InfoAut
Immagine di copertina per il post

Palestina, il “senso storico” e noi

Che questi tempi siano portatori di confusione e disorientamento non è una novità. Sono anni che ci misuriamo con fenomeni complessi in cui gli intrecci dei livelli di realtà che si incontrano e scontrano sono talmente tanti e talmente variegati che diventa difficile trovare una bussola individuale e collettiva.

Ciò accade anche perché negli ultimi decenni abbiamo visto traballare i riferimenti cardinali che avevano formato la storia dell’ultimo mezzo secolo. Le relativamente “sicure acque” in cui sembrava scorrere la storia dal nostro lato del mondo si sono fatte prima agitate, poi tempestose ed adesso nella percezione di molti sembrano pronte a trasformarsi in un diluvio universale. Questo timore generale rischia di farci sentire impotenti, quando non assume le forme di un tentativo di aggrapparsi alla realtà così com’è, con le sue contraddizioni, ma anche i suoi “pregi” per chi come noi è nato in una periferia dell’impero.

Questa premessa un po’ verbosa crediamo sia dovuta, perché non vogliamo fare una lezioncina moralizzatrice, né porci al di sopra della discussione: lo stesso dibattito, gli stessi dubbi e lo stesso disorientamento tocca noi, come tutta la società in cui siamo immersi.

Quanto sta accadendo in Palestina crediamo sia un elemento chiarificatore. Lo è sicuramente per le masse che si sono messe in movimento per sostenere la popolazione di Gaza non solo nel mondo arabo, ma anche in tutto l’Occidente. Una composizione variegata e trasversale sta dando vita ad un movimento globale di sostegno al popolo palestinese marciando in direzione ostinata e contraria rispetto ai propri governi. Lo dicono senza troppa remore i commentatori prezzolati dei talk show: “la battaglia delle opinioni pubbliche” per loro “è persa”. Il tentativo è quello di ridurre ogni moto d’indignazione contro il genocidio in corso a Gaza alla categoria di “antisemitismo” snaturandone il significato storico. Questa menzogna è smentita dai molti ebrei che in tutto il mondo si stanno mobilitando contro il sionismo e l’occupazione chiedendo ad alta voce un immediato cessate il fuoco fin dai primi giorni del conflitto. Sembra sia in corso la maturazione di un nuovo antimperialismo ed internazionalismo che travalica confini etnici, religiosi e nazionali ed è in una certa parte una novità: non è un internazionalismo codificato in un quadro più ampio, come quello del movimento comunista nel novecento, eppure al suo interno si assiepano una serie di tensioni, vissuti e pulsioni che rappresentano una matrice condivisa del rifiuto del dominio e dello sfruttamento nella loro natura odierna. Nelle stesse piazze, o comunque nello stesso quadro di mobilitazione, osserviamo i diversi sensi che assume la questione palestinese per gli afroamericani in lotta contro il razzismo sistemico, per le seconde generazioni segregate delle metropoli europee, per i giovani bianchi proletari o in via di proletarizzazione, per quei lavoratori e quelle lavoratrici della cura, della conoscenza, che riscontrano come il prodotto dei loro studi venga utilizzato contro i popoli colonizzati, ma anche per quella spuria composizione neopopulista derivata dalla crisi dei ceti medi in occidente.

La questione palestinese diviene così centrale per mondi così diversi perché è cartina di tornasole dell’ormai infinito repertorio di contraddizioni che porta con sé il sistema economico e di dominio vigente. Non si tratta “solo” di una solidarietà umanitaria, che comunque non è da disdegnare, ma di un riconoscersi in gradi diversi in quella insopportabilità delle condizioni di vita che i palestinesi sperimentano da decenni nella sua versione più brutale e cinica: ecco dunque la sostanza di un nuovo possibile internazionalismo in fase di maturazione.

