Nuovo capitolo nell’opposizione al progetto di diga in Valsessera
Nella mattinata di sabato 12 giugno, poche ore prima della marcia popolare in Valsusa, è andato in scena poco più ad est lungo l’arco alpino il nuovo capitolo di un’altra lunga esperienza di opposizione ad un’opera di devastazione ambientale.
Infatti anche nel biellese la possibilità di accaparrarsi qualche fondo del Recovery Plan sembra aver risvegliato gli interessi dei promotori del progetto di costruzione di una nuova, ennesima diga in Valsessera, il cui costo è stimato in 300 milioni di euro (destinati ad aumentare in corso d’opera). In risposta tuttavia non ha tardato a riattivarsi la storica opposizione del territorio ad un progetto considerato inutile e nocivo per l’ambiente e i bisogni delle forme di vita che vi si trovano. Oltre al danno ambientale causato dal cantiere, in termini di interventi invasivi, inquinamento e disturbo della fauna selvatica, il progetto proposto dal Consorzio di Bonifica della Baraggia Biellese e Vercellese, con il fine di prelevare acqua da destinare all’irrigazione delle risaie in pianura, comporterebbe infatti l’allagamento di una porzione considerevole di territorio forestale nelle valli del Sessera e del Dolca, zone già periodicamente soggette a frane ed esondazioni.
Proprio come gli orrorifici teatrini a cui si assiste in Valsusa da decenni, il progetto biellese appare inoltre immune ai vincoli normativi: non solo l’area che verrebbe allagata gode di una tutela a livello europeo, essendo classificata come Sito di interesse comunitario, in cui si potrebbero realizzare solo opere strategiche a livello nazionale, ma addirittura – contestano diverse associazioni ambientaliste locali – il giudizio di compatibilità ambientale riconosciuto dalle istituzioni nel 2014 sarebbe ormai scaduto e il Consorzio di Bonifica dovrebbe in realtà sottomettere nuovamente il progetto alla valutazione di impatto ambientale prima di richiedere finanziamenti pubblici.
Ennesimo prevalere dunque degli interessi del settore del movimento terra e delle spianate di cemento in Piemonte, riflesso di un approccio predatorio all’ambiente montano e ai suoi corsi d’acqua, che antepone la ricerca di guadagni immediati a qualsiasi concezione di convivenza durevole e paritaria tra gli insediamenti umani e i territori circostanti.
Ci siamo fatti raccontare di più in merito a questo progetto e alle iniziative di resistenza da Daniele Gamba, presidente del circolo biellese di Legambiente Tavo Burat, che da anni raccoglie e diffonde i dati allarmanti relativi a questa insensata opera:
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