Da Piazza Statuto a Piazza Castello
Chi non ha avuto paura ed ha osservatoTorino e il Piemonte non dalle finestre dei media, ma scendendo nelle sue strade e nelle piazze può aver avuto la percezione che gli umani e i loro comportamenti, individuali e collettivi, talora generano fenomeni sociali complessi, ma tuttavia spiegabili. Serve indagare per ricercarne le cause e per comprenderne le motivazioni, non sempre immediatamente palesi. Poi se ci liberassimo di vetusti condizionamenti ideologici, che ci vengono propinati e venduti dall’ industria culturale e dagli opinionisti ottusi o ben pagati per sorreggere le nostre fragili e spesso inadeguate identità forse potremmo fare qualche altro passo in avanti capendo che a volte qualcosa di nuovo e forse di buono accade, ma bisogna anche saper capire possibilità e occasione: se vogliamo raccogliere qualcosa bisogna a volte non aver paura di sporcarsi le mani affrontando il sociale così come è.
C’è una lotta, che ha saputo, forse solo per qualche giorno, rompere la passività della metropoli e del territorio circostante. È un conflitto sociale che ha attivato decine di migliaia di persone ma che ha il consenso di vasti strati sociali. È una lotta spontanea inedita, ma molto partecipata che sta suscitando numerose aspettativee proprio perché è lotta unisce e contrappone diffondendo comportamenti che assumono differenti forme di coinvolgimento e di rifiuto. Pur con mille ambiguità, che non bisogna nascondere, è lotta contro le istituzioni, i partiti, i sindacati e i ceti dominanti. Per la prima volta, e scusate se è poco, alcuni dei soggetti e degli strati sociali su cui sono stati scaricati i costi della crisi riescono a trovare un modo di sottrarsi alla passività, aggregandosi e mobilitandosi collettivamente. Da due giorni la metropoli e i territori circostanti sono percorsi da un conflitto spontaneo che ne rallentano/inceppano il funzionamento.
Il 9 dicembre la totalità degli esercizi commerciali di Torino è rimasta chiusa, hanno tirato su le serrande solo farmacisti e tabaccai, qualche negozio di lusso di via Roma e la grande distribuzione. Dal mattino presto sono stati bloccati i due interporti e si è impedito lo scarico merci al mercato ortofrutticolo. Contemporaneamente decine di migliaia di persone hanno sospeso le loro attività abituali e hanno partecipato attivamente a una o più dei tanti momenti di protesta o si sono recate alle rotonde è hanno rallentato o bloccato il traffico, ciò è accaduto non solo nella città, ma nei territori della prima e seconda cintura e in centinaia di cittadine e paesi del Piemonte. Il centro di Torino è stato invaso da folle di persone: ambulanti dei mercati, giovani provenienti dalle periferie e dalle cittadine delle cinture, molte donne, disoccupati, studenti, precari, lavoratori autonomi, commercianti che in grandi gruppi si muovevano per le vie e convergevano occupando le stazioni, protestando contro le sedi di Equitalia, dell’ Intendenza di Finanza, del Comune della Regione. Poi nei pressi della sede di Equitalia e in piazzza Castello quando sono stati caricati dalle forze dell’ordine hanno risposto e le hanno respinte più volte.
Nella giornata molte cittadine del Piemonte hanno visto occupazione dei municipi (Nichelino)proteste e chiusure dei commercianti , blocchi degli agricoltori Tutte le strade che conducono a Pinerolo, a Chivasso, Carmagnola, Chieri Avigliana sono state bloccate.
Il 10 dicembre la protesta è continuata con maggiore partecipazione ed eguale determinazione con cortei e blocchi che hanno interessato tutti i quartieri della città, mentre i blocchi stradali si sono estesi sulle tangenziali, sono stati bloccati gli accessi ai siti della grande distribuzione, mentre si è ripetuta con più forza la mobilitazione nelle cittadine delle cinture e nei paesi della provincia blocchi e proteste si sono attuate anche in molti paesi della bassa Val di Susa con epicentro ad Avigliana.
Una lotta di massa molto spontanea che raccoglie e attiva differenti soggetti e gruppi sociali, non è ovviamente maturata una ricomposizione omogenea e le differenze soggettive sono grandi nei comportanti e nelle identità, tuttavia e una lotta che va sostenuta, valorizzata, vissuta e autorganizzata dall’interno perché è una prima risposta di massa che unisce chi paga i costi della crisi e non ha rappresentanza.
Sicuramente chi scende in piazza si sente un individualità con diritti e ragioni storie e aspettative specifiche,ma nell’oggettivtà siamo tutti spinti e uniformati in una condizione di proletarizzazione che ci porta a dover pagare e sopportare i costi e il peso della crisi.
Sicuramente i media puntano a delegittimare e a depotenziare quanto sta avvenendo in questi giorni nelle piazze e nei territori del nostro paese, Ciò appare chiaramente a chiunque sta nel conflitto sociale che si sta sviluppando. E su questo va costruito al più presto un approfondimento e una riflessione ragionata.
La politicità di queste proteste non sta nelle bandiere tricolore, che oggi qualcuno aggiudica alla destra e al populismo, mentre qualche anno fa sempre a Torino piacevano ed esaltavano Napolitano quando erano sventolate da Chiamparino, oggi presidente della Fondazione Bancaria San Paolo e forse domani candidato del PD a governare la Regione Piemonte, sventolate per coprire uno spreco di risorse e di soldi che certo ha contribuito ad impoverire e a produrre un taglio di servizi e di reddito per la popolazione meno abbiente mentre hanno arricchito imprenditori amici e banchieri. La politicità non sta negli slogans e nei luoghi comuni agitati da alcuni partecipanti e da chi si autopromuove a promotore e portavoce.
La politicità sta nei comportamenti intrinseci del conflitto, e nella capacità di destabilizzare il quadro istituzionale, nel rifiuto della rappresentanza e nella capacità di costruire contrapposizione effettiva al sistema politico, sindacale e associativo.
La politicità e data dalla rottura prodotta dal fatto che forse sta faticosamente emergendo una soggettività proletaria che si ricompone in forme e con comportamenti imprevisti e nuovi. Torino ridiventa laboratorio sociale che questa volta, a differenza di cinquanta anni fa dove si dava una soggettività è proletaria contro lo sviluppo capitalistico, oggi nel 2013 si incomincia a intravvedere una soggettività proletaria contro la crisi capitalistica. Certo è solo un germoglio da coltivare perche non muoia subito seppellito dal letame.
La redazione di InfoAut_Torino
Ps: Senza volerlo esplicitamente, perché è stato scritto e pensato prima (anche e soprattutto nel titolo) questo editoriale può ben leggersi come un contraltare a I Forconi e qualcosa di più?
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