Oilgate, lo scandalo petrolio in Basilicata
Riprendiamo questo articolo del 2016 di Terre di Frontiera che ricostruisce la vicenda giudiziaria apertasi cinque anni fa e che ha portato ieri alla condanna di Eni in primo grado per traffico illecito di rifiuti. In totale il tribunale ha condannato sette persone – sei tra ex manager e dipendenti Eni, e un ex dipendente della Regione Basilicata – a pene comprese tra un anno e quattro mesi e due anni di reclusione, e all’interdizione di un anno dai pubblici uffici (con pena sospesa) per attività organizzata per il traffico di rifiuti, assolvendo 27 imputati. Il giudice ha condannato inoltre la compagnia petrolifera al pagamento di una sanzione amministrativa di 700mila euro e alla confisca di circa 44,2 milioni di euro, da cui sottrarre i costi già sostenuti per l’adeguamento degli impianti. La condanna, più che per il valore giudiziario in sè, è importante perchè evidenzia il quadro che gli attivisti e le attiviste che si battono contro la multinazionale italiana descrivono da tempo (si veda la recente inchiesta di Re:Common). La commistione tra pubblico e privato, il ruolo in guerre, devastazioni ambientali e speculazioni dell’azienda del cane a sei zampe non potranno essere celate dalle sue maldestre operazioni di greenwashing.
Nell’inchiesta Oilgate, ci sono il Centro Olio di Viggiano – di Eni – e il progetto Tempa Rossa – di Total -, entrambi in Basilicata, nei due filoni dell’inchiesta coordinata dalla Direzione nazionale antimafia e dalla Procura di Potenza che ha portato il 31 marzo all’arresto di 7 persone e alle dimissioni del ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi. Sessanta, in tutto, gli indagati. Tra le ipotesi, anche quella di disastro ambientale.
Da Terre di Frontiera di Pietro Dommarco
Sessanta indagati, sette arresti, un divieto di dimora, impianti petroliferi e di smaltimento rifiuti sequestrati, sospesa la produzione di idrocarburi. Sono questi i numeri e gli avvenimenti della maxinchiesta coordinata dalla Direzione nazionale antimafia e dalla Procura di Potenza che dal 31 marzo 2016 sta facendo tremare multinazionali, imprenditori, amministratori locali, ministri e sottosegretari. Ad emettere i provvedimenti cautelari – eseguiti nelle province di Potenza, Roma, Caltanissetta, Genova, Chieti e Grosseto – è stato il gip del Tribunale di Potenza, Tiziana Petrocelli. L’inchiesta – partita nel febbraio del 2014 – è divisa in due filoni.
“Siamo di fronte a una organizzazione criminale di stampo mafioso, organizzata su base imprenditoriale“: queste la parole del Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, a commento dell’inchiesta, che a partire dal petrolio si sta espandendo a macchia d’olio. Sono emersi, infatti, presunti coinvolgimenti del capo di Stato maggiore della Marina e collaboratori della Camera di Commercio. Guardiamo, in dettaglio, ai due filoni principali.
