#occupatutto – autonomia vs debito
Assemblea delle realtà autonome ed antagoniste italiane.
Lo scenario globale ci parla di una nuova grande “accumulazione” giocata sulla vita nel suo complesso: proseguire nella “svalorizzazione” di territori, energie della cooperazione, generazioni e condizioni sociali, è’ la cifra con cui il capitale descrive e gestisce questa crisi della finanziarizzazione e del debito, affinchè non mutino i livelli alti di potere e di dominio. Per questo pensiamo che la fase attuale ci consegni una profonda ambivalenza: la crisi finanziaria – ed il meccanismo del debito che la sostanzia – comporta dal punto di vista del Capitale una violenta accelerazione di processi di espropriazione e proletarizzazione necessari ai tentativi di “uscita” dall’instabilità finanziaria. Non c’è generazione, genere, segmento, né porzione di vita (lavoro, salute, consumo, studio, riproduzione sociale nel suo complesso) della società che sia immune dalla cattura e dalla finanziarizzazione del sistema del debito e della cartolarizzazione delle proprie condizioni, materialità o aspettativa di benessere. D’altra parte ciò mina in profondità il consenso necessario per mantenere in piedi questa “nuova” accumulazione – segnata da continui tagli, privatizzazioni e riduzioni di spesa verso ulteriori depressioni – incrinando sia il paradigma neo-liberista dell’accesso al credito ed al consumo come contropartita di privatizzazioni e precarietà, sia la “normale” formazione e riproduzione di soggettività antropologicamente inclini all’“individualismo proprietario”. E la forma politica istituzionale del governo tecnico capitanato dal banchiere Monti che irrompe nello scenario del post Berlusconi – con in testa il Partito di Repubblica ed il centro-sinistra che si preparano a governare l’austerity in modo finalmente rassicurante la comunità internazionale – ripete ossessivamente la litania di Napolitano del “senso di responsabilità” e di “coesione nazionale”, dei sacrifici e della necessità di pagare i costi del debito, dell’affidabilità nei confronti dei profitti e delle rendite degli investitori delle Banche. Se il governo Monti nasce come idea di fare una serie di riforme che non si sono mai riuscite a fare – poiché impopolari, difficili, e che molto incideranno sul tessuto sociale – lo schiacciamento su di esse da parte del ceto politico di centro-sinistra anti-berlusconiano ne dimostra la completa sudditanza tecnocratica al regime finanziario. Da questo punto di vista l’opposizione al taglio delle pensioni della Lega ed allo stesso governo Monti, potrebbe indicare bene il tentativo da parte delle destre di ricavalcare i crescenti spazi sociali di disagio e malessere, che proprio la sinistra parlamentare fomenta con la sua incapacità di parlare e mettere in pratica soluzioni che non prevedano il sacrificio come unico orizzonte di vita.
Per questo, ed a maggior ragione, agire l’ambivalenza costitutiva del contemporaneo capitalismo – l’assenza di contro-partita reale in cambio di un peggioramento della propria vita – è il motivo con cui cerchiamo di leggere nell’orizzonte di austerità le possibilità di lotte sociali massificate e radicali che si facciano terreno costituente di forme autonome della riproduzione sociale complessiva.
Pensiamo che creare lotte contro il debito abbia molto a che fare con la costruzione di soggettività politiche autonome come processo inerente, contiguo ed attento alle caratteristiche della composizione di classe. Siamo consci che questa categoria non sia il riflesso di un soggetto già formato, quanto la posta in palio di percorsi collettivi che vogliano spingere soggettive condizioni d’insopportabilità, indignazione e rabbia, verso un comune riconoscimento di sé come grande classe parte (il 99%?…). Ed al contempo non nascondiamo che sia la ricerca politica di un’internità – data da conricerca, lotte e radicamento- dentro questa larga, eterogenea e diversificata composizione di classe, a costituire la base di partenza dalla quale sviluppare pratiche, obiettivi e progetto di cambiamento sociale.