Ciò è dato dalla natura dello Stato d’Israele e dal suo percorso storico. Ben oltre l’ancora geopolitica dell’Occidente a guida USA in Medio Oriente, questo è divenuto la sintesi tra vecchi e nuovi imperialismi, l’espressione compiuta del doppio movimento del capitale in grado di coniugare allo stesso scopo il liberalismo progressista delle grandi metropoli ed il misticismo reazionario, l’ultradestra più essenzialista e violenta. Uno stato la cui scienza si sviluppa come esperimento sociale di massa dell’apartheid, della sorveglianza e della guerra permanente, un luogo in cui l’integrazione differenziale di lavoratori e lavoratrici come strumento della scomposizione di classe è a pieno regime. Ovviamente lo Stato d’Israele non è immediatamente sovrapponibile alla popolazione che lo abita, a tutta la popolazione indipendentemente dalla propria confessione od etnia. Le piazze contro Netanyahu degli scorsi mesi sono state l’emersione di una parte di queste contraddizioni, quelle che vedono il percorso storico del capitalismo nella crisi della globalizzazione sempre più incompatibile persino con la stessa democrazia borghese classicamente intesa. Ma la rimozione totale della questione palestinese, del colonialismo e del razzismo hanno indicato come queste piazze non siano state in grado di aggredire il centro del problema e non solo i suoi sintomi superficiali. In quelle giornate abbiamo visto nello specchio quanto molto spesso accade anche alle nostre latitudini con la differenza che a separarci dai frutti avvelenati del nostro neocolonialismo e dai popoli subalterni che lo subiscono ci sono mari e deserti. Oggi alcuni progressisti israeliani possono essere storditi da quanto è successo il 7 ottobre, dal carico di violenza che parte di quel popolo invisibile per molti ha improvvisamente scagliato nelle loro vite, ma ciò che è accaduto è anche figlio della rimozione collettiva, è il colonialismo che genera le sue crisi, la sua immagine nello specchio.

Lo Stato d’Israele dunque è la sintesi di molte delle contraddizioni del sistema di dominio in cui viviamo ed è in parte la prefigurazione dei dispositivi politici e tecnici che il capitale potrebbe mettere in opera (o ha già messo in opera) anche da noi.

Adesso non ci interessa dissezionare i fatti del 7 ottobre, fare i conti di quanti civili siano morti per il fuoco incrociato e quanti siano stati massacrati: la violenza settaria è purtroppo parte delle lotte anticoloniali da sempre. Spesso questa violenza è rapportabile al grado di riconoscimento del conflitto: più si riconosce di avere un problema, più la natura dello scontro diventa politico, più lo si rimuove, lo si soffoca, lo si pensa di risolvere in termini “tecnologici” più le forme del conflitto precipitano in questo genere di violenza.

I palestinesi, Gaza, la Cisgiordania per lunghi anni sono stati rimossi da chiunque: dai progressisti israeliani, dalla comunità internazionale, dalla gran parte dei paesi arabi e anche in un certo grado dai movimenti sociali occidentali. Sembrava a molti che la resistenza fosse ormai domata e che i palestinesi sarebbero divenuti le vittime inermi del progetto di pulizia etnica dell’ultradestra israeliana.

Ma il sistema di dominio in cui viviamo e dunque anche lo Stato d’Israele come sua emanazione in Medio Oriente vivono un momento di crisi senza precedenti. Una crisi multipla, in cui vengono al pettine diverse questioni, anche queste spesso riscontrabili in tutta la loro violenza in Palestina. Una crisi ecologica, una crisi politica e sociale, una serie di crisi geopolitiche: in generale una crisi del comando, non solo e non tanto sul piano militare, quanto sul piano di visione, ordinativo, di prospettiva. Non si può capire ciò che si è messo in moto dal 7 ottobre senza partire da qui. Non si può comprendere l’enorme rappresaglia israeliana senza partire da qui. L’assedio di Gaza deve essere una lezione per tutti, il comando è ancora saldo ed è in grado di fare stragi inenarrabili se messo in discussione. Ma quando ciò accade in realtà non fa che mostrare tutta la sua fragilità. E’ in questa fragilità che possono nascere nuovi mondi possibili, che può nascere una nuova solidarietà tra i popoli e forse anche una nuova prospettiva di eguaglianza e libertà, ma anche altre forze comprendono questa fragilità con prospettive ben diverse dalla nostra. Tocca avere “senso storico” nella consapevolezza che oggi queste prospettive sono lontane, che le opzioni anticapitaliste e trasformative sul campo sono arretrate, ma che si aprono importanti finestre di possibilità ed è necessario affinare lo sguardo, l’azione, comprendere dove vanno le masse popolari e quale può essere il nostro contributo.

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Editorialidi redazioneTag correlati:

ASSEDIO DI GAZAisraelepalestinastati uniti

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Il lavoratore inesistente

La retorica della destra sul movimento “Blocchiamo tutto” ci racconta meglio di ogni saggio la visione dominante sul ruolo dei lavoratori e delle lavoratrici nella società: farsi sfruttare, consumare e stare muti.

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Alcune riflessioni a caldo su “Blocchiamo tutto”

E’ quasi impossibile fare un bilancio organico di queste giornate incredibili. Il movimento “Blocchiamo tutto” ha rappresentato una vera discontinuità politica e sociale nella storia italiana.

Immagine di copertina per il post
Editoriali

La guerra è pace

Uno dei famosi slogan incisi sul Ministero della Verità del romanzo di George Orwell “1984” recita così.

