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Elezioni greche, non è un ritorno al passato

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Un risultato per molti versi scontato, sicuramente atteso, dopo la debacle di Syriza alle europee di maggio, che alle elezioni anticipate, porta a vincere l’antico partito di establishment della destra ellenica Nea Dimokratia, con l’exploit del rampollo Mitsotakis.

Nea Dimokratia sbanca con preferenze poco sotto il 40%, Syriza scende alla soglia del 30% guadagnando 5 punti dalle europee ma mancando clamorosamente l’obbiettivo di tenuta, il Pasok (Kinali, duro a morire) rimane intorno al 7, il KKE conferma le sue solite percentuali intorno al 5. Importante lo sgonfiamento di Alba Dorata che scende sotto la soglia del 3 (quindi non entra nel parlamento), in un repentino travaso di voti verso Nea Dimokratia in funzione anti-Tzipras e verso il progetto filo russo di estrema destra Elleniki lisi che si attesta al 3. Il progetto di Varufakis infine raggiunge di poco la soglia.

Stupisce l’affluenza che sale sopra il 60%, probabile effetto della dinamica elettorale anti-Tsipras, che seguendo l’umore popolare di far pagare il tradimento di Syriza nel difendere la Grecia dai diktat europei, ha tirato la volata di Mitsotakis.

Nonostante tutto bisogna considerare che il tracollo di Syriza per quanto significativo non è stato devastante. Probabilmente gli interessi di alcuni settori di classe maggiormente integrati nelle proposte politiche di Tsipras e la paura che una nuova ascesa della destra portasse a cicli di privatizzazioni e finanziarizzazione più duri ha frenato la caduta. Ma senza dubbio bisogna cogliere le nuove forme della polarizzazione nello scenario greco.

Le cause di questo passaggio elettorale, apparente ritorno al passato, si configurano come effetti dei processi sociali, politici ed economici incominciati nel 2008, culminati in una diffusa avversione popolare alle politiche di Tsipras degli ultimi anni. La tassazione sempre più alta, la continua privatizzazione, il crollo degli asset ellenici, e il continuo abbassamento dei salari e del costo complessivo della forza lavoro greca, la questione macedone e la questione migratoria, hanno affossato il governo dell’OXI.

In sostanza, quello che è stato il meccanismo predatorio per far tornare il PIL greco sul segno positivo, ha alimentato la macelleria sociale che il governo di Syriza avrebbe in teoria dovuto arginare. Ulteriore insegnamento che ci ricorda cosa si nasconda in realtà dietro la parola crescita e pil, una lezione che sembra indigesta sulla nostra sponda di mediterraneo.

Dalla crisi dei debiti sovrani europei, spinta dalla Federal Reserve per scaricare il costo delle bolle finanziarie esplose a Wall Street sull’Europa, la Grecia si è trovata a pagare il prezzo più alto, sia in termini sociali che di disgregazione e disarticolazione della sua fragile economia statale.

L’esplosione di fortissime lotte sociali e la determinazione di milioni di greci, che si frapposero ai diktat del FMI e della BCE, portarono insieme ad altre dinamiche di quel ciclo, qui ovviamente impossibili da analizzare e semplificate per esigenze di brevità, alla possibilità vittoria del governo di Syriza con l’incarico di rinegoziare i diktat della Troika. Seguì poi il referendum e la vittoria dell’Oxi. Emerse infine la totale incapacità ed impossibilità per Tsipras di essere conseguente nelle sue intenzioni, e nella sua sostanziale sconfitta diventò l’esecutore materiale delle politiche di rigore e punitive tedesche, portando la situazione al punto in cui è ora.

La retrocessione delle lotte sia sindacali che autorganizzate, è stata determinata in grossa parte dall’incapacità di offrire un alternativa sia alle politiche di rigore tedesche, che del continuare a rimanere agganciati all’euro e all’Ue come garanzia ultima di salvataggio da un collasso generalizzato dell’economia e dei risparmi. Anche se, è bene dirlo, in anni di mobilitazione sono state praticate forme di organizzazione sociale dal basso potentissime, in grado di contendere realmente sia la governabilità metropolitana di Atene che lo sfruttamento delle zone rurali da parte del capitalismo predatorio ellenico e straniero. Forme ed esperienze di lotta che rimangono come esempio di dignità e di forza capaci di contrapporsi realmente, fuori dalla delega elettorale, al modello di vita della finanziarizzazione capitalista.

La vittoria delle politiche di rigore, anche se non ha spento la lotta di classe in Grecia, come gli scioperi del marzo 2018 ci impongono di constatare, ha determinato un sostanziale impoverimento delle fasce proletarie, sia metropolitane che rurali, abbassandone il prezzo della forza lavoro e aumentando i costi della riproduzione sociale complessiva. Il ceto medio-basso è stato in grossa parte così proletarizzato ed è aumentata la scomposizione sociale.

Un’altra questione che ha investito questo quadro in via di disgregazione, è stata la quella della Macedonia del nord, affrontata dal governo Tsipras, che ha mostrato ad una lettura oltre le apparenze, come lo scontento popolare e verso i diktat europei, possa prendere forme inedite e ambigue di segno nazionalista, ma nelle quali la matrice di classe rimane essenziale. (Per un nostro approfondimento consigliamo questo contributo).

Nei fattori di disgregamento del consenso al governo Syriza va inserita anche la questione migratoria, sfruttata dall’estrema destra in particolare da Alba Dorata, per costruire consenso prevalentemente elettorale. È interessante vedere la sua parabola di questi ultimi anni, e di come in questa tornata elettorale sia stata sostanzialmente fagocitata dalla proposta anti-Tsipras Nea Dimokratia, altro dato che spinge a riflettere come rimangano fondanti le matrici economiche del nuovo affresco elettorale ellenico, e che le dinamiche nazionaliste e xenofobe ne siano delle tangenti ancora molto subordinate. In questo senso l’avanzata del partito di estrema destra filo-russo e ortodosso, incarna una pragmaticità di proposta di cambio geopolitico per la Grecia, che la destra inizia ad annusare, approfondendo la capacità di queste formazioni politiche di incarnare proposte “credibili” di nazionalismo anti-tedesco. Ma oltre il voto di protesta anti governativo e la vendetta per il tradimento di Syriza cosa rimane? Il progetto di Mitsotakis si può riassumere in privatizzazioni, tagli alle tasse per il ceto medio (ormai alto), e di una proposta di ricontrattazione con l’Ue (la Germania) di “crescita” in cambio di minor tassi sul debito. La “crescita” in questione si sostanzierebbe in un esasperazione delle politiche già applicate dalla sinistra di Tsipras, ma con in più la promessa di smantellare il comparto dell’amministrazione pubblica, ultimo welfare ellenico rimasto in piedi. Una ricetta in sostanza neo liberista, ma con un immaginario sovranista (nazionalista per quanto possa essere concesso ai greci), che combina elementi che potrebbero far entrare la Grecia in una fase neo-populista, in cui non c’è più spazio per il già tragicamente sperimentato sovranismo di sinistra. Ancora una volta vediamo celarsi dietro lo smottamento di grosse masse elettorali, ragioni profonde. Rimane irrisolto il quesito se dietro questo “ritorno al passato” si nasconda o meno la pulsione popolare di voler giocare un’altra partita (più cattiva?), contro la Germania e l’Europa, o se, la disgregazione sociale, apatia e rancore impediranno qualsiasi verticalizzazione contro lo status quo che strangola letteralmente le popolazioni greche.

 

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