La rabbia di Teheran
scritto per Peace Reporter da Martina Lacerenza
Il 14 febbraio il popolo iraniano è tornato a sfilare coraggiosamente per le strade, nonostante la massiccia presenza delle forze di sicurezza in tutto il Paese. In migliaia hanno risposto all’appello lanciato nelle scorse settimane dai leader dell’opposizione MirHosein Mousavi e Mehdi Karroubi, marciando in segno di solidarietà alle rivolte arabe esplose contro i regimi in Egitto e Tunisia.
Il governo non aveva concesso il permesso di indire la manifestazione, svoltasi infatti con la dura condanna di numerosi politici e alti rappresentanti della Repubblica Islamica che l’hanno definita “un espediente inaccettabile dell’opposizione per provocare rivolte di massa che dividono il popolo”. Per intimidire i manifestanti, le forze di sicurezza sono state massicciamente impiegate nelle vie centrali di Teheran e lungo le strade principali, poi è stata bloccata la metropolitana lungo Valiasr Street: la principale arteria stradale che corre da nord a sud attraverso il cuore della città.
Lo scopo era tentare di impedire ai cittadini di raccogliersi come previsto e di raggiungere piazza Imam Hossein, punto di partenza della manifestazione. Ai media stranieri presenti nel Paese è stato vietato di seguire gli eventi relativi alle proteste, mentre i media di Stato le hanno completamente ignorate: le notizie sono circolate soprattutto attraverso i social network e alcuni siti dell’opposizione, che hanno riportato anche i resoconti di numerosi testimoni oculari. Per questo l’accesso a numerosi siti internet è ancora bloccato, unitamente ai canali televisivi che trasmettono notizie via satellite. Tramite Radio Zamaneh i manifestanti hanno raccontato che la polizia anti-sommossa, dispiegata in modo massiccio in tutta Teheran, confiscava i telefoni cellulari non appena la gente cercava di utilizzarli, ricorrendo poi all’uso di lacrimogeni per disperdere i cittadini ed impedirne grandi raduni. Sporadici, ma violenti scontri si sono verificati a Teheran, presso piazza Engelab e piazza Valiasr, tra le forze di sicurezza e i manifestanti dell’opposizione che gridavano “Morte al dittatore” in riferimento a Mahmoud Ahmadinejad: il presidente rieletto nel 2009 tra accuse di brogli e violente rivolte di massa.
Numerose proteste sono state segnalate anche in altre grandi città, tra cui Tabriz, Shiraz, Esfahan, Ahavaz, Rasht e Kermanshah: secondo l’agenzia di stampa Fars, un numero imprecisato di manifestanti è stato arrestato e consegnato alle forze di sicurezza e un manifestante sarebbe rimasto ucciso durante i disordini. Il sito Kaleme ha riferito che la casa di Mir Hossein Mousavi, posto agli arresti domiciliari, è ancora sotto stretta sicurezza e completamente tagliata fuori dal contatto con l’esterno. Anche il leader dell’opposizione Mehdi Karroubi è confinato agli arresti domiciliari dallo scorso giovedì mattina, privato di tutte le connessioni telefoniche comprese quelle cellulari. I due principali leader dell’opposizione sono stati accusati dal governo in carica di voler provocare nel Paese rivolte di massa simili alle pesantissime proteste anti-governative seguite alla contestata rielezione di Mahmoud Ahmadinejad, nel 2009. Anche per questo una massiccia ondata di arresti si era verificata nei giorni precedenti la manifestazione, colpendo le principali figure riformiste presenti nel Paese proprio per aumentare la pressione sull’opposizione stessa e scoraggiare l’adesione dei cittadini alla marcia.
Tuttavia i manifestanti iraniani sono rimasti nelle strade delle città anche dopo il tramonto: come riporta la Bbc hanno continuato a scandire slogan anti-governativi contro il leader supremo, l’Ayatollah Khamenei, mentre iniziava a scendere la notte, intorno a cassonetti dati alle fiamme. Secondo i partiti riformisti e dell’opposizione presenti nel Paese, la manifestazione del 25 Bahman (il 14 febbraio) è il chiaro segno della crisi del regime. Oltre ai partiti anti-governativi, hanno partecipato infatti tutte le organizzazioni studentesche, le madri in lutto delle vittime della violenza di Stato nelle proteste post-elettorali del 2009 e la Società dei Seminaristi e dei Ricercatori di Qom, unita ad altre organizzazioni del mondo della cultura. In diverse città europee molte persone si sono riunite davanti alle ambasciate iraniane in segno di solidarietà. E’ dal 2009 che al popolo iraniano viene negato il diritto alla libertà di parola e di riunione: le proteste pacifiche che sorgono nelle strade dell’Iran vengono infatti soffocate dal governo in carica con sistematica violenza.
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