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Geografie del pallone. Dentro e contro l’#Euro2012

La linea di confine sottile tra europei di calcio e crisi europea

 

La Germania è tra le squadre accreditate alla vittoria finale. Il Portogallo stringe la cinghia, ma continua a restare a galla. L’Italia è in ripresa ed continua la corsa europea a colpi di rigore. La Grecia è fuori dall’Euro, sconfitta sonoramente dai tedeschi. E’ la situazione di crisi che stringe lo spazio europeo e trova corrispondenze nella fase conclusiva degli Europei di calcio in Ucraina e Polonia. Il confine tra europei di calcio e crisi europea appare più che mai sottile e labile.

La metafora calcistico-economica viene applicata in maniera immediata e quasi naturale risulta spesso perfino stucchevole, soprattutto quando esce dalle bocche di telecronisti sportivi e politici di turno. Il calcio si trasforma in questi giorni nello specchio dell’Europa, vetrina del potere e passerella lucidata per governi e governanti, dove non è ammesso nessun comportamento sopra le righe. Le sfide dei gironi uscita dall’urna (Spagna-Italia; Portogallo-Germania; Francia-Inghilterra) sembrano estratte direttamente dalla BCE e dall’UE di Barroso e non dall’UEFA di Platini.

Nel globo calcistico i numeri e le cifre hanno dei rimandi diversi da quelli politici-economici: non sono quelli dei sondaggi sulle elezioni greche e francesi, o delle impennate di Syriza e del Front National; non sono neanche quelli dei Bpt/bund in calo o dello spread che si fa’ fatica a tradurre. Sono numeri quelli dell’aritmetica calcistica che hanno un rimando diretto ai gol segnati, agli schemi di gioco, alle cifre impresse sulle maglie dei giocatori. Numeri che fanno molta meno paura all’euromediterraneo di quelli segnati dalle forbici taglienti dell’austerity che lo stanno affogando.

 

Atlante della crisi e dei conflitti negli Europei di Polonia e Ucraina

 

Per Sartre il calcio era la riproduzione della società, attraverso la metafora calcistica metteva in evidenza i rapporti di libertà e individuo nell’organizzazione di gruppo e delle squadre. Nella geopolitica il calcio diventa terreno di gioco e immediatamente di scontro all’interno dei territori nazionali. Nel 2012, l’anno maya della finanza globale, dove la crisi economica è entrata in tackle violento sull’Europa, si giocano all’interno dell’emisfero calcistico diverse partite importanti.

Il primo europeo della storia ospitato in paesi dell’ex URSS, è iniziato subito con le proteste internazionali e “boicottaggi democratici” per la detenzione di Yulia Timoshenko, “oligarca arancione” detenuta in Ucraina. Da Casini alla Merkel sono state lanciati duri proclami per bloccare la competizione calcistica, ma la realpolitik socio-economica del sistema calcio ha prevalso. A poche settimane dall’Europeo sembrava che la raffica di bombe esplose nella città di Dnipropetrovsk potesse mettere a rischio la più grande vetrina politico-economica che l’Ucraina abbia avuto dalla sua storia e che fossero state messe a nudo la difficoltà e la grave crisi politica e sociale che sta vivendo il paese. Yanukovich è stato completamente incapace di gestire il caso Timoshenko, malata e torturata in carcere, al punto che perfino il governo amico degli oligarchi russi è arrivato a chiedere la liberazione della passionaria (legata all’UE) arancione. Nello scacchiere geopolitico europeo, l’Ucraina è una pedina economica fondamentale: dalla capitale Kiev passa il 90% del gas russo che viene poi importato dall’Unione Europea. La posta in gioco è davvero alta e gli Europei di calcio sono una buona scusa per scontri interni/esterni e per determinare vecchi e nuovi equilibri politici, mentre la popolazione ucraina che di recente ha espresso attraverso le piazze un forte no al progetto Tav, sta accusando una forte crisi demografica, che cammina in parallelo con la crisi economica e gli tassi altissimi di povertà