Proprio la giornata del 15 ottobre ci lascia con una doppia indicazione: se in piazza san Giovanni è ri-emersa una composizione di classe, già protagonista il 14 dicembre scorso, poco incline al compromesso ed a forme di partecipazione politica che non parlino il linguaggio reale del conflitto e della trasformazione, d’altra parte la preparazione, la “gestione” e parte del dibattito che ha seguito la manifestazione, ha evidenziato i forti sintomi dei limiti e dell’inadeguatezza soggettiva e progettuale di interi pezzi di “movimento”, mettendo in luce la crisi della forma “opinionistica” e di testimonianza. Tutto ciò pensiamo proprio rimandi tanto alle capacità -da costruire, potenziare ed arricchire- per tradurre il “dentro e contro” le contraddizioni sociali in forme di espressione politica, quanto al progetto ed alla sua direzione ricompositiva, sapendo che non esistono né formule prestabilite né scorciatoie organizzative.
Mettere a critica la divisione e la frammentazione della composizione e delle differenti figure e soggetti sociali, significa prima di tutto provare ad immaginarne orizzonti comuni. I punti da cui iniziare sono sempre le lotte, le soggettività che ne sono protagoniste, i percorsi che le formano, il “discorso” che creano, la ricchezza e l’estensione dei legami che producono, le controparti che colpiscono. E’ da qua che cerchiamo di leggere le tendenze e le possibilità di valorizzazione di questa complessa e potente eterogeneità. Viceversa la divisione tra le composizioni (sociali e tecniche prima che politiche) riproduce i meccanismi del sistema neo-liberista di gerarchizzazione e di “guerra contro tutti”, impedendo legami ed alleanze: la prateria che intercorre tra i diversi segmenti appartenenti alla comune proletarietà, se alimentata, ostacola le possibilità di rottura e di trasformazione del reale, che si può dare solo in presenza di soggettività forti e ricche. Non pensiamo si tratti oggi di “pesare” e “misurare” quanta di questa necessaria forza risieda, ad esempio, nel ceto medio proletarizzato, e quanta invece nel precariato sociale giovanile: di sicuro sappiamo che l’una senza l’altra – o peggio – l’una contro l’altra, fanno il gioco del padrone collettivo, ed evitano le possibilità di soggettivazione, espressione e partecipazione conflittuale. La progettualità di lotta comune nella crisi, a partire dallo spazio transnazionale, tende piuttosto al riconoscimento ed all’ organizzazione in formazione di un ceto medio declassato e un proletariato senza prospettive di riscatto sociale, che si nutrono entrambe di movimenti di puro rifiuto dell’austerity: ovvero il rifiuto di pagare le conseguenze dell’economia della crisi e di accettare l’enorme spostamento di ricchezza che l’economia del debito sta provocando a favore dei potenti, impoverendo la grande classe parte del 99%. Tutto ciò è base e prospettiva totalmente “altra” dal presupposto che la ricomposizione sia la semplice alleanza tra rappresentanze politiche, sindacali, o associazionistiche.
Nell’attuale impasse di movimento, rispondere alla domanda politica di protagonismo della composizione sociale complessiva è imprescindibile per tradurre il diritto all’insolvenza nella prospettiva di connessione del conflitto e della costruzione di autonomia a livello transnazionale. Se l’insorgenza della primavera araba ha rotto la narrazione del dominio con l’inizio di processi rivoluzionari, oggi il piano internazionale delle lotte è portato avanti in maniera particolarmente incisiva dal movimento occupy, che sta avendo il suo epicentro negli States – proprio laddove sono nate crisi, indebitamento e disuguaglianza.
