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Caselle: la propaganda di guerra uccide

Lo schianto della Freccia Tricolore che ha ucciso una bambina di cinque anni ha scosso il paese. Quanto avvenuto però merita una riflessione più profonda sulla militarizzazione della società e sul concetto di sicurezza.

I fatti sono ben noti: sabato pomeriggio una pattuglia delle Frecce Tricolori, il gruppo acrobatico dell’Areonautica Militare italiana, stava realizzando un test presso l’aeroporto di Caselle in vista dello spettacolo che si sarebbe dovuto tenere a Vercelli. Uno dei piloti ha perso il controllo dell’aereo che guidava e si è eiettato fuori dalla carlinga, mentre il mezzo ha continuato la sua corsa schiantandosi a terra e coinvolgendo nell’esplosione l’auto su cui viaggiava una famiglia. L’incidente ha provocato la morte di una bambina di cinque anni ed il ferimento del fratello e dei genitori.

Questo non è il primo incidente di questo genere che vede coinvolte le Frecce Tricolori: in molti hanno ricordato quanto accaduto a Ramstein nel 1988 quando durante un’esibizione all’interno della base NATO vi fu la collisione tra tre veivoli di cui uno si abbatté sulla folla, causando 67 vittime e 346 feriti tra gli spettatori. Ma se si allarga lo sguardo all’intera Aeronautica Militare sono diversi i casi che emergono dalle cronache: solo negli ultimi due anni sono tre gli incidenti aerei militari. Il 7 marzo del 2023 è avvenuto lo scontro tra due velivoli militari sopra i cieli di Guidonia e uno dei due aerei è precipitato sull’abitato, mentre il 13 dicembre del 2022 un Eurofighter è precipitato nel trapanese e a marzo dello stesso anno un M-346 si è schiantato sul Monte Legnone, in tutti questi casi sono morti i piloti. Più nota è la strage dell’Istituto Salvemini del 1990 quando un Aermacchi MB-326 precipitò sulla scuola di Casalecchio di Reno provocando dodici morti.

L’incidente di sabato ha aperto una discussione sull’utilità delle Frecce Tricolori, sulla dispendiosità e l’inquinamento che provocano le loro esibizioni. Questi sono sicuramente elementi importanti da considerare: al netto del fascino che si può nutrire per le acrobazie dei piloti ne vale veramente la pena? Se nella nostra società esiste un grande dibattito su spettacoli ben meno impattanti come quelli dei fuochi d’artificio forse una discussione su queste dispendiose esibizioni apre un capitolo finora ignorato.

Perché ignorato? Qui ci avviciniamo al vero punto. Le Frecce Tricolori rappresentano in qualche grado uno di quei tanti simboli dell’identità italiana, del Made in Italy che muove gli orgogli di una parte della popolazione. La narrazione sui piloti italiani è ampia fin dalla nascita dell’aviazione ed è ovviamente unita a doppio filo con quella del militarismo, nonostante storie contraddittorie ed a volte controcorrente. Magari non saremo l’esercito migliore al mondo, ma che dire della nostra pattuglia acrobatica? Questa è una delle ambiguità in cui si muove fin dall’inizio il discorso sull’esercito italiano: quella degli “italiani brava gente”, dell’armata brancaleone, delle missioni di pace ecc… ecc…

In questi tempi di guerra sempre più vicina e generalizzata abbiamo visto un approfondirsi della narrazione militarista in ogni suo ambito ed i festeggiamenti per il centenario dell’Areonautica Militare si inseriscono perfettamente in questo paradigma, sostenuto e promosso dal governo Meloni. C’è poco da fare, la popolazione italiana, come quella di molti paesi occidentali, rimane ancora ostile alla guerra o per lo meno indifferente. La politica fa una fatica enorme a costruire una narrazione in grado di coinvolgere emotivamente la popolazione in una mobilitazione di massa a favore della guerra e di farne accettare i costi. Questo ad oggi rappresenta il principale blocco ad un’accellerazione ancora più virulenta dei conflitti che si stanno sviluppando in tutto il pianeta. L’intensificarsi della propaganda di guerra veste diversi panni, dagli zainetti dell’esercito, all’alternanza scuola lavoro in caserma, fino allo spolvero in grande stile del simbolo per antonomasia dell’orgoglio nazionale guerresco, le Frecce Tricolore.

Abbiamo già affrontato il tema della sicurezza percepita e della sicurezza reale trattando della strage di Brandizzo, ma in questi giorni in cui la retorica sui migranti sta esplodendo in faccia al governo sulle coste di Lampedusa, in cui il cortocircuito delle politiche securitarie del nostro paese ed europee si sta misurando con un fenomeno generato proprio dalle guerre, dall’instabilità e dalla devastazione ambientale che abbiamo esportato sull’altra sponda del Mediterraneo, vale la pena di tornarci su con uno sguardo più profondo. Di quale sicurezza stiamo parlando quando siamo circondati da manovre di guerra che silenti attraversano le nostre strade, le nostre ferrovie, i nostri paesi e le nostre città? Gli incidenti come quello di sabato sono solo un volto tra i tanti con cui si mostrerà la guerra sul nostro territorio nei prossimi anni. Abbiamo bunker stranieri gonfi di armi nucleari, esercitazioni continue e nuove infrastrutture militari in costruzione. Abbiamo territori devastati da grandi opere inutili dual-use con scopo civile e militare. Abbiamo un lavoro povero, insicuro che verrà ogni giorno più irregimentato per garantire la continuità dell’economia di guerra.

Questa “insicurezza”, quella di un futuro di guerra, esiste nella percezione del paese reale, ma non ha ancora trovato una voce per esprimersi, spesso nascosta dai media ufficiali, a volte convinta che i giochi siano troppo grossi per contare qualcosa. Bisogna iniziare a dare voce, prospettiva e visione a queste pulsioni.

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