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La svolta di Cuba e il ritorno degli USA in America Latina

Accolta dai media occidentali come la “caduta dell’ultimo muro”, l’operazione diplomatica – moderata dall’ormai onnipresente e sempre più “politico” Papa Francesco – rappresenta sì un’importante vittoria tattica per l’amministrazione Obama, ma cela una lunga serie di nodi politici ed economici che, molto probabilmente, non andranno a sciogliersi nel breve periodo.

Se c’è un merito che va dato alla recente politica estera della Casa Bianca, infatti, è proprio quello di riuscire a strombazzare mediaticamente degli effimeri fuochi di paglia come grandi successi in grado di imprimere un ipotetico change nel panorama internazionale. Tanto per fare un esempio, vale la pena ricordare lo “storico” discorso del Cairo del 2009 in cui veniva dichiarata l’illegittimità di un paese di imporre un sistema di governo ad un altro: giusto in tempo per assistere attoniti alle rivolte di Egitto e Tunisia e inaugurare così un nuovo corso coloniale fatto di interventi militari meno espliciti ma ugualmente aggressivi (vd. Siria, Iraq, Ucraina…).

Come si inserisce dunque la dichiarazione di ieri in questo contesto? Certamente i colloqui per normalizzare le relazioni diplomatiche e la riapertura delle ambasciate nei due paesi ci saranno e non bisogna fare finta che non rappresentino un primo, timido tentativo dello zio Sam di ri-allungare le mani su quello che un tempo considerava il proprio “cortile”. Allo stesso tempo, con la pragmaticità del realismo, bisogna anche essere consapevoli che l’aver sbloccato l’invio di denaro dagli USA rappresenta una significativa boccata d’aria per Cuba, che in questo modo è riuscita ad ottenere un ottimo risultato con il minimo sforzo indispensabile (a meno che non si voglia equiparare l’effetto mediatico della liberazione dei 5 con quella del contractor – sconosciuto ai più – Alan Gross). In un certo senso, si può persino azzardare l’ipotesi che Castro abbia giocato – e in qualche modo vinto – una delicata battaglia strategica, consapevole dell’attuale debolezza interna ed esterna di Obama che si trova così maggiormente incline a cedere qualcosa pur di portare a casa dei “successi”, quantomai effimeri, in modo da non relegare definitivamente il suo mandato alle note a piè di pagina della storia. Il tutto, ovviamente, avviene propagandando una fantomatica “pace” all’interno di un contesto che, realisticamente, non rappresenta più un vero problema da ormai diversi anni e con la consapevolezza che il vero schacchiere geopolitico si gioca da tutt’altra parte, ovvero dove l’apparato guerrafondaio americano è ben presente, e anche in forze.

Indubbiamente il sorriso sornione di Obama che rispolvera slogan panamericanisti parafrasando Josè Marti e straparla di diritti civili (mentre la Black Panther Assata Shakur, rifugiatasi proprio a Cuba, è ad oggi l’unica donna inserita dagli USA nella blacklist del terrorismo!) mette tutti sul “chi va là”. Non è certo questo, infatti, il momento di abbassare la guardia dal momento che la nuova offensiva statunitense in America Latina sembra appena cominciata: spicca, tra tutti, il tentativo di destabilizzare il Venezuela con fantomatiche mobilitazioni di piazza prima e adesso spingendo l’acceleratore sull’abbassamento del prezzo del greggio nel tentativo di provocarne il default economico.

Guarda caso si tratta dello stesso paese che rifornisce Cuba del petrolio fondamentale per la sua sopravvivenza e che insieme all’isola rappresenta uno dei due assi portanti dell’Alba, l’Alleanza economica bolivariana, forse il maggiore ostacolo al dilagare dell’egemonia USA in Sudamerica.

Mantenendo alcuni punti fermi non prescindibili, come le questioni relative alla sovranità nazionale, alla democrazia, ai diritti umani e alla politica estera, Castro è riuscito in qualche modo a manovrare a suo piacere il dialogo cercando volontariamente il confronto con l’avversario. Che questo significhi una svolta è fuor di dubbio, che il processo iniziato nel 1959 da Fidel Castro subisca così un arresto  per ora è più un’insinuazione che è bene lasciare alle malelingue.

Per certo possiamo notare, non senza un pizzico di soddisfazione, che nel momento in cui persino un baluardo dell’anti-castrismo più radicale come la blogger prezzolata Joani Sanchèz si spinge a difinire i colloqui di ieri “una vittoria di Castro” forse ancora per qualche tempo Cuba potrà dormire sonni tranquilli, non altrettanto il resto del sud America.

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