La vita nuda affogata nel Mediterraneo
Davanti al naufragio che è costato la vita a quasi un migliaio di persone di fronte alle coste siciliane, le sole voci che si sentono sono quelle d’una classe politica che specula, millanta e grida in modo indecente. Razzisti gentili fustigano razzisti beceri, democratici studiano soluzioni tecniche per tenere la “crisi umanitaria” lontana dagli occhi lontana dal cuore, intellettuali difensori della legalità chiamano al risveglio delle coscienze davanti alla barbarie che le loro leggi hanno provocato.
L’orrore vero ha la forza di annientare le capacità di espressione di chi ne subisce l’impatto. È un rapporto col dolore che ci lascia senza parole rendendoci impossibile elaborare un evento. La sfera politica suona subito oscena e falsa e l’unica reazione umana sembra quella della pura empatia che schiaccia la dimensione della strage su quella della tragedia. Il rispetto per le vittime diventa l’oblio dei responsabili.
Il fondamento dello Stato è nella capacità che ha il potere sovrano di uccidere senza commettere omicidio. In questo la strage di ieri è radicalmente politica. Alla base della democrazia moderna non c’è il cittadino ma l’uomo ridotto a vita nuda e che, in quanto tale si può uccidere senza conseguenze. Molti commentatori mainstream, gli stessi che invitano Salvini a grugnire quotidianamente in TV, si dicono sotto choc nel leggere gli immondi commenti che tifano per nuovi barconi affondati. Usare la chiave di lettura del razzismo è senza dubbio troppo riduttivo per qualificare una posizione che semplicemente verbalizza lo sporco segreto alla base della nostra “civiltà”. Viviamo un mondo che fa del migrante “una cosa” al di fuori della sfera dell’umano e che quindi in quanto tale si può, o addirittura si deve, uccidere. Ragioniamo di ciò che accade al largo delle coste italiane non come di un episodio che rappresenta un’aberrazione della costruzione europea. È una strage che mostra la natura genuina del potere occidentale che, in questi tempi d’incasinamento generale, si mostra sempre più nella propria crudezza: un sistema di dominio che fa della morte il suo punto di partenza e il suo punto di arrivo.
Questo genere di episodi non aprono mai spazi per politiche progressiste. Al contrario, sono regolarmente la base per nuove “guerre umanitarie”, per scaricare ulteriormente i costi della gestione delle frontiere (magari esternalizzando le procedure d’asilo direttamente in Nord Africa) e per militarizzare ulteriormente i confini.
Esistono oggi i mezzi tecnici che permettono di traversare un mare come il Mediterraneo in maniera rapida e sicura. Ci sono leggi che tentano d’impedire questo gesto banale trasformandolo così in un’impresa mortale. Non sono certo gli scafisti contro cui Matteo Renzi ha lanciato oggi il suo anatema che le inventano e le applicano ogni giorno. Gli assassini sono loro. Sono proprio tutti quelli che stanno prendendo parola oggi sulla strage, dal funzionario che protegge col suo corpo una linea immaginaria al politico che approva disposizioni per impedire la legittima libertà di movimento.
Il dibattito politico è ormai tra un blocco navale, maggiori controlli o raid sulle coste contro “i mercanti d’uomini”. Tutti concordano sul fatto che bisogna ristabilire una situazione di ordine e legalità per impedire altre “tragedie”, facendo sottilmente scivolare la questione dal come salvare i migranti a come condannarli a restare dove sono. La natura duale del diritto ne fa uno strumento che pone una violenza mentre ne preserva un’altra. Indipendentemente dagli interventi concreti che l’Europa invocata da Matteo Renzi metterà in piedi, questi avranno inevitabilmente due effetti: da una parte quello di porre una nuova violenza con la militarizzazione delle frontiere e dall’altra quello di preservare la violenza che subisce l’umanità in fuga da guerre e povertà impedendogli definitivamente di raggiungere le coste europee.
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