L’ENI, I RIFIUTI E LE EMISSIONI
Il primo “itinerario nell’inchiesta” ci porta al Centro olio Eni di Viggiano, in provincia di Potenza, localizzato nella valle dell’Agri. Qui attualmente la multinazionale di San Donato Milanese estrae una media giornaliera di 82mila barili di greggio, ma ha già ottenuto le autorizzazioni necessarie all’aumento della produzione, fino ad un massimo di 104 mila barili di greggio al giorno. La concessione è denominata “Val d’Agri”. Le indagini, affidate al Nucleo operativo ecologico (Noe) dell’Arma dei carabinieri, riguardano il presunto smaltimento illecito di rifiuti industriali (comprese le acque di strato derivanti dalle attività produttive, non accuratamente trattate e re-iniettate nel pozzo Costa Molina 2) presso alcuni impianti, compresa l’azienda Tecnoparco di Pisticci scalo, in provincia di Matera. L’accusa è di aver gestito illecitamente questi rifiuti “pericolosi” come “non pericolosi”, con il fine di ottenerne un vantaggio economico. “Condotte ed attività – si legge nell’ordinanza di applicazione della misura cautelare del 29 marzo 2016 – che in definitiva, attraverso sia il risparmio dei costi ottenuto grazie alla reiniezione dei reflui nel pozzo Costa Molina 2 che quello raggiunto smaltendo i rifiuti liquidi con un CER non corretto, permettevano all’azienda petrolifera di incamerare un profitto ingiusto di valore compreso tra i 44.282.0711 euro ed i 114.216.971 euro”. Inoltre, l’altra contestazione riguarda la falsificazione dei dati sulle emissioni in atmosfera prodotte dal Centro olio. In base a quanto accertato da parte dei Noe di Potenza, e dalla lettura delle intercettazioni, “i vertici del Centro olio […] decidevano deliberatamente ed in diverse occasioni di comunicare agli organi pubblici di controllo l’avvenuto superamento dei parametri, usando una condotta fraudolenta consistente nel fornire una giustificazione tecnica non corrispondente al vero e diversa da quella (effettiva) utilizzata nelle precedenti comunicazioni. Tanto, al fine evidente di nascondere le reali cause del problema e celare le inefficienze dell’impianto”. Per questo filone d’inchiesta gli indagati sono 37, gli arresti 5 e un divieto di dimora nel capoluogo lucano per Salvatore Lambiase, dirigente dell’Ufficio compatibilità ambientale della Regione Basilicata. Al momento risultano sotto sequestro alcune parti del Centro olio di Viggiano e il pozzo Costa Molina 2. Provvedimenti che di fatto bloccano la produzione del greggio lucano. La Procura indaga anche per l’ipotesi di disastro ambientale.
LA TOTAL, GLI APPALTI E IL MINISTRO FEDERICA GUIDI
Il secondo filone d’inchiesta riconduce, invece, all’altro giacimento lucano – quello di Tempa Rossa – localizzato nella valle del Sauro. Titolare della concessione – denominata “Gorgoglione” – è la Total, che a Corleto Perticara, in provincia di Potenza, sta realizzando un nuovo Centro olio, per il trattamento di 50 mila barili di greggio da estrarre quotidianamente a partire dal 2017. Ed è proprio in conseguenza di questa inchiesta che, il 31 marzo 2016, il ministro allo Sviluppo economico, Federica Guidi, ha rassegnato le proprie dimissioni. Dalle intercettazioni emerge il coinvolgimento del suo compagno, l’imprenditore e commissario di Confindustria Siracusa, Gianluca Gemelli. Dall’ordinanza di applicazione della misura cautelare del 23 marzo 2016 emerge che Gianluca Gemelli avrebbe sfruttato la “convivenza che aveva con il ministro allo Sviluppo economico” al fine di ottenere da Giuseppe Cobianchi – dirigente della Total – le qualifiche necessarie per entrare nella “bidder list delle società di ingegneria” della multinazionale francese, ovvero tra i fornitori ammessi, e “partecipare alle gare di progettazione ed esecuzione dei lavori per l’impianto estrattivo di Tempa Rossa”. Per questo filone d’inchiesta gli indagati sono 23, gli arresti 2, tra cui l’ex primo cittadino di Corleto Perticara, Rosaria Vicino. Secondo l’accusa gli amministratori locali coinvolti avrebbero chiesto e ottenuto dalle aziende coinvolte nel progetto Tempa Rossa assunzioni varie. Clientele insomma. Ricordiamo che i vertici Total sono già stati al centro di un’inchiesta del 2008 – il famoso Totalgate, del pm Henry John Woodcook – che ha visto rinvii a giudizio, condanne, ricorsi, sospensioni dei lavori per illeciti, blocco e ripresa degli espropri dei terreni per “pubblica utilità”. E proprio in merito al Totalgate, in queste ore, si apprende che il Tribunale di Potenza ha condannato gli ex vertici di Total ed alcuni imprenditori e amministratori, con pene comprese tra i due e i sette anni di reclusione. Sette anni per Roberto Pasi e Roberto Francini, ex dirigenti locali della Total. Tre anni e mezzo, invece, per Lionel Lehva, ex amministratore delegato della multinazionale francese.
