No Centrale a Biomasse in Sila
…tra autodifesa del territorio e della sua comunità.
La forza del lupo è il branco e la forza del branco è il lupo (Rudyard Kipling)
Questo report fotografico è stato realizzato domenica 27 Gennaio 2013 con lo scopo di fotografare il sito di Piano di Moggio, terreno sul quale dovrebbe sorgere la Centrale a Biomasse di Sorbo San Basile, in un momento in cui quei luoghi sono ancora coperti dalle neve. Ma quello che si riesce a vedere in queste terre va ben oltre le immagini a bassa risoluzione che sono state scattate, quindi è meglio accompagnarlo con la parola.
Muovendo i primi passi su queste montagne si capisce quanto la costruzione della Centrale a Biomasse sia disconnessa dall’equilibrio sociale ed ambientale di questo luogo. Siamo ad oltre 1200m di altitudine, a “Piano di Moggio”, intorno al luogo di costruzione ci sono delle vallate pianeggianti utilizzate dai contadini della zona per la coltivazione o l’allevamento e dei complessi turistici che funzionano tutto l’anno.
Le persone che da queste parti ci vivono e ci lavorano sono riuscite ad integrarsi perfettamente con l’ambiente circostante imparando a capire i ritmi, i tempi e le regole della montagna. Hanno creato un perfetto equilibrio e sviluppato un potente legame affettivo, percependo il territorio come una parte interna della propria soggettività. Sentono la loro terra come un vero e proprio bene comune, ne rispettano gli equilibri e prelevano da essa solo il necessario per vivere, non la sfruttano ma la utilizzano, non vivono semplicemente di essa ma vivono con essa. Negli anni si è creato un sapere forte e condiviso, un vero e proprio general intellect sul luogo e del luogo, capace di produrre una conoscenza biologica, chimica e fisica su tutto quello che si muove intorno a quei boschi. Riconoscere le piante ed i momenti di coltivazione, capire il tipo di fauna e come interagire con essa, sviluppare un forte senso geografico del posto; qui non ci sono coscienze proprietarie di un élite accademica o tecnica, ma saperi collettivi costruiti con lo scambio continuo ed orizzontale, saperi che affondano le proprie radici in vecchie generazioni che non conoscevano ancora le lingue del potere.
Basta passare poche giornate in questi luoghi per capire immediatamente come i ritmi di vita e di lavoro siano radicalmente diversi da quelli delle metropoli e, quindi, come anche le dinamiche sociali siano lontane dagli enormi monologhi dell’uomo post-moderno disciplinato e formattato. Vivere qui, con i propri meccanismi collettivi, capaci di sincronizzarsi su altri tempi, non significa vivere una comunità contadina arcaica, narrazione comoda solo a lontane retoriche primitiviste, ma significa sviluppare anche quelle forti capacità relazionali necessarie per creare rete, per poter valorizzare e vendere i propri prodotti, per produrre resistenza ad un mercato globale sempre più onnivoro e formattante. Vivere qui non significa non capire i meccanismi del resto del mondo ma, al contrario, poterli osservare da un altro punto di vista, meno disciplinato e più libero e, una volta osservati, decidere di rifiutarli o accettarli.
È importante sottolineare questo per poter capire come una bieca operazione speculativa sia capace di produrre violenza. Attaccando non sono soltanto beni comuni come la terra, l’aria e l’acqua, ma tutto l’insieme di forme empatiche e sociali che si (ri)producono in questo territorio.
Infatti, là dove arriva il mercato con la sua logica di individualismo proprietario, già adesso è facile vedere gli effetti che ha prodotto, dove sono state impiantate industrie per la lavorazione del cippato di legno, le falde acquifere risultano inquinate per via per del percolato provocando la morte di parecchi ovini. Inoltre, gli allevatori lamentano che spesso il bestiame si trova in uno stato di disidratazione perché rifiuta di bere l’acqua del fiume Melito, nel quale si riversano le falde cariche di percolato.
Analizzando quelle che sono le forze in campo si delinea un vero scontro tra quelli che sono gli interessi, i bisogni e le volontà delle comunità locali (una petizione contro la centrale fatta sui comuni di Sorbo e Taverna ha raccolto oltre il 90% delle adesioni) e quello che è l’interesse dell’ANZ Power (società romana che vuole costruire la centrale), scontro le cui dinamiche sono tutte da cercare nei rapporti di potere e di resistenza tipici di questo territorio.
Da una parte il potere che, con i suoi apparati di comando, gioca la partita su due piani: quello istituzionale, condotto dai partiti politici (PDL e PD in testa) a colpi di delibera di giunta e appoggio al progetto, e quello extra istituzionale agito dal sistema imprenditoriale colluso (quando non diretta emanazione) con le cosche locali, condotto a colpi d’intimidazioni e minacce nei confronti dei membri del comitato che hanno subito, più di una volta, vari atti ritorsivi come l’incendio delle coltivazioni.
Dall’altra parte c’è la capacità di resistenza che le comunità locali riescono a produrre nel tutelare e difendere tanto il loro territorio quanto i meccanismi sociali che sono riusciti a creare. Capacità che cresce sia numericamente che qualitativamente con il passare del tempo e che è capace di produrre, poiché interna al luogo ed alla sua comunità, meccanismi di reale opposizione al potere criminale, molto più produttivi e incisivi di quelli dettati da logiche repressive di stampo giustizialista.
Grazie alla conoscenza tecnica che si è riuscita a produrre sulla nocività della centrale, sono stati presentati esposti alla procura e ricorsi al TAR che, già adesso, hanno avuto l’esito di evitare l’inizio dei lavori e, mentre si stanno continuamente monitorando i luoghi in cui dovrebbe sorgere la centrale, è già pronto un calendario di lotta che promette di dare battaglia fino alla sentenza definitiva del TAR, prevista per fine Giugno.
La forza di questa battaglia è nella forza della gente che la sta portando avanti, nella capacità di produzione autonoma di soggettività integrate nella comunità, nell’immediata percezione di come la difesa di quello che si è, passa per la difesa dell’ambiente in cui si vive; sta nella capacità di individuare la controparte, di leggerne la composizione politica e sociale e, partendo da essa, di scegliersi lungo la strada gli amici e i nemici.
Siamo ancora all’inizio di questa esperienza, ma conoscere il territorio nel quale ci si muove ed essere capaci di leggerne le dinamiche di potere che lo governano, significa essere capaci di capire su che orme camminare. Vuol dire saper distinguere le impronte lasciate sulla neve dai lupi da quelle dei cani, vuol dire riconoscere i due diversi cammini, quello libero e selvaggio da quello addomesticato e disciplinato. Vuol dire avere tutti i presupposti necessari per produrre resistenza!
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