar Assad: “I bombardamenti hanno distrutto tre camion che trasportavano munizioni – dice il direttore Rami Abdul Rahman all’Afp – Ci sono molte vittime. Le indicazioni iniziali parlano di almeno 17 miliziani uccisi, tutti membri delle Forze di mobilitazione popolare”.
Sarebbe stata colpita anche la base aerea Imam Ali, vicino Al Bukamal, zona di frontiera tra Siria e Iraq. Più specifico il portavoce del Pentagono, John Kirby, che parla di distruzione di “diverse strutture al confine usate da gruppi sostenuti dall’Iran, tra cui le Kataib Hezbollah e le Kataib Sayyid al-Shuhada”, parte delle Pmu, l’ombrello di milizie sciite irachene legate a Teheran. E Teheran reagisce con una telefonata alle autorità siriane e una nota online in cui fa sapere che insieme alla Siria “chiede all’Occidente di rispettare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu”.
Fonti americane definiscono l’attacco la risposta più limitata a disposizione e diversa dalle operazioni condotte dal predecessore Donald Trump (il riferimento è all’uccisione, il 3 gennaio 2020, del generale iraniano Qassem Soleimani), necessaria a “calmare la tensione sia nell’est della Siria che in Iraq”, dopo il lancio di razzi su una base americana a Erbil del 15 febbraio scorso (un contractor straniero ucciso e nove feriti, tra cui un soldato americano) e quello di domenica a Baghdad, contro l’ambasciata statunitense in Zona Verde. Di certo Baghdad era stata avvertita: Joe Biden aveva telefonato martedì al premier iracheno Mustafa al-Khadimi, primo leader arabo a ricevere una chiamata dal neo presidente.
Il luogo colpito non era collegato ai due lanci di missili, ma il segretario alla Difesa Austin si è detto “certo” che fosse usato dalle stesse milizie responsabili degli attacchi a Erbil e Baghdad per contrabbandare armi alla frontiera: l’obiettivo era dunque quello di ridurre le capacità militari dei gruppi considerati responsabili.
Sembra però difficile che la decisione di Biden possa stemperare le tensioni con l’Iran, che da parte sua ha sempre negato ogni responsabilità diretta e indiretta nel lancio di razzi nel Kurdistan iracheno e a Baghdad. Una convinzione che aleggia anche tra i Democratici con il deputato Ro Khanna, membro del Comitato della Camera per gli affari esteri, che dà voce alle perplessità: “Il presidente non ha alcuna giustificazione per autorizzare un attacco militare che non sia di auto-difesa contro una minaccia imminente, serve l’autorizzazione del Congresso”.
L’attacco giunge in un periodo denso di botta e risposta tra Washington e Teheran, in pieno tentativo di ricucire gli strappi della precedente amministrazione intorno all’accordo sul nucleare iraniano del 2015 da cui Trump uscì riattivando le sanzioni alla Repubblica islamica e inserendone di nuove. Da settimane i due paesi giocano un pericoloso braccio di ferro che sembrava essere giunto a una soluzione in questi giorni con la decisione di Washington di tornare al tavolo del negoziato.
Ma diverse sono le posizioni di partenza: se Teheran insiste che nessun dialogo è possibile se permangono le sanzioni, gli Stati Uniti vogliono prima ottenere dagli iraniani il rispetto completo dell’accordo (che Teheran ha in parte violato tornando ad arricchire l’uranio in risposta alle picconate di Trump), sanzioni o no. L’intervento dei paesi europei coinvolti nell’accordo – Germania, Francia e Gran Bretagna – aveva riaperto la partita diplomatica. Nena News
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