Arroganza di classe
Le dichiarazioni piccate rilasciate ieri dell’ad di Ferrovie dello Stato Mauro Moretti, indispettito dalla prospettiva di vedersi ridotto lo stipendio a “soli” 300 mila euro annui, sono il sintomo preciso dell’arroganza che può permettersi l’attuale élite capitalistica prodotta da trent’anni di egemonia culturale neoliberista.
Esse suonano come un pugno nello stomaco per quei milioni di italiani e italiane che, anno dopo anno, vedono arrivare sempre prima la fine del mese, mentre i servizi sociali radoppiano nei costi ma vengono dimezzati nella loro erogazione. Ma non bisogna, come troppe volte accade, pensare che si tratti di una mancanza di tatto e bon ton della classe dirigente nostrana. Esse sono invece la spia precisa della sfacciata “coscienza di classe” con cui la global class capitalista pensa sé stessa e i propri “diritti”.
Ascoltando Moretti non si può non pensare all’intervento di qualche giorno prima di Larry Page – numero uno di Google – alla Ted Conference: “No alla beneficenza: è meglio lasciare, alla propria morte, i proprio soldi a capitalisti con grandi idee, idee in grado di cambiare il mondo”. Parole che sembrano tanto riecheggiare le programmatica sentenza di Margaret Thatcher: “there is no such thing as society” (“non esiste una cosa come la società”).
Nel nostro paese siamo stati velocemente abituati a questo ordine del discorso dalle aggressive conferenze stampa di Sergio Marchione, che negli ultimi quattro/cinque anni scandiva pressapoco questo ritornello a chi gli chiedeva (assai tidmidamente invero) qualche riscontro sulle proprie operazioni ecomomico-finanziarie: “ringraziate che vi degno dell’attenzione di essere qui, perché avrei di meglio da fare!”.
Tanta sfacciataggine segna un cambiamento non solo di stile quanto una vera e propria rottura interna al discorso capitalista. Queste dichiarazioni sono l’espressione compiuta di un Capitale trans-nazionale che non ha più ancoraggi né conti da rendere a nessuno e che rivendica senza fronzoli il proprio diritto ad andare dove gli conviene. Di fronte a questi signori Berlusconi sembra già l’uomo di un’altra era: la sua orgogliosa rivendicazione della ricchezza accumulata si inscriveva ancora nella retorica del self made man, doveva insomma ancora mostrarsi “alla portata”, simile all’uomo della strada, bisognoso del suo consenso e della sua approvazione. Non è un caso che questo registro compaia solo negli ultimi anni, nell’era dei governi “tecnici” (non eletti) e che a farsi portavoce siano soprattutto manager e tecnici per i quali le vecchie mediazioni della politica suonano come insopportabili, non-necessari, rallentamenti all’infinita valorizzazione del Capitale. La tragedia di Renzi è quella di voler/dover servire questi livelli alti del capitalismo, rimanendo però impigliato nelle pastoie basse del governo del sociale.
Noi che in basso ci stiamo per condizione imposta, oltre a lavorare quotidianamente all’affossamento di quel mondo e con la sua lunga schiera di portavoce e servitori, teniamo sempre vivo l’esercizio della memoria (quella piccola, senza scomodare la grande Storia). Ricordiamoci di queste parole quando ci chiederanno di stringere la cinghia e fare sacrifici. Ricordiamocene anche quando ci chiederanno di piangere o commuoverci perché qualcuno di loro si farà male o morirà, come qualunque altro umano.
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