Mezzogiorno: Sharm El Sheik o paradisi indiavolati?
Dal “Mangiare italiano” al “Mangiamo l’Italia” il passaggio è piuttosto facile e agevole. La storia recente di questo paese si è del resto distinta per la capacità parassitaria di tanti imprenditori e politici di nascondere, dietro retoriche italianiste, progetti e fini di saccheggio dei territori, dei fondi pubblici, delle risorse economiche e ambientali.
Tutto ciò avviene con sempre maggiore arroganza accompagnata da una sempre minore capacità di leggere le realtà su cui si pensa di intervenire, abbassando di molto l’asticella del valore di certi dibattiti pubblici e ragionamenti politici.
Attenzione. Parleremo adesso di un “fatto” che appare immediatamente tanto ridicolo quanto paradossale. Ma forse, proprio per questo, vista la storia del capitalismo nostrano, un po’ pericoloso. Certamente paradigmatico.
Ieri, in un’intervista rilasciata a Sky e ripresa oggi da Il Fatto Quotidiano, Oscar Farinetti (fondatore di Eataly) dichiara che, a suo modo di vedere, l’unica salvezza possibile per un Sud d’Italia che versa “in una condizione terrificante” sarebbe farne “un unico grande Sharm El Sheik”. Egli aggiunge, per dovere di precisione e chiarezza, che “E’ stato fatto troppo welfare nelle istituzioni e c’è un clima generale difficile“. C’è da pensare ad un nuovo modello economico dunque di cui si premura anche di indicarne la via sintetizzando così “Aprirei a tutte le multinazionali del mondo affinché vengano a farlo. Concederei loro agevolazioni fiscali bestiali, non farei pagar loro le tasse per 10 anni.”
Apriti cielo! – direbbe qualcuno. Che imprenditore illuminato! Come non averci pensato prima?!
O forse qualcuno, prima di lui, ci aveva già pensato…magari. Ricordate la Fiat di Termini Imerese, le sovvenzioni statali, le agevolazioni fiscali e i prestiti? Come è finita tutti lo sappiamo. O l’Ilva di Taranto? O gli impianti di raffineria in giro per la Sicilia (Milazzo, Gela, Priolo)? Farinetti lo ricorda? Probabilmente si, ma non interessa. Del resto è tipico degli imprenditori avere (e chiedere a chi di dovere di avere) memoria corta. Ma soprattutto è tipico degli imprenditori pensare ad ogni cosa – bene, paesaggio, servizio, diritto, ambiente – come potenziale “profitto”. Farinetti e i suoi fans in giro per l’Italia oggi pensano a questo Mezzogiorno disastrato come un incredibile fattore di guadagno.
In questo senso hanno trovato l’arma migliore possibile: la retorica sulla bellezza dei luoghi del Sud, la vocazione (presunta) al turismo di massa, o meglio, al consumismo turistico. E va da sé che così sfondano una porta aperta già tanto tempo fa. Il sole, il mare e il pesce: è molto tempo che ci sentiamo ripetere che sarebbero (solo) queste le ricchezze che il Sud può offrire al mondo. Le popolazioni che ci vivono, i loro legami, le loro culture, tradizioni, gli stili di vita, non contano; anzi, sono un problema (figuriamoci considerare questo portato sociale una ricchezza). Il Mezzogiorno d’Italia vivrebbe meglio senza i meridionali: in quel “paradiso abitato da diavoli” serve valorizzare l’utile (i paesaggi) ed eliminare le contraddizioni (gli stili di vita e di relazione).
In una parola – ed ecco che ritorna trionfalmente – servirebbe lo Sviluppo!
Così, se una volta si diceva portiamo al Sud le fabbriche e diamo lavoro a nuovi operai, oggi la proposta è quella di trasformarlo in un grande parco giochi in cui tanti bei turisti educati andrebbero a “godere” delle bellezze del Sud. Si dirà: ma darebbe lavoro. Certo, ma forse sarebbe il caso di chiedersi a chi e a che condizioni. Certamente ci guadagnerebbero quegli imprenditori che hanno la forza di stare sul mercato globale delle filiere agroalimentari; e i lavoratori? E gli abitanti? Dettagli: sarebbero certamente felici (?) di lavorare per multinazionali mentre la politica che le finanzia continua nei suoi piani di smantellamento di ogni diritto pubblico e servizio; proprio quello che Farinetti, un nuovo “tedesco” accusatore degli sprechi dei Piigs, chiama il “troppo welfare” ma che, ne siamo certi, piacerebbe davvero tanto a Renzi e alle sue politiche di privatizzazione della “cosa pubblica”.
La versione 2.0 delle retoriche sullo sviluppo, tutto incentrata sulle possibilità del green e della sostenibilità, arricchita da un rinnovato romanticismo sulle vocazioni territoriali, è la necessaria e attuale prosecuzione di una “politica dello sviluppo” che, seppur addolcita, parla il linguaggio dello sfruttamento intensivo dei territori, delle risorse e, soprattutto, del lavoro; privatizzazione ed espropriazione – ottenuta a colpi di nuove devastanti cementificazioni – rappresentano le coordinate fondamentali di questo processo.
Qualcuno direbbe che questo è “neo”, per noi è sempre e comunque il solito vecchio liberismo imprenditoriale; le solite fastidiose logiche capitaliste!
Se proprio dobbiamo guardare all’Egitto come modello da seguire, noi preferiamo di gran lunga il modello della prima piazza Tahrir e delle sollevazioni recenti proprie di quei luoghi adibiti a parco giochi per i turisti europei (vedi anche Tunisia) a quello di Sharm El Sheik: andremmo molto più volentieri lì a scoprire le ricchezze dei luoghi.
Per chi ancora non ha avuto il (dis)piacere, coglioni così non se ne fanno tutti i giorni…
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