Contro Renzi, contro Expo: verso la mobilitazione di Milano
Il primo maggio, a Milano, scenderà in piazza la parte del paese disposta a contrapporsi a questo stato di cose fatto di disoccupazione, precarietà, sfruttamento e assoggettamento dei territori. Scenderà in piazza chi non considera Expo 2015 un’opportunità per i milanesi o per l’Italia, ma l’ennesima operazione speculativa e propagandistica grazie a cui un’intera area metropolitana è attualmente sotto attacco e assedio da parte di un capitalismo spettacolare e violento, selvaggio e parassitario. Dietro la facciata di una fiera internazionale sull’alimentazione e sul cibo (oltre a celarsi la sottomissione dell’alimentazione e dei cibi alla logica dell’impoverimento merceologico e dello sfruttamento costante del lavoro e del corpo umano) si cela il meccanismo oliato della spartizione di denaro pubblico tra oligarchie imprenditoriali che da decenni devastano città e territori in nome della misteriosa necessità di “grandi opere”, infrastrutture e “grandi eventi” esiziali per lo sviluppo/rinascita della nazione.
Sono lontani i tempi di Torino 2006, le Olimpiadi invernali pre-crisi, quando la strategia dell’indebitamento selvaggio delle istituzioni con i potentati finanziari riscuoteva consenso in larghi settori sociali, anche nella prospettiva di sperimentare le promesse di un capitalismo post-industriale (intendendo qui l’industria pesante che aveva trainato gran parte dell’economia settentrionale fino agli anni Ottanta) che avrebbe dovuto necessariamente reggersi sull’apparenza “immateriale” dello spettacolo e sulla circolazione di capitali disincarnati, magicamente frutto di processi originati e destinati dal e al consumo di eventi sempre nuovi, con la creazione presunta di posti di lavoro dalla semplice disponibilità, data per eterna, delle masse occidentali a spendere denaro in gran parte fittizio. Favole neoliberiste cui tantissimi, anzitutto negli strati sfruttati, hanno per lungo tempo voluto credere.
Oggi un evento come Expo è al contrario espressione, per una fetta non indifferente del senso comune, di ciò che viene etichettato come “mafia” o “stato-mafia”. Impropriamente, direbbe qualcuno; ma espressioni come queste col tempo hanno perso, in un lessico piuttosto diffuso, la connotazione loro affidata dagli studiosi di un’organizzazione criminale o dalle inchieste delle procure del Sud Italia, per andare ad indicare un oggetto più vasto e vago, un intreccio, un sistema di relazioni economico-politiche contrassegnate dall’esclusione della popolazione, anzitutto dalla conoscenza dei meccanismi decisionali di alto livello. Meccanismi che soprassiedono – secondo dato essenziale – a dinamiche percepite socialmente come attività di furto: l’appropriazione diretta della ricchezza prodotta da tutti da parte di un ristretto gruppo di persone.
Il movimento No Tav ha costruito gran parte della sua critica, e del suo consenso sociale, sull’approfondimento della parzialità politica insita in questo problema, riuscendo a propiziare una piccola fioritura di lotte territoriali nella penisola, le cui esperienze ora convergono sulla contestazione dello “Sblocca Italia” e del mega-evento/mega-grande opera Expo, ampiamente politicizzato da Renzi, ponendo ancora una volta la domanda: è, tale appropriazione del nostro denaro, lecita o indebita? Una domanda che le lotte contro le grandi opere hanno posto in questi anni alla popolazione italiana, e che i movimenti dovranno porre a Milano durante le mobilitazione di fine aprile e maggio. Primo obiettivo di chi intende attaccare Expo dovrebbe infatti essere, crediamo, decostruire socialmente, e sul piano comunicativo, l’immagine acritica che di un simile evento dà il potere politico-mediatico, rompendo i muri dell’auto-evidenza “militante” per parlare a tutte e tutti, fuori dai tanti “noi” propri delle realtà organizzate.
In tantissimi, in questo paese, credono che l’appropriazione della ricchezza che produciamo, sia pur da parte di pochi, non sia indebita se non là dove avviene secondo procedure escluse dal dettato della legge. Le modalità di assegnazione di finanziamenti e appalti (nel caso di Expo la costruzione di padiglioni, le destrutturazioni urbane, il progetto Canal, le autostrade progettate) avrebbero dovuto essere improntate (ciò che non è avvenuto) a trasparenza e meritocrazia, dove l’impresa migliore vince un appalto definito in termini di efficienza e sostenibilità. Di conseguenza, tutti coloro che hanno indebitamente – in questo senso – intascato i nostri soldi dovrebbero andare in galera, poiché il problema non è il grande evento in sé (pensano in molti: può essere “un’opportunità” per il rilancio economico) ma il modo in cui viene gestito e organizzato.
Lo sforzo, da parte nostra, deve essere quello di cogliere, nei forti limiti, le potenzialità di questo posizionamento sociale critico diffuso, utilizzando la rigidità dei suoi presupposti come base di lancio per una critica maggiormente dinamica di tutto ciò che Expo significa in termini di implicazioni economiche, politiche, sociali e urbanistiche, approfondendo lo smontaggio concettuale di esso e facendo esplodere le rigidità delle critiche popolari legalitarie o para-legalitarie. Dobbiamo invitare a ragionare sul fatto che possono essere considerate socialmente indebite tutte le appropriazioni private della ricchezza collettiva (perché prodotta da noi tutti), rientrino esse o meno nel dettato presente delle regole sancite dagli apparati istituzionali. Dobbiamo suggerire che la frequenza empirica con cui si manifestano meccanismi di “corruzione” suggerisce che la pressione della lobby economico-politiche sull’erogazione dei nostri soldi è un fatto connaturato al mercato dei capitali pubblici, che i singoli ordinamenti giuridici non possono modificare.