Nell’altro paese ospitante dell’Euro 2012, la Polonia, si respira un aria diversa. La Polonia è considerata “un isola di crescita nell’Europa in recessione”. Il conservatorismo del sistema bancario polacco ha visto una crescita del PIL del 15% negli ultimi 4 anni. A Varsavia, cuore economico pulsante dell’Europa merkeliana, il geo-calcio serve a riscrivere equilibri e relazioni con l’EU e l’aria asiatica, e soprattutto con il paese coospitante ucraino. I tentativi di boicottaggio per gli Europei in Ucraina, con la proposta di spostare la finale da Kiev a Varsavia sono stati attuati da parte della stampa e dei partiti d’opposizione del Pis e del suo leader Kacznsky, ma sono stati “placati” con la priorità e prospettiva geopolitica di un Ucraina filo-europea e meno asiatico-russa. La forte chiesa polacca non è stata ferma nell’evento calcistico: ad esempio nella città-chiesa di Poznan, che ha ospitato nazionali cattoliche come quella irlandese e italiana, sono state installate delle “jesus zone”. In tempi di crisi finanziaria, la fede viene svenduta in tutti i modi; la “redenzione”degli ultras è così facilitata.

Le speculazioni dentro gli europei di Polonia e Ucraina come si prevedeva sono state devastanti: dalla costruzione degli stadi polacchi e ucraini dove si è infiltrata e nascosta la mafia russia, passando per la prostituzione che ha raggiunto livelli mai visti denunciate dalle azioni del movimento Femmen, fino alle truffe per gli alberghi e per i biglietti delle partite che sono andati a colpire non solo i turisti e addetti al settore sportivo, ma hanno interessato gran parte della popolazione, impossibilitata a seguire l’evento-vetrina dai costi inacessibili. In alcuni casi i cittadini sono stati “sostituiti” per far posto alla messa a profitto del turista, com’è successo con gli studenti polacchi che vivevano nelle residenze universitarie costretti ad andare via per ospitare stranieri sopra le 100 euro a notte. Dalla “sostituzione sportiva” si è passati in alcuni casi all’eliminazione diretta, com’è successo per lo sterminio dei cani randagi, nonostante gli appelli rassicuratori di Platini e del premier ucraino Yanukovych i dati parlano di 12.000 animali uccisi per dare un’immagine pulita ed europea delle città ucraine, che rappresentano per la FIFA la conquista di nuove città e territori all’interno del Risiko geo-calcistico (i Mondiali del 2018 si svolgeranno in Russia).

Nella mappa dei conflitti del calcio europeo c’è uno spazio, non marginale, anche per i tifosi. Nell’Est europea l’estrema destra e i movimenti nazionalisti la fanno da padroni all’interno dei settori degli stadi ucraini e polacchi. Le tifoserie del Metalist Kharkiv e del Wisla Cracovia si sono sono distinti tra slogan e striscioni che richiamavano il nazional-socialismo in salsa slava. Proprio a Cracovia, cittadina del papa Wojtyla, ne hanno fatto subito le spese i giocatori olandesi che si trovavano in raduno, Van Der Wiel e De Jong sono stati subissati dai fischi razzisti. Con Auschwitz a pochi chilometri, è assurdo che le polizie e governi si sono continuati a rimbalzare la storiella giustificazionista che “in fondo sono bravi ragazzi”. L’Uefa invece ha chiuso la questione olandese in maniera ancora peggiore dicendo che i fischi erano solo di protesta, visto che nessun’incontro verrà giocato nella città Cracovia, suscitando l’ira del giocatore olandese Van Bommel è stato il solo a scagliarsi contro la decisione dell’Uefa, tra silenzi omertosi di Platini e delle autorità polacche. Forti polemiche in entrambi i paesi ospitanti ha suscitato anche il documentario mandato in onda dalla BBC “Gli stadi dell’odio ” del giornalista Chris Rogers, dopo un inchiesta di mesi sulle curve ucraine e polacche. Sol Campbell dopo aver visto il video invitava i tifosi inglesi a rimanere a casa e guardare le partite in televisione. Episodi all’insegna del razzismo hanno toccato anche l’Italia: il razzismo all’italiana è stato eloquente nella vignetta della Gazzetta dello Sport sull’azzurro Balotelli in versione King Kong sulla torre londinese, una vignetta farcita del silenzio dopo i tanti cori durante le prime due partite dell’Italia da parte di croati e spagnoli verso “Supermario” che sono stati un altro dei tanti esempi del razzismo che ha attraversato la competizione europea. Il calciatore del Manchester City aveva dichiarato che avrebbe abbandonato il campo se ci fossero stati episodi di razzismo verso di lui, ma subito le retoriche antirazziste e buoniste dell’Uefa lo hanno redarguito da gesti provocatori e da qualsiasi uscita fuori dal regolamento sportivo. L’unico gesto che andava nella direzione antagonista è stato quello dei supporters irlandesi, con più di 20.000 tifosi al seguito, da veri “barbari” si sono rifiutati di parlare la lingua del calcio moderno, non hanno risparmiato la Regina d’Inghilterra, la BCE e l’EU, tra cui spiccano gli striscioni contro il razzismo e l’ironico e pungente striscione: “Angela Merkel thinks we’re at work”.