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire

Meloni difende a spada tratta l’agito del governo su Gaza e attiva la macchina del fango nei confronti della Global Sumud Flotilla e del movimento Blocchiamo tutto.

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Sullo sciopero generale del 22 settembre una giornata di resistenza e lotta – Milano

Il 22 settembre, in occasione dello sciopero generale nazionale, le piazze di diverse città italiane sono state attraversate da movimenti di massa che hanno dato vita a cortei, scioperi, blocchi e boicottaggi contro la macchina bellica, in solidarietà con il popolo palestinese e contro il genocidio. È stata una giornata fondamentale nella ricomposizione di un […]

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Blocchiamo tutto! Insieme, per Gaza

E’ difficile prendere parola sulla giornata di ieri. Sono mille gli stimoli, i punti di vista da cui guardare quanto è successo. 

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Lo stadio finale di Israele: tra autarchia e capitalismo di rapina

L’immagine di invincibilità che lo stato sionista sta cercando di ristabilire sul piano militare non può nascondere i segni della sua corsa, irreversibile, verso un capitalismo di rapina.

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Milano: urbanistica, speculazione e stratificazione di classe

Mettiamo per un attimo da parte gli aspetti corruttivi dell’intricata vicenda che vede coinvolti imprenditori, architetti, assessori e dipendenti comunali.

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Sono dazi nostri

Non c’è altro modo per definire l’incontro tra Ursula von der Leyen e Trump se non patetico.

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Ma quale “imperialismo iraniano”?

Per un attimo ci siamo illusi/e che di fronte a fatti di questa portata la priorità fosse quella di capire come opporsi, dal nostro lato di mondo, al caos sistemico che Israele, con l’appoggio degli Stati Uniti, sta portando sulla regione.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Free Shahin! Appello alla mobilitazione

Apprendiamo con grande preoccupazione del mandato di rimpatrio emanato dal ministro Piantedosi su richiesta della deputata Montaruli nei confronti di Mohamed Shahin, compagno, amico e fratello.

Immagine di copertina per il post
Bisogni

Quando il popolo si organizza, il sistema vacilla

L’ultimo periodo di lotte ha mostrato che il potere trema solo quando il popolo smette di obbedire.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Torino: Mohamed Shahin libero subito!

Ripubblichiamo e diffondiamo il comunicato uscito dal coordinamento cittadino Torino per Gaza a seguito della notizia dell’arresto di Mohamed Shahin, imam di una delle moschee di Torino che ha partecipato alle mobilitazioni per la Palestina.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Bombardamenti israeliani contro il Libano: 5 morti, tra cui l’Alto comandante di Hezbollah, Haytham Ali Tabatabaei

Beirut-InfoPal. Il ministero della Salute Pubblica libanese ha diffuso il bilancio ufficiale dell’attacco israeliano senza precedenti contro un’area residenziale alla periferia sud di Beirut, domenica 23 novembre: cinque morti e 28 feriti.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Il caso di Ahmad Salem, in carcere da 6 mesi per aver chiamato alla mobilitazione contro il genocidio

Ahmad Salem è un giovane palestinese di 24 anni, nato e cresciuto nel campo profughi palestinese al-Baddawi in Libano, arrivato in Italia in cerca di protezione internazionale e che dopo il suo arrivo, si è recato a Campobasso per presentare richiesta di asilo politico.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Non ci sarebbe mai stata una fase due, il cessate il fuoco era la strategia

Il cessate il fuoco, come i negoziati, sono diventati un altro campo di battaglia in cui Tel Aviv temporeggia e Washington ne scrive l’esito.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Bologna: corteo “Show Israel Red Card” contro la partita della vergogna tra Virtus e Maccabi Tel Aviv

Ieri, venerdì 21 novembre, corteo a Bologna contro la partita della vergogna, quella di basket tra Virtus e Maccabi Tel Aviv prevista alle 20.30 al PalaDozza.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Ecuador: il trionfo di un popolo che non rinuncia alla sua sovranità

Nel referendum del 16 novembre il popolo ecuadoriano ha detto NO

Immagine di copertina per il post
Bisogni

E’ ancora il momento di bloccare tutto!

Il 28 novembre sarà sciopero generale, coordiniamoci in tutte le città, in tutte le provincie, in tutti i paesi per bloccare ancora una volta in maniera effettiva tutto il territorio nazionale.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Levante: il Giappone ai tempi del neogoverno nazionalista della Premier Sanae Takaichi

A livello internazionale, una delle prime mosse della Takaichi è stata aprire un profondo scontro diplomatico con Pechino