Renzi ai lucani: petrolio prima delle persone
In un’intervista ad una giornalista del Corriere della Sera sul programma di governo Matteo Renzi come sempre non le manda a dire e con la sua solita enfasi decisionalista e un po’ fanfarona, parlando dei grandi temi della politica energetica europea – con sullo sfondo il difficile rapporto con la Russia – ha dichiarato: “È impossibile andare a parlare di energia e ambiente in Europa se nel frattempo non sfrutti l’energia e l’ambiente che hai in Sicilia e in Basilicata. Io mi vergogno di andare a parlare delle interconnessioni tra Francia e Spagna, dell’accordo Gazpromo di South Stream, quando potrei raddoppiare la percentuale del petrolio e del gas in Italia e dare lavoro a 40 mila persone e non lo si fa per paura delle reazioni di tre, quattro comitatini”.
Queste dichiarazioni hanno subito portato alla replica del Governatore della Basilicata Marcello Pittella – fratello di Gianni capogruppo al parlamento europeo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici – che ha fatto notare al premier come lo stato abbia da anni un debito nei confronti della Basilicata in termini di infrastrutture e benefici economici e che lungi dall’essere “un comitatino” l’amministrazione regionale sta guardando con molta preoccupazione queste forzature del governo. La Basilicata, infatti, ha approvato in sede di Consiglio Regionale la sottrazione delle royalties del petrolio dal patto di stabilità imposto dalle norme europee per fare in modo che i guadagni rimangano sul territorio e vengano investiti in welfare e posti di lavoro anziché finire nelle lontane casse dello stato. In questo senso la regione attende il risarcimento dei guadagni che lo stato ha incassato in passato senza dare nulla in cambio. Fino ad ora – addirittura anche per le istituzioni locali – lo stato non ha mantenuto nessuna promessa e i 40mila posti di lavoro promessi da Renzi sembrano l’ennesima bufala.
E’ evidente che per Renzi e per il PD il parere delle comunità locali non conta nulla, e lo vediamo ogni giorno in ValSusa: quando ci sono di mezzo gli interessi economici dei poteri forti non una parola sugli effetti dell’opera in termini di sostenibilità ambientale e di ricadute sul territorio anche in termini occupazionali, è addirittura la regione, in mano agli stessi demokratici, a far notare come manchino le norme per evitare che questa operazione si trasformi nell’ennesima rapina ai danni della popolazione compiuta a suon di grandi opere e speculazione che arricchisce le tasche di pochi lasciando i territori più provati e impoveriti di prima. Ma se il petrolio lucano “ce lo chiede l’Europa” possiamo stare certi che per far cassa e depredare ancora di più le risorse naturali, sociali e culturali del paese si calpesteranno ancora una volta i diritti delle comunità locali o di chi semplicemente vorrebbe vederci più chiaro al di là delle manovre di palazzo.
D’altra parte la monetizzazione del rischio ambientale e sanitario in termini di posti di lavoro e investimenti è una ricetta vecchia che non si può più accettare in un realtà come quella odierna che vede le politiche economiche del capitalismo finanziario diventare sempre più rapaci, la semplice richiesta di contropartite non mette in discussione un modello di sviluppo economico consumista orientato al guadagno dei soliti noti; il nesso tra ambiente, salute e lavoro va indagato e colto più a fondo, dentro le lotte per una trasformazione radicale dell’esistente. Questo è sicuramente un tema che per il meridione, stretto da livelli più alti di corruzione, mafia e malaffare (Taranto insegna!), si riproporrà sempre più spesso e la capacità di agirlo a fondo sarà quello che renderà quei “tre o quattro comitatini” una forza sociale in grado di opporsi alle politiche predatorie dei Renzi di turno.
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