 

Nella porzione euromediterranea, la Grecia otto anni fà vinceva l’europeo portoghese. Quest’anno è uscita sconfitta dalla Germania nel “derby dello spread”, così soprannominato da giornalisti e media europei. “Il derby finanziario” sostituisce così il derby filosofico (The Philosophers Football Match) di Monty Python, la sfida delle teorie tra i due universi delle grandi filosofie europee greca e tedesca, una partita quella descritta dal regista inglese che si animò solo con l’ingresso nel secondo tempo di Karl Marx. In tempi di crisi anche questa volta poteva essere una buona mossa tecnica. Nel “derby dello spread” è andata diversamente. La citazione merkeliana del ct tedesco Low “bisogna battere la Grecia con l’istinto del killer” dava già il segno e il sogno di potenza di come sarebbe finito il match. Oggi ad Atene c’è ben poco da festeggiare, in quest’Euro(pa) 2012, davanti alle rapine dei governanti e banchieri europei solo le lotte di riappropriazione collettiva possono far tornare a sorridere e sperare il popolo greco.

Una situazione caotica nell’Euro-crisi avviene nella Spagna, favorita alla vittoria europea ma solo nell’ambito calcistico in questo caso, mentre su quello finanziario chiede aiuti alla UE. Nella penisola iberica c’è stata una vera e propria rincorsa dei maggiori club per indebitarsi con le banche: i bilanci delle società sono in profondo rosso, mentre non diminuiscono affatto gli stipendi milionari dei campéon che approdano tra Madrid e Barcellona. La disoccupazione nel paese iberico è alle stelle e non sembra al momento che un’altra vittoria dopo quella mondiale riesca placare l’indignazione generale.

Sempre sul versante euromediterraneo la Francia arriva un po’ sordina agli europei uscita da poco dalla tornata elettorale e uscita velocemente anche dall’Europeo. Benzema e Ribery durante le partite dei blues non hanno mai cantato la Marsigliese. C’est la banlieu, “l’Equipe de France” diventa anche questa volta lo specchio di una nazione sempre più frammentata in attesa di capire se e cosa cambierà con Hollande.

Sulla sponda atlantica invece ha suscitato non poche polemiche la scelta dei giocatori dell’Irlanda di portare la fascia nera sul braccio in ricordo dei sei caduti per la strage, ancora impunita, di Loughinisland del 18 giugno 1994 quando i paramilitari lealisti dell’UVF irruppero sparando nell’Heights Bar nel corso di Irlanda-Italia. Immediate le polemiche del leader lealista dell’UDA che si è scagliato contro la decisione dell’EUFA e della Football Associaton of Ireland, ma soprattutto sul comportamento degli ultras irish che giravano per le strade di Cracovia al grido “Fuck the Queen”. 

 

La doppia faccia della sfera Calcio-Italia. Biscotti, contro-biscotti e cucchiai: dal calcio scommesse al caso Cassano.

