Erdogan, terrorista prezzolato dall’ UE
Al vertice UE-Turchia appena tenutosi a Bruxelles non sono mancate le richieste oltraggiose: e la più oltraggiosa in assoluto è stata quella di aggiungere altri 3 miliardi di euro ai 3 (ancora sulla carta) per “sostenere l’accoglienza dei rifugiati siriani” da devolvere alle casse di Erdogan. Questo il biglietto da visita del suo tirapiedi Davutoglu ai maggiorenti di un’Europa sfregiata ed involuta dai prodotti della propria bancarotta economica e politica: nazionalismo, militarismo e xenofobia – e in cui, appropriatamente, questa Turchia sogna l’entrata.
Ridicola la posizione del governo Renzi, che agita la questione della libertà di stampa mentre è in realtà intento a salvarsi la pelle – negoziando con la Germania il via libera alla pioggia di denaro sonante per il regime neo-ottomano in cambio di allentamenti ai propri obiettivi di bilancio, stretti nella morsa degli zero virgola. Mentre il mostro di Firenze, infatti, strepita sulla censura di Zaman (giornale-megafono del miliardario Gulen, ex-sodale di Erdogan e a capo di una sorta di Comunione e Liberazione turca) i principali quotidiani italiani (e non) nulla hanno scritto sulle atrocità di Cizre e sui suoi civili – inchiodati alla morte dall’assedio di Erdogan per fame, sete ed asfissia da lacrimogeni nella completa oscurità di un sotterraneo. Soccorsi medici bloccati e gasati, mediatori anche dell’opposizione istituzionale aggrediti e feriti, acqua, elettricità e servizi essenziali recisi: nemmeno la più elementare delle (loro) convenzioni di guerra è stata risparmiata dall’ultimo crimine di un esercito turco genocida, promotore e fiancheggiatore del terrorismo. Complimenti, davvero un buon uso della “libertà di parola”, cari amici di Voltaire!
E un vero e proprio tirapugni in faccia a chi per colpa della guerra civile alimentata dal governo dell’AKP (in Siria, ma anche nella stessa Turchia) deve lasciare la propria terra; alle ed ai combattenti kurdi del Rojava che vedranno quei soldi trasformarsi in armi e risorse per gli aguzzini dell’ISIS e di Al-Nusra; alle popolazioni che vedono le loro città ed i loro quartieri stuprati dai militari e ricostruiti secondo le esigenze del palazzinaro filo-governativo di turno; ma anche a chi fatica ad arrivare a metà mese qui in Italia, al nostro moribondo welfare, perfino alla nostra convivenza.
Il nesso tra guerra, politiche securitarie e dell’immigrazione ed austerità è proprio questo: aumenta la loro crisi, aumentano lo scempio di sanità, istruzione e pensioni ed il prelievo dei nostri soldi con tasse inique, per tenere ben oliate le baionette della marescialla Pinotti. Ma anche i business dell’accoglienza delle mafie capitali (e dei loro omologhi esteri), della “sicurezza” di contractor senza scrupoli, degli Stati di emergenza, che ci vendono il prodotto della loro stessa mala politica.
E’ davvero il caso di dissanguarci per prezzolare un nuovo Gheddafi nella costruzione di campi di internamento (nella già martoriata regione del sud-est anatolico), se si volesse davvero contenere l’afflusso di chi è costretto a migrare perché “casa loro” non esiste più? Non si dovrebbero piuttosto sostenere le forze che hanno un reale obiettivo ed interesse nella risoluzione del conflitto siriano in termini più democratici ed avanzati che dal suo inizio? Ogni riferimento al progetto delle Forze Siriane Democratiche (SDF), che ormai va oltre il Rojava e su cui ritorneremo, non è affatto casuale.
Ma non si può, né si vuole. In un paese in cui nessuna forza politica parlamentare si è sottratta alla solidarietà a Panebianco saranno più importanti questi dettagli o le commesse del terzo ponte sul Bosforo dell’Astaldi?
Non rimane che la mobilitazione dal basso.Un’opposizione al Sultano in guerra che non va lasciata allo sciacallaggio delle destre (a cui fa comodo aiutare i migranti a casa loro, ma a proprio modo: do you remember Prosperini?) e che va portata come contributo allo sciopero generale del 18 marzo, quando contemporaneamente al nuovo vertice UE-Turchia ed alla vigilia di un Newroz più infuocato che mai incroceranno le braccia i lavoratori della logistica – organizzati dal SI Cobas e da altre sigle sindacali di base. Una scadenza finalmente politica, come da tempo non se ne vedevano in un paese impallidito dalla subalternità dei sindacati confederali e tenuto alla mordacchia dai ricatti della flessibilità globale; e che può presentare il conto della soggettività operaia non solo ai caporali delle sedicenti cooperative ma anche, nel suo piccolo, a quelli degli eserciti di morte oggi all’opera nel Medio Oriente e nel Mediterraneo.
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