Questo perché (altra evidenza squisitamente empirica) l’ordinamento giuridico sarebbe elemento inerte senza l’azione concreta delle forze che ne reggono l’intelaiatura istituzionale. Gli arresti relativi a Expo (Greganti, Frigerio and Co.) nel maggio dell’anno scorso hanno scoperchiato il sistema di mazzette e la distribuzione di appalti tra imprese in quota Pd ed altre legate alla destra; quelli di Incalza&Friends poche settimane or sono hanno precisato uno scenario dove a distribuire appalti (di Expo come del Tav) non sono soltanto grigi mestieranti di medio livello legati al sottobosco capitalistico e ai partiti, ma funzionari ai vertici dello stato che, dagli uffici dei ministeri, conciliano gli interessi capitalistici nazionali, garantendo una continuità istituzionale (anche illegale: l’istituzione vive di forze interessate a far valere la forza giuridica principalmente verso il basso) ben più profonda di quella garantita dai partiti, dai ministri, dai governi.
La “corruzione” o il carattere “stato-mafioso” delle politiche legate alle opere pubbliche, in altre parole, segnalano al cittadino atomizzato l’esistenza di una classe sociale capitalistica dietro la sovrastruttura delegittimata del sistema politico democratico, e possono far sorgere l’interrogativo circa il riconoscimento di un ambito sociale ad essa contrapponibile o contrapposto. Già l’inchiesta sul Mose aveva mostrato come la regia della spartizione illegale di capitali pubblici si situasse alle massime cariche politiche del territorio (sindaco di Venezia e presidente della Regione Veneto); Mafia Capitale ha rivelato al pubblico mainstream un intreccio abnorme di favori milionari tra cooperative legate al Pd, crimine organizzato e amministrazioni pubbliche di destra e di sinistra, mostrando peraltro come il lucro del capitale sulla città non passi soltanto attraverso la cementificazione, il grande evento, l’infrastruttura, ma anche dall’amministrazione coatta della vita sociale, là dove la ricchezza collettiva è investita nell’opera di compartimentazione disciplinare cui sono sottoposte, in diverse forme e in diversi gradi, le fasce sociali sfruttate, dalle cui esistenze è sempre possibile estrarre un valore.
Le inchieste giudiziarie, che pur palesano sempre una visione parziale, specifica e a sua volta connotata da interessi non neutrali, hanno impresso negli italiani l’immagine di una società “corrotta” dal livello più basso del micropotere diffuso e brutale (il mondo di mezzo) a quello alto e maggiormente tipico del ministro coinvolto in scandali dorati tra orologi di lusso e favori nepotistici, o dei sindaci che della città e dei suoi abitanti si sentono padroni (il mondo di sopra). Questo modello di potere assoluto, di casta, di spietata rendita politico-finanziaria sui territori e sugli abitanti non è oggi associata, nell’immaginario popolare, alla figura specifica di un Berlusconi e alla sua corte dei miracoli, come ai tempi dell’Onda studentesca o della Libera Repubblica della Maddalena: in questa nuova fase la figura di Renzi tenta di governare un sistema completamente integrato da un baricentro continuamente lambito dalla disillusione e dal sospetto, utilizzando la crisi come dispositivo volto ad assoggettare in forme sempre più marcate la forza lavoro, soprattutto giovane, e gli spazi che essa vive.
Expo è, non a caso, anche l’occasione in cui decine di migliaia di giovani saranno condotti alla creatura di Greganti, Frigerio, Incalza, Lupi e Renzi per lavorare gratis, prestando la loro forza lavoro alla realizzazione dell’esposizione universale; verranno, cioè, non soltanto sfruttati, ma condotti ad essere rappresentazione di una soggettività giovanissima che assume la sottomissione alla pubblicità e al logo come stile di vita, che rinuncia alla rivendicazione della propria autonomia estetica, materiale e politica per patire l’internamento volontario nel grande processo spettacolare da cui l’Italia renziana cerca di trarre un profitto principalmente politico, visto che quello economico è destinato a esaurirsi, come i precedenti, in una serie di bluff.
Di fronte al tentativo politico-mediatico di capovolgere il brutto in bello, lo sfruttamento in autoaffermazione e il depauperamento in ricchezza e crescita, o di far apparire come un’opportunità la cappa effettiva che Expo ha fatto calare da anni su Milano, dobbiamo scendere in piazza. Di fronte alla volontà di decine di capi di stato e rappresentanti europei responsabili delle politiche di austerity, delle politiche di guerra e dello strangolamento della Grecia di fare dell’inaugurazione di Expo una passerella mondiale per proiettare l’immagine fasulla di un mercato dinamico, in grado di risollevarsi dal fallimento delle promesse neoliberiste attraverso un ancora più spietato neoliberismo, dobbiamo mobilitarci. Di fronte al tentativo renziano di condensare gli effetti di Buona Scuola, Sblocca Italia e Jobs Act in un evento commerciale votato alla devastazione territoriale e alla strumentalizzazione massificata di precari e studenti, dobbiamo assumere la critica come un compito urgente, da dispiegare in tutta la sua possibile forza e radicalità.
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