Tempa Rossa – secondo le stime fatte dal sito inglese della Mitsui, co-titolare del progetto – è un investimento da 1,6 miliardi di euro. Già quasi completamente coperti grazie all’intervento del Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica), che con una deliberazione del marzo 2012 (n.18 del 23 marzo 2012) ha stilato un programma d’investimenti pari a 1,3 miliardi di euro. In quanto considerato “strategico”. Tempa Rossa non è solo Basilicata, però. Anche Puglia, e soprattutto Taranto. Scelta come terminale del progetto: nella città dell’Ilva, infatti, dovrebbe arrivare il greggio estratto in Basilicata, da stoccare e da inviare a diversi impianti di raffinazione. Proprio dal fronte pugliese negli ultimi anni si sono registrate le maggiori opposizioni alla Total che hanno provocato diversi ritardi nell’esecuzione dei lavori. Evidentemente da sbloccare, con l’aiuto del ministro allo Sviluppo economico.
LO SBLOCCA-ITALIA, L’EMENDAMENTO ALLA LEGGE DI STABILITÀ E IL PROGETTO TEMPA ROSSA
Ad inguaiare il ministro allo Sviluppo economico, Federica Guidi, sono alcune intercettazioni aventi oggetto l’inserimento di un emendamento alla legge di Stabilità 2015, “che avrebbe agevolato l’iter autorizzativo necessario alla completa realizzazione del progetto Tempa Rossa”. A tal proposito, in una comunicazione intercettata con il suo compagno Gianluca Gemelli, il ministro Guidi riferiva che “[…] poi dovremmo riuscire a mettere dentro al Senato se è d’accordo anche Maria Elena (Boschi, ministro per le Riforme costituzionali, ndr) quell’emendamento che mi hanno fatto uscire quella notte, alle quattro di notte! Rimetterlo dentro alla legge con l’emendamento alla legge di Stabilità e a questo punto se riusciamo a sbloccare anche Tempa Rossa […] dall’altra parte di muove tutto!”. Appresa la notizia l’imprenditore Gianluca Gemelli comunicava il tutto all’ingegner Giuseppe Cobianchi, di Total, che “pare che oggi riescano ad inserirlo (l’emendamento, ndr) nuovamente al Senato […] ragion per cui se passa […] e pare che ci sia l’accordo con Boschi e compagni […] perché la Boschi ha accettato di inserirlo […] è tutto sbloccato!”. E Giuseppe Cobianchi chiede “lei mi sta parlando di Taranto? […] quella situazione di Taranto? […] ah, ah bene!”.
L’emendamento in questione è il 223-bis – che riprende le indicazioni dello Sblocca Italia – riguardante la semplificazione della realizzazione di opere strumentali alle infrastrutture energetiche strategiche, tra le quali inserire anche “le opere necessarie al trasporto, allo stoccaggio, al trasferimento degli idrocarburi in raffineria, alle opere accessorie, ai terminali costieri e alle infrastrutture portuali strumentali alo sfruttamento di titoli concessori esistenti, comprese quelle localizzate al di fuori del perimetro di concessioni di coltivazione […]”. Tempa Rossa, versante Taranto, appunto. Perché il progetto estrattivo in terra di Basilicata prevedere il trasporto e lo stoccaggio di greggio in Puglia.
L’impressione è che l’inchiesta partita dal capoluogo lucano sia destinata ad allargarsi ulteriormente. Secondo l’Ansa, i magistrati di Potenza si recheranno a Roma per ascoltare i ministri Guidi e Boschi. E risulta coinvolto anche l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, il capo di Stato maggiore della Marina, “indagato con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze e per concorso in abuso d’ufficio in un filone siciliano dell’inchiesta sul petrolio in Basilicata. La notizia – riporta l’Ansa – ha trovato conferme in ambienti giudiziari. Secondo quanto si è appreso, De Giorgi è indagato nell’ambito di accertamenti sull’attività dell’Autorità portuale di Augusta insieme a Gianluca Gemelli, al dirigente Total, Giuseppe Cobianchi, all’ex sindaco di Corleto Perticara, Rosaria Vicino, all’imprenditore Pasquale Criscuolo, a Nicola Colicchi, collaboratore della Camera di Commercio di Roma, e al presidente del Collegio dei Revisori dei conti della stessa Camera di Commercio, Valter Pastena (ex direttore generale della Ragioneria di Stato)“.
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