Crollo del Ponte Morandi: sapevano tutto
Questa mattina è stato pubblicato in esclusiva sul Fatto Quotidiano un audio inedito che prova il fatto che i vertici di Atlantia (controllata dalla famiglia Benetton) fossero a conoscenza da tempo dei rischi connessi al Ponte Morandi e non solo.
La conversazione è tra Gianni Mion, amministratore delegato di Edizione, la cassaforte di famiglia attraverso cui i Benetton controllano Atlantia e Sergio Erede, consulente legale del gruppo. Consigliamo l’ascolto completo dell’audio perchè è particolarmente denso di spunti per comprendere la voracità e corruzione capitalista che si annida nel nostro sistema economico e politico.
I due discutono degli scenari che potrebbero profilarsi dopo il crollo del ponte. Il rischio che viene palesato è la risoluzione della concessione autostradale per “grave inadempimento” contenuta all’interno dell’articolo 9 della convenzione che regola i rapporti tra lo Stato e la concessionaria. Per Sergio Erede, il legale, questa risoluzione sarebbe inapplicabile, perchè “Non c’è la prova che questo eventuale deficit di manutenzione sia la causa del crollo”. Dunque per Erede il vero rischio per la società verrebbe da un altro articolo della convenzione, il 9-bis, ovvero la risoluzione unilaterale del concedente. Risoluzione unilaterale che prevede da parte dello Stato un risarcimento enorme nei confronti del concessionario per i mancati guadagni. Ma Gianni Mion gli fa notare che in realtà non si sarebbe trattato solo di un deficit di manutenzione ma che le alte cariche del gruppo erano pienamente coscienti dello stato dell’arte del ponte e avevano deciso di sorvolare. Dice Mion: “Il Morandi aveva un problema di progettazione. Quando abbiamo comprato la società Autostrade abbiamo detto che ci stava bene così come stava. Siccome lo sapevamo che c’era quella cosa ed è stata ampiamente discussa e presentata in molte occasioni, bisognava semplicemente, come nostra responsabilità, dire: ‘Ragazzi, rifacciamo sto ponte”. Di fronte alle repliche di Erede che rimane basito rafforza il concetto: “Certo che lo sapevamo, è stata fatta una riunione, una induction alla presenza di tutti i consiglieri d’amministrazione di Atlantia, gi amministratori delegati, il direttore generale, il management, e hanno spiegato che quel ponte lì aveva una difficoltà di progettazione (…) Quando ho chiesto all’ingegner Castellucci e ai suoi dirigenti, fra cui il direttore generale Mollo, chi è chi ci autocertifica la stabilità, mi è stato risposto che ce lo autocertifichiamo”.
Non solo, dice Mion che l’intera rete autostradale gestita da Atlant è a rischio: “Siccome stiamo parlando di una rete vecchissima, che ha mediamente più di sessant’anni praticamente è da rifare tutto. [Il pericolo oggettivo] è da per tutto. Perchè se non si prende atto che bisogna rifare tutto, ma tutto! Hai visto sulla A26 quello che… è venuta giù una frana cazzo… ha buttato giù… In Liguria, piuttosto che in Toscana, piuttosto che in Abruzzo, piuttosto che nel Molise è tutto a rischio, e può succedere di tutto. Cosa facciamo?”
Per comprendere nel profondo queste affermazioni dobbiamo rifarci a quanto afferma Anselm Jappe nel suo saggio “Cemento. Arma di costruzione di massa” che prende le mosse proprio dal crollo del Ponte Morandi. Jappe osserva che è proprio nella natura del materiale con cui sono costruite le infrastrutture del nostro paese, cioè il cemento armato, che si annidano i presupposti di queste tragedie. Infatti questo materiale ha una vita di trent’anni dopo i quali inizia a degradarsi e per essere mantenuto sicuro e funzionale ha bisogno di manutenzioni incessanti. E’ dunque una merce ad “obsolescenza programmata”, come fosse un qualsiasi elettrodomestico. Questa sua caratteristica, insieme al basso costo delle materie prime, alla facile e veloce riproducibilità in serie ne fa, per quanto riguarda il settore delle costruzioni, la merce preferita del capitalismo. Anzi Jappe afferma che senza il cemento armato lo sviluppo capitalistico per come lo conosciamo non sarebbe stato possibile, o comunque sarebbe stato più lento e difficoltoso. Dunque il fatto che una rete autostradale dopo 60 anni venga considerata “vecchissima” ed a “rischio” è normale paradossalmente, nonostante queste infrastrutture ci vengano vendute come destinate a provare in eterno la superiorità della civiltà capitalista. Questo dovrebbe farci profondamente riflettere sulle grandi opere inutili che ci vengono presentate come strategiche per il futuro e su quanti soldi del PNRR verranno investiti in nuove colate di cemento armato che in trent’anni o poco più riproporrà questi problemi. Il costo della manutenzione di queste infrastrutture sarà sempre troppo alto in regime di libero mercato ed è folle pensare che ogni cinquanta, sessant’anni queste infrastrutture vadano ricostruite da zero.
Un altro aspetto che emerge cristallino da quest’audio è la commistione tra l’impresa privata ed lo Stato Neoliberale sempre pronto a correre incotro alle esigenze degli imprenditori derogando sulla sicurezza e sulla vita dei cittadini. Dice Mion: “Adesso loro hanno individuato l’inettitudine della famiglia Benetton, però la famiglia Benetton nella sua stupidità può dire: mi sono fidata di Castellucci, di Tomasi, ma anche dei controlli che dovevano esserci”. E ancora in conclusione: “Quando tu vai all’Anas a farti approvare o vai al ministero a farti approvare un progetto di qualsiasi natura e dimensione dai per scontato che quelli hanno controllato. Poi vedi e scopri che adesso che non hanno controllato niente. […] Adesso perchè funzionava? Perchè Gavio andavano lì al Ministero… Eh sì un fiasco di vino, una bottiglia di grappa… Eh il vino ligure… e andavano avanti”.
Il Gruppo Gavio è il secondo operatore al mondo nel settore delle concessioni autostradali con 4.594 km di rete. Il Gruppo gestisce attualmente in Italia circa 1.423 km di rete e attraverso Ecorodovias circa 3.087 km di rete in Brasile. Tra le sue controllate vi è anche Itinera, un’azienda di costruzioni e Sitaf, l’azienda concessionaria della Torino – Bardonecchia che si sta occupando in affidamento in house del cantiere dell’autoporto San Didero in Val di Susa, propedeutico alla costruzione del TAV. Per dire.
Ma la subalternità dello Stato alle grandi aziende concessionarie ed edilizie è evidente nella stessa conclusione della vicenda: le preoccupazioni di Mion si sono dimostrate infondate, infatti il governo ha liquidato Atlantia, la holding controllata dai Benetton, con oltre 8 miliardi di euro e, attraverso la Cassa depositi e prestiti, si è ricomprato Autostrade per l’Italia, accollandosi i debiti e le cause legali. 8 miliardi che abbiamo pagato di tasca nostra a chi era pienamente consapevole del rischio e non ha fatto nulla per evitarlo.
Ora il governo Meloni ed il Ministro dei Trasporti Salvini con il nuovo codice degli appalti, con il rilancio del Ponte sullo Stretto e la gestione PNRR stanno ulteriormente aprendo i recinti per far scappare i buoi. Fermare la macchina devastatrice e mettere in sicurezza i territori, queste dovrebbero essere le vere priorità del presente.
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