Saviano non abita in Val Susa
Lo avevamo lasciato beato e sorridente a godersi la stretta di mano tra posticce rappresentanze studentesche e il presidentissimo Napolitano, il 22 dicembre del 2010 a Roma. Ai tempi era sotto attacco e sotto discussione da parte di tutto il movimento studentesco, il quale si era beccato l’ennesimo suo commento non richiesto, dopo i fatti del 14 dicembre e di piazza del Popolo.
Una lettera inaccettabile quella, piena di paternalismo, assoluta ignoranza delle dinamiche di piazza, conoscenza della composizione sociale di quel sommovimento. Perfettamente in sincrono con l’esigenza di recupero che il Partito di Repubblica cercava di mettere in campo: scagliando la sua anima candida, amata da grandi e piccini, nei confronti di un proletariato giovanile che esplodeva allora in tutta la sua pericolosità, per gli equilibri di allora e soprattutto futuri.
Ora ritorna, ancora una volta senza che nessuno gliel’abbia chiesto. Roberto Saviano, l’incarnazione del Bene, prende la parola sulla mancanza di conflitto che albergherebbe in Italia, dove a differenza di Brasile, Turchia, Bulgaria, Egitto non si vede nessun giovane scendere nelle piazze a protestare contro la corruzione e la finta democrazia.
Ci chiediamo in che paese abiti Saviano. Che giornali legga, che social networks consulti. E sebbene l’articolo in questione sia precedente alla giornata del 19 luglio in ValSusa, è strabiliante come non una parola sia spesa in merito alla lotta NoTav. Forse resistere a Gezi, a Tahrir, a Sofia è più dignitoso perché là non si è in democrazie compiute come quella italiana, dove compiutamente ambasciatori di stati centroasiatici sequestrano persone così come gli pare e piace?
E se, come lo stesso Saviano infine ammette, non si può dire che l’Italia sia una democrazia (alleluia!) allora perché non spende una parola in favore dei detenuti che sono in carcere per giornate di lotta come quelle del 15 ottobre o di Genova?
Forse perché a Saviano i manifestanti piacciono esotici, di paesi lontani, belli animaletti da osservare nei loro habitat, mentre qui “chi ha lanciato un sasso alla manifestazione di Roma lo ha lanciato contro i movimenti di donne e uomini che erano in piazza, chi ha assaltato un bancomat lo ha fatto contro coloro che stavano manifestando per dimostrare che vogliono un nuovo paese, una nuova classe politica, nuove idee.” (cit. dalla lettera del 2010).
Quel capitalismo criminale di cui parla il Telepredicatore non si ravvisa forse nelle mafie delle cooperative costruttrici come la CMC che vorrebbero stuprare la Valle che resiste? Quella corruzione sfrenata di cui parla Saviano non è forse immortalata dalle migliaia di denunce di abusi di potere da parte della classe politica e imprenditoriale del nostro paese?
E allora perché non fare mai un nome? Perché non esprimersi in un pubblico j’accuse nei confronti di una classe politica che da Stefano Esposito a Rosario Crocetta (vedi i recenti sviluppi del caso Muos) si mostra dalle Alpi a Lampedusa sempre più schiava degli interessi di poche potenti lobbies? Forse perché al Male assoluto non va mai data una personalità; va sempre relativizzato, gli va sempre costruita intorno una dimensione trascendentale, in modo da slegarlo dalle proprie incarnazioni. Non sia mai che poi si possa dare forza a quello stesso movimento di cui Saviano lamenta l’assenza!
Forse, in omaggio alla logica che vede all’estero giovani che lottano per la democrazia e in Italia invece solo teppisti animati da una distruttività intrinseca, Saviano preferisce non vedere. E allora fa bene Cremaschi a sottolineare come la differenza tra la narrazione della Val Susa e quella di Gezi Park sia clamorosa, e implichi l’assoluta, e pelosa, mediocrità degli analisti del mainstream.
Saviano ancora una volta fingendosi intellettuale illuminato e scomodo, non fa altro che aggiungere acqua sul fuoco dei conflitti. La solita narrazione lamentosa, cieca. La solita passione triste, sulla quale innescare il dispositivo che lo vede trionfare, simbolo del Bene che si arrende alla durezza del reale, in attesa delle crocerossine che lo riscattino comprando a centinaia i suoi libri. Riprendere in mano Eroi di Carta di Alessandro dal Lago è fondamentale per capire questa costruzione del personaggio Saviano.
Da sottolineare poi la solita rabbia contro “le istanze della classe operaia pronta all’assalto al cielo”. Istanze che secondo Saviano, a differenza delle mobilitazioni attuali, non erano rivolte alla creazione di diritti. Chissà, forse speravano nella costruzione di nuovi centri commerciali o di qualche AquaPark..scherzi a parte, è evidente che al TelePredicatore non va giù la ricchezza di quegli anni, la possibilità di una critica alla forma-Stato, l’idea di potervisi organizzare oltre.
Forse è per questo che tende sempre ad attaccare quel periodo storico, che evidente è ben presente nei suoi di incubi di perbenista alla ricerca di giovani miglioristi, capaci di entrare in quelle istituzioni da non corrotti. Che il capitalismo in sé sia il vero motore della corruzione forse è un concetto troppo difficile per Saviano, impegnato a cercare le solite mele marce, così come il suo idolo Caselli fa da anni nei confronti del movimento NoTav..
Maria Meleti
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