Il tritacarne del profitto uccide un altro giovane in Alternanza Scuola-Lavoro
A Noventa di Piave un ragazzo di 18 anni è morto durante uno stage nella BC Service una fabbrica specializzata in metallo. Secondo le ricostruzioni il giovane è stato colpito da una lastra che gli ha schiacciato le gambe e che era caduta dai cavalletti ai quali era appoggiata.
Dopo Lorenzo e Giuseppe è il terzo ragazzo nel giro di poco tempo che muore durante l’alternanza scuola-lavoro.
I giornali titolano sulle proprie pagine “operaio 18enne travolto da una lastra”, ma questo giovane frequentava un tecnico della zona ed era in fabbrica per maturare i crediti formativi. Dunque perché definirlo operaio? Per occultare il fatto che si trattasse di un giovane ancora nel periodo della sua formazione evidentemente. Perché in questo paese di merda le morti operaie fanno ormai parte di una statistica di guerra a cui gran parte dell’opinione pubblica è assuefatta, mentre il fatto di morire di lavoro mentre si è ancora giovani e nella fase degli studi qualche flebile sussulto ancora lo provoca.
Ora vediamo nuovamente il cordoglio infame del ministro Bianchi e della politica tutta, quando nulla hanno fatto in questo anno per abolire o trasformare i percorsi di PCTO, nessuna nuova norma è stata introdotta per tutelare i giovanissimi dalle morti sul lavoro, anzi chi ha protestato contro questa barbarie è stato soggetto alle manganellate, all’incarcerazione, gestendo nuovamente un problema sociale come un tema di ordine pubblico. Questa morte deve pesare sulle coscienze di chi non ha fatto niente per tutelare gli studenti, di chi ha voltato pagina facendo finta di nulla.
Da gennaio a luglio 2022 le morti sul lavoro sono state 569 con una media di 81 morti ogni mese. E, sebbene le rilevazioni ufficiali da gennaio a luglio 2022 facciano emergere un decremento complessivo della mortalità del 16% rispetto al 2021 (erano 677 a fine luglio 2021), la realtà dei fatti è ben diversa. Perché la flessione continua ad essere fortemente drogata dalla quasi totale assenza nel 2022 dei decessi per Covid rispetto al 2021: lo scorso anno infatti, nei primi sei mesi, gli infortuni mortali per Covid erano 367 su 538, circa il 68%. Quest’anno sono solo 11 su 463, ossia il 2%. Ciò significa che gli infortuni mortali non Covid sono passati dai 171 del primo semestre 2021 ai 452 del corrispondente periodo del 2022, con un eclatante e drammatico incremento del 164%”.
La fascia d’età più colpita dagli infortuni mortali sul lavoro è sempre quella tra i 55 e i 64 anni (145 su un totale di 412). Ma l’indice di incidenza più alto di mortalità rispetto agli occupati viene rilevato ancora tra i lavoratori più anziani, gli ultrasessantacinquenni, che registrano 55,3 infortuni mortali ogni milione di occupati. L’incidenza di mortalità minima rimane, invece, ancora nella fascia di età tra 25 e 34 anni, (pari a 10,5), mentre nella fascia dei più giovani, ossia tra 15 e 24 anni, l’incidenza risale a 12,8 infortuni mortali ogni milione di occupati. Questi dati confermano che la maggior frequenza di infortuni mortali si riscontra tra i lavoratori più vecchi e che i giovanissimi, cioè i lavoratori sotto i 25 anni, rischiano di morire sul lavoro più dei lavoratori più maturi. I settori in cui si muore di più sono i trasporti ed il magazzinaggio, le costruzioni e le attività manufatturiere.
Come si spiega questa strage quotidiana? Tra pandemia, guerra ed inflazione le aziende scaricano la crisi verso il basso risparmiando sulla sicurezza, aumentando i ritmi di lavoro, senza adeguata formazione e con contratti spesso precari e a breve termine. Inoltre gli organismi di controllo sono ampiamente definanziati e incapaci di intervenire in termini di prevenzione. Il modello italiano della piccola e media azienda, tutto incentrato in questa fase sui ricavi marginali che si possono spremere da un maggiore sfruttamento e da un maggiore risparmio è il tritacarne in cui vengono gettate migliaia di vite operaie.
Questa condizione si approfondisce quando si tratta di giovani studenti che entrano tra le mura di una fabbrica per l’alternanza scuola-lavoro, perchè questi non ricevono un’adeguata formazione (considerato il fatto che rimangono poco tempo all’interno dell’azienda e che la formazione è considerata un costo) e vengono spesso messi a svolgere le funzioni più lasche, come forza lavoro addizionale da cui comunque in breve tempo bisogna estrarre il maggior valore possibile.
E’ inaccettabile che questo tritacarne continui a girare per i profitti di coloro che si lamentano ad ogni piè sospinto di fronte a richieste di dignità come il salario minimo o maggiore sicurezza sul lavoro. Il fallimento della società in cui siamo costretti a vivere è evidente quando sacrifica i suoi figli più giovani per qualche settimana di sfruttamento in più, quando la vita di chi lavora vale così poco.
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