Come si misura una lotta?
È stata pubblicata sul sito del Ministero dei trasporti l’analisi costi-benefici sulla nuova TAV-Torino Lione. Si profila una perdita netta per le casse dello Stato di circa 7 miliardi, milione più milione meno. È finita una farsa durata trent’anni, quella sulle magnifiche sorti e progressive del TAV. Si scateneranno ora le elucubrazioni sul metodo, stiracchiando le cifre, spostando le virgole. Esercizi che lasciamo ad altri. Perché quello che il movimento notav negli anni ha costruito non si può pesare su una bilancia di costi e di benefici, non entra nelle strette righe di una tabella e non si rappresenta nelle torri colorate di qualche grafico. È un sapere di parte, un sapere che ha guardato non all’interesse generale di un generico interesse, quello di continuare ad espropriare i territori per il profitto, ma che ha saputo disegnare, a partire da una comunità in lotta, una nuova collettività, i cui contorni si definiscono per contrasto: basso contro alto, molti contro pochi, valle contro stato. Una comunità che si è fatta senso comune riportando nell’arena politica questioni poste con semplice radicalità a partire da una pratica di resistenza: cosa vuol dire sviluppo? Come bisogna usare le risorse comuni? Cosa significa vivere insieme?
Questa è la forza che i media hanno dovuto ignorare, riducendo il no al tav a un’opinione, una scenografia da talk-show tra le altre nel solito teatrino pro o contro il governo. Non è un caso che il movimento notav è stato il grande assente nei dibattiti di questi mesi, è stato il non detto, il demone da non evocare neanche strumentalmente per condannarne “la violenza” perché, nella sua irriducibilità, non poteva entrare in nessun format televisivo. Perché nel suo essere movimento reale avrebbe acceso i riflettori su ciò che succede dietro le quinte degli spettacoli televisivi, dove c’è il trucco e parrucco di politici impegnati in uno spettacolo sempre uguale. È la forza che ha dovuto ignorare lo stesso Movimento 5 Stelle, incapace di fare leva, a casa propria, sulla parzialità sempre insita in un conflitto, mentre tentava goffamente di recuperare le lotte a casa d’altri.
Costi e benefici, dunque. I nostri però. Il prezzo da pagare è stato, continua e continuerà ad essere alto. Migliaia di procedimenti penali, centinaia di persone sotto processo, feriti, accuse di terrorismo, attivisti che dovranno passare i prossimi anni reclusi, altri che hanno perso il lavoro. E poi le notti insonni, le botte, le umiliazioni pubbliche, la meschinità della polizia, le manipolazioni giornalistiche. Ma anche la gioia, la rivincita, le relazioni cementate nella fiducia che solo la lotta sa dare. Perché i benefici, quelli, sono imponderabili. E non si misurano semplicemente nello stop a un’opera che deve pur arrivare, perché per chi vive quei territori il TAV non è un simbolo ma una realtà drammatica che metterebbe in pericolo casa e salute. Si misurano in ciò che il movimento notav ha lasciato e continua a lasciare in Val di Susa e in questo paese. Si misura nei goffi esorcismi fatti con gli occhi impauriti dalle autorità locali e nazionali al solo nominare la parola notav.
Si apre ora una fase difficile, la questione del tav riscende dal mondo dei numeri ridiventa ciò che è sempre stata: una questione politica. La partita non è finita fino a quando il sistema TAV non sarà smantellato e l’ultimo poliziotto partito dalla Val Clarea. A sarà (ancora) dura!
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