 

Nella sfera calcio-Italia segnato dalla corruzione e dal debito societario pubblico, le parole forti di sospendere il calcio per due o tre anni del commissario tecnico azzurro Monti fanno davvero sorridere a tutti, in un momento dove l’apparato politico-statale è corrotto e indebitato almeno quanto il sistema calcio. Il fallimento, la crisi e la corruzione del mondo del pallone è ancora lo specchio lucido della crisi della rappresentanza. L’inizio d’estate italiana “europea” tra biscotti, contro-biscotti e cucchiai ha sedimentato un legame duplice all’interno/esterno della sfera calcio-politica: dalle inchieste sulle truffe-scommesse che hanno coinvolto i calciatori Mauri, Milanetto, Sculli con gli annessi legami con i clan mafiosi Fiandaca e le famiglie Cangemi-Belcastro, si passa all’altra metà della sfera con le inchieste di corruzione-truffa dei Formigoni e Daccò fino ad arrivare alle ultime telefonate tra Mancino e il consigliere D’Ambrosi sulla trattativa tra Stato-Mafia. Napolitano, accusato d’impeachment, in tutto questo si diverte e sorride assieme ai giocatori della nazionale e l’abbraccio con Buffon (coinvolto anche lui in inchieste sul calcio-scommesse) può essere letto questo gesto nella metafora poli-calcistica. “Scommettiamo su di loro” verrebbe ironicamente da dire, così com’era apparso sarcasticamente tra gli striscioni della prima partita dell’Italia contro la Spagna.

La geografia del calcio è piena di piccoli e molteplici sfaccettature. Tanti episodi sono sfuggiti in questi Europei, alcuni assumono una rilevanza mediatica, altre addirittura riescono a travalicare i confini dell’immaginazione. Esempi di rilevanza mediale sono stati il caso Cassano o le “bizze” che tanto fanno notizia sui tabloid e quotidiani di Balottelli; esempi immaginifici sono stati i fotomontaggi di Keane con la bandiera basca nel post Irlanda-Spagna o un’altra foto girata nei social network che vede Francesco Totti reggere l’appello per l’assoluzione degli imputati per il G8 di Genova. La fantasia applicata al Calcio riesce in alcuni casi ad andare oltre lo scontro tra il vero e il falso. In un altri casi invece la parresia, il coraggio della verità, è necessario. Le gravi dichiarazioni omofobe di Antonio Cassano sono state seguite dai soliti silenzi degli addetti sportivi e istituzionali; sia il presidente della FGCI Abete che i “Presidenti della Repubbliche” Napolitano e Mauro sono stati affetti da una sorta di mutismo temporaneo, e dei “federati” solo il calciatore juventino Giovinco è uscito con delle dichiarazioni dignitose che hanno rotto tabù e gelidi silenzi. Sembra quasi che chi indossi quella maglia azzurra si possa perdonare tutto (Buffon docet.) mentre si parla di calciatori delle serie minori, dei campionati esteri, per non parlare della barbarie ultras (gli ultimi arresti attuati per i tifosi Genoani sono l’esempio lampante del più squallido moralismo calcistico), imperversa un giustizialismo di facciata. Dalla polemica mediatica scatenatasi dal caso Cassano sono usciti solo pochi commenti, la maggiorparte conditi in salsa nazional-popolare: da messaggi di solidarietà di tanti sportivi e giornalisti, passando per gli auguri mossi dalla pietas cristiana che lo contraddistingue di Vendola, ma soprattutto si sono alternati i tanti giustificazionismi di “stampo pasoliniano” dati dalle origini proletarie o sotto-proletarie del calciatore del calciatore barese. La “classe” si dà e si vede dentro e oltre il terreno di gioco, come ci insegna la storia di Sarsak, giocatore della nazionale palestinese.

 

Un eroe-calciatore di una nazionale che non c’è


La vera vittoria, fuori e dentro il campo da gioco, è quella di un calciatore-eroe: Mahmoud Sarsak, il calciatore della nazionale palestinese che per 90 giorni è stato in sciopero della fame. Diversi giocatori come Kanouté del Siviglia, i francesi Anelka ed Eric Cantona avevano firmato l’appello per la scarcerazione che ha provato a mettere pressione alle autorità israeliane. Una protesta che lo ha ridotto in fin di vita e si aspetta finalmente che venga liberato il 10 luglio. Un “calcio lontano” dagli Europei, in quelle terre e nei campetti della striscia di Gaza si gioca la partita di un intero popolo e si spera presto che Sarsak possa presto giocare e segnare nuovamente nei campi di calcio con addosso quella maglia della nazionale che non c’è, ma che più di tutte le altre maglie delle altre rappresentative significa vita, terra e libertà.

 

Ahmed Shams

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