Obama sulla graticola: Tikrit (e Iraq) si liberano senza gli Usa. Basta l’Iran
Cresce a dismisura l’influenza di Teheran sul paese occupato per un terzo dall’Isis: a Tikrit (che potrebbe essere liberata entro 3 giorni) 20mila miliziani addestrati e armati dagli Ayatollah.
Settantadue ore, tre giorni, per liberare Tikrit. È il calcolo fatto stamattina da Karim al-Nuri, leader delle milizie sciite Badr impegnate nell’operazione del governo di Baghdad nella città natale di Saddam Hussein. Da portavoce delle unità di mobilitazione popolare (gruppi di miliziani sciiti e sunniti con i quali il governo al-Abadi spera di mettere a tacere le voci di divisioni interne) al-Nuri ha annunciato oggi che la definitiva cacciata dell’Isis dal capoluogo della provincia di Salah-a-din è vicina.
Sono ormai due settimane che i 30mila uomini mandati da Baghdad stanno assediando la città di Tikrit, senza il sostegno aereo della coalizione. Dopo una fulminea avanzata, l’inizio della seconda settimana è stato caratterizzato da un pericolo stallo, poi superato dall’esercito con l’utilizzo di cecchini e bombardamenti. Da qualche giorno le truppe governative hanno assunto il controllo quasi totale della città, tanto da far dire ai miliziani coinvolti che “il numero di islamisti nei dintorni di Tikrit non supera le 60-70 unità”.
Ma prima di dichiarare libera la città sunnita, simbolo del regime che fu, l’esercito aspetta di eliminare ogni traccia del passaggio jihadista: non solo i miliziani, ma soprattutto gli ordigni inesplosi rimasti tra i quartieri. Dà i numeri Hakim al-Zamili, capo della commissione parlamentare per la sicurezza: “Tikrit è libera all’80%”. E, aggiunge, è tempo di “armare le tribù e affidargli i distretti liberati”. Un passo importante che permetterebbe di tradurre in pratica le intenzioni unitarie del premier al-Abadi: dopo aver creato milizie sunnite anti-Isis da affiancare all’esercito sciita, il governo – suggerisce Zamili – dovrebbe coinvolgere nell’amministrazione delle comunità liberate i sunniti che ci vivono e le potenti tribù che sotto Saddam godevano di tanto potere da non sentire il bisogno di ostacolare il regime.
Se si agisse in tal senso, si eviterebbe di acuire i settarismi che a parole spaventano gli Stati Uniti che, proprio per restarne fuori, hanno negato sostegno aereo alla campagna per Tikrit. Nessun raid, nessuna bomba, nessun aiuto logistico. A preoccupare sono sì quei settarismi che Washington ha permesso di ingigantire a dismisura durante gli anni dell’occupazione, ma non certo in chiave interna irachena. Le divisioni tra sunniti e sciiti preoccupano perché dietro resta la longa manus iraniana. A differenza degli Usa, l’Iran è presente da tempo sul campo di battaglia e ha saputo in breve tempo garantirsi la fedeltà totale del governo di Baghdad.
Basta guardare ai numeri: delle 30mila truppe schierate a Tikrit, circa 3mila sono soldati regolari (sciiti), oltre 20mila sono miliziani sciiti delle unità ufficiose (come le potenti unità Badr, legate a doppio filo a Teheran) e il resto sono miliziani tribali sunniti e peshmerga. Appare subito chiaro l’immenso potere esercitato sul campo di battaglia – e quindi dentro il governo – dall’Iran. Lo sa bene la Casa Bianca, l’esercito del generale Dempsey e anche il Congresso a maggioranza repubblicana, che in questi giorni rende difficile la vita del segretario di Stato Kerry proprio in merito al super ruolo iraniano in Iraq.
Nelle discussioni dei giorni scorsi, i parlamentari repubblicani hanno dato filo da torcere all’amministrazione, colpevole ai loro occhi di non fare abbastanza per frenare la crescente influenza iraniana nel paese che otto anni di occupazione avrebbero dovuto plasmare secondo gli interessi Usa. A rafforzare le pressioni repubblicane, ci si è messo anche Dempsey, il capo di Stato maggiore, che ha ripetuto come 20mila miliziani a Tikrit, siano “addestrati o equipaggiati dall’Iran”.
Obama ne esce indebolito: Tikrit sarà liberata senza l’assistenza Usa ma con quella iraniana. Così l’Iraq: se può essere liberato dall’occupazione islamista anche senza coalizione ma con Teheran al fianco, l’influenza statunitense – e quindi quella dell’asse sunnita di Golfo e Turchia – declinerebbe pericolosamente.
da NenaNews
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