La spina nel fianco
Inutile dire che il corteo notav di Torino è stato importante. I numeri, l’energia, la composizione, i discorsi di quella piazza parlano da sé. Settantamila persone hanno risposto presente dopo una delle iniziative più reazionarie degli ultimi quarant’anni che ha visto Confindustria, sindacati confederali, PD, Lega e Forza Italia, Stampa, Repubblica, Il Corriere, Avvenire e il vescovo di Torino giunti in una union sacrée in nome del TAV. Pensavano di poter tirare una riga e andare oltre a questo movimento. In fondo migliaia di denunce a valligiani di ogni età, centinaia di anni di galera, multe per milioni di euro, le botte, i feriti, la denigrazione quotidiana come nemico della crescita e del lavoro. Ci potevano sperare. E invece no. Il movimento notav rimane, inossidabile, non si piega, non si spezza, una tenacia che ci sorprende a ogni passo che muoviamo assieme a questo esperimento collettivo indescrivibile. Il movimento notav resta, come una spina nel fianco del potere, perché di quel potere è riuscito a svelarne la verità. Violenza, menzogne, interessi, collusioni, bassezze. Di governi ne ha visti passare 19 ed è sempre rimato al suo posto. C’eravamo, ci siamo e ci saremo, non è una promessa è una linea di condotta che si è sedimentata in uno scontro sempre aperto.
Si è paragonato quello che è successo qualche giorno fa a Torino, la canuta piazza sitav, alla maggioranza silenziosa della marcia dei 40’000. Perché oggi Torino, a differenza di allora, ci restituisce una risposta di questa tenore?
La borghesia torinese arrivò all’accelerazione politica dell’autunno del 1980 dopo anni di innovazioni tecniche e di attento studio della propria controparte. Gli operai prima resi superflui, poi messi alla porta, annunciavano i prodromi della lunga fase della finanziarizzazione della Fiat che porteranno il colosso dell’auto ad abbandonare Torino, lasciando la città a leccarsi le ferite della deindustrializzazione. Più importante ancora, la marcia dei capi si faceva interprete dell’egemonia rampante che avrebbe caratterizzato i due decenni successivi, quella del libero mercato e della crescita infinita.
Oggi le élite cittadine suonate dalla batosta elettorale del 4 marzo, disorientate dagli sconvolgimenti del quadro politico ed economico mondiale si presentano davanti al paese senza uno straccio di piano industriale e senza la volontà di mettere il becco di un quattrino per ballare adoranti intorno al totem della seconda linea Torino-Lione, ormai feticcio dalle virtù taumaturgiche e foglia di fico per nascondere il nulla assoluto di una borghesia senza un progetto neppure per sé stessa. È un tentativo di restaurazione senza ristrutturazione quello messo in campo da un classe dirigente impaurita dalla rimessa in questione del proprio ruolo e che come tale non può esser votato ad altro che al fallimento. Il futuro di cui tanto si parla dalle parti del fantomatico fronte sitav, quello della turistificazione e delle grandi opere, è in realtà un passato già chiuso e l’esaurirsi di quel modello imperniato sull’inghirlandamento del centro città a scapito di una periferia lasciata languire nella miseria si è già compiuto da un pezzo. Ciò non significa, ovviamente, che le ragioni del movimento contro la Torino-Lione prevarranno a causa delle condizioni oggettive presenti, tutt’altro. Anzi, niente è più incerto vista la pavidità del governo sulle istanze poste da un movimento che è una spina nel fianco anche per loro. Ma anche ciò che sta succedendo in Francia ci indica chiaramente che il vento sta tirando da tutt’altra parte rispetto ai piani del partito del PIL.
Il futuro ha un nome e si chiama notav.
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