La ribellione contro il pagamento del debito e la tensione verso un’autonomia della riproduzione sociale che scaturisce da questa lotta, pensiamo siano gli orizzonti entro cui possano e debbano darsi i terreni della ricomposizione sociale e di una progettualità di lungo periodo su cui configurare sperimentazioni d’alterità e trasformazioni possibili. Sebbene questa sia la cornice entro cui oggi necessariamente le lotte sociali si inscrivono, pensiamo a quest’assemblea come occasione in cui tematizzare ed approfondire alcune implicazioni e traduzioni politiche che derivano da quest’assunto. Sul “diritto al default”, pensiamo che la lotta contro il pagamento del debito per configurarsi come costruzione di modello altro e alternativo di società, deve passare dalla negazione delle presenti condizioni di immiserimento, e da un’opposizione ed un conflitto sociale reale che ottenga effettivamente risultati! La riflessione sulla soggettività è quindi porsi come compagni e compagne la questione di quale forza serva (e di come formarla) per saltare dalla resistenza all’impoverimento in atto, verso nuove forme autonome di vita e riproduzione sociale autonoma. La forza necessaria per invertire i rapporti di forza tra poveri ed impoveriti, indebitati e precarizzati da una parte, e l’1% di capitalisti dall’altra, pensiamo che sia da con-ricercare dalle forme virali di produzione e di organizzazione transazionale che esprime la cooperazione sociale, nel rapporto tra rete-conflitti e composizione. Del resto è la genesi dei movimenti del 15 ottobre, dell’11.11.11, di #occupyeverywhere che ci indica la potenza e la tendenza del rapporto tra occupazione territoriale e spazio transnazionale dell’organizzazione! Non che non si diano evidenti differenze di contesto e di intensità di conflitto: ad esempio in Spagna l’indignazione a vocazione maggioritaria riflette una potenza alquanto diversa dagli scioperi generali e dallo scontro sociale della Grecia; oppure negli Stati Uniti, patria dell’ideologia capitalista neo liberal e dell’individualismo proprietario, nonostante la composizione del movimento occupy sia meno massificata, sta avendo la capacità di imporre un cambiamento di discorso importante, che compie salti significativi in avanti, dall’embrionale occupy wall street di settembre fino ad Oakland, dove il movimento occupy si è saldato con livelli più sociali e di classe, costruendo importanti ricomposizioni, estensione e radicalizzazione delle lotte.
Ma tendenza comune che individuiamo tra le piazze nordafricane Tahrir e la Casbah occupata di Tunisi, tra le piazze indignate di Madrid e Barcellona, quella greca di piazza Syntagma, e il movimento che da #occupy wall street, passando per #occupy Oakland, si sta diffondendo viralmente dalla rete alle strade, è quella di coniugare la contestazione e la contrapposizione al potere politico istituzionale e finanziario, con la sperimentazione di legami, relazioni, attività, saperi, per un radicale contro-sviluppo collettivo di capacità sociali, culturali, tecniche e progettuali.
E’ il terreno di conflitto che dalla impossibilità della riproduzione sistemica guarda alla separazione e all’autonomia delle forme della riproduzione sociale dal ricatto finanziario.
Il rapporto che c’è tra territorialità e spazio transnazionale della crisi, nella lotta contro il pagamento del debito, dal nostro punto di vista deve fare i conti con la irreversibile crisi della forma democratica neo-liberale per approfondirne la delegittimazione. Per i movimenti della riappropriazione della ricchezza sociale, la cornice delle istituzioni della democrazia nazionale e rappresentativa è asservita completamente ai livelli più alti dei poteri capitalistici, come la Banca Centrale Europea; e questa può ancora essere considerata come ambito da praticare giusto per chi vuole impantanarsi nelle logiche della rinuncia e del compromesso, e rimanervi incollato al fango delle poltrone! Le dichiarazioni di Vendola, disponibile al governo tecnico come “governo di scopo” mostrano quanto mistificatrice sia la posizione di chi pensa di trovare in parlamento uno spazio da legittimare per interloquire e contrattare effettivamente per il diritto all’insolvenza. Se ci sono istituzioni da legittimare, sono quelle che potranno sorgere dentro e oltre processi di lotta e di riconoscimento collettivo di una composizione eterogenea che vive nelle piazze, nelle scuole, nei posti di lavoro già un’insopportabilità sociale che nessun recupero “democratico” ha il potere, né la volontà di risollevare. Il reddito da conquistare, sarà quello ottenuto dalla diffusione e dall’estensione di processi di riappropriazione tutti da costruire. E’ su questi processi, sulla loro sedimentazione e sul loro sviluppo ed accelerazione che vogliamo investire militanza, energie e riflessioni. Ed è su questi che vogliamo scommettere per imporre un’inversione di marcia.
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Sabato 26 novembre
ore 15.30 introduzione ed assemblea generale
ore 20 cena
Domenica 27 novembre
ore 10.00 – tavoli di lavoro
metropoli
infoaut network
formazione in conflitto: scuola ed università
Ore 13.30 pranzo sociale
ore 15.30 – relazioni e conclusioni
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per info e partecipazioni: ass.nazionalepisa@gmail.com – 328 3722853
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