29 nov, Palermo: parliamo di soggettività studentesca
In queste settimane di autodeterminazione delle scuole spesso si sono verificate provocazioni, tentati e avvenuti sgomberi da parte della polizia; episodi questi, insoliti, anche per la questura, quando si parla di giovanissimi studenti in spazi di istruzione e formazione pubblica; ma la verità è che quella che abbiamo davanti, a cui abbiamo assistito, e che ha attraversato Palermo e tantissime città d’Italia non è e non può essere semplicemente considerata una mobilitazione autunnale, evidentemente neppure per le progettualità repressive di governo e istituzioni. Parole d’ordine, slogan, contenuti, pratiche, autonomia da partiti e sindacati nella composizione e nella temporalità di mobilitazione, ci dicono qualcosa di più e ci danno la possibilità di porre quella studentesca come la soggettività a cui guardare nei prossimi anni.
Non vogliamo certo farne solo una questione di numeri, ma concentrarci su come gli istituti superiori siano stati in queste due settimane che ci separano dalla grande giornata del #15 novembre, luogo di incontro, condivisione, critica delle più varie problematiche, contraddizioni, lotte che compongono la società della crisi. Dibattiti con operai dei cantieri navali, seminari su crisi e reddito, iniziative sul femminicidio, ci parlano di una complessità di interessi, argomentazioni, contrapposizioni, volontà, che mescolano le problematiche studentesche degli edifici fatiscenti e della necessità di libri e servizi gratuiti contro il caro vita e la scuola azienda, a quelle di un futuro da riprendersi nelle lotte, della necessità di un reddito nella miseria del presente, a quelle insomma di una radicale trasformazione dell’esistente che non passi dalla coalizione di governo pd-pdl, ormai mero strumento esecutivo del dominio bancario e finanziario sulla società, demandato alla troika del governo europeo.
Claims che diventano veri e propri brands di questa mobilitazione, come quelli che rintracciano nella lotta l’unica possibilità di trasformazione (“meglio occupanti oggi che disoccupati domani”), o quelli che pongono come essenziale la volontà di costruirsi qui un futuro senza dover emigrare, e quelli infine, ma non meno importanti, che sull’onda dello scenario nazionale di movimento espressosi nella giornata del #19 ottobre, rivendicano reddito con la pratica dell’assedio ai palazzi del potere, ci chiariscono il quadro andando nella direzione sopra accennata.
La giornata del #15 novembre ci ha inoltre dimostrato come un metodo di lotta volto alla rottura e alla radicalità delle pratiche, caratterizzi gran parte del tessuto studentesco, legittimando sempre più, agli occhi di una cittadinanza proletarizzata dalla crisi e afflitta dall’arroganza dell’amministrazione comunale nella gestione taglia e cuci degli spazi e dei servizi cittadini, quale sia la determinazione necessaria al cambiamento in meglio delle nostre condizioni di vita, crisi o non crisi, mercati o non mercati; e anche la capacità di azzerare le solite volontà tristi e criminalizzanti di istituzioni e media, che fino ad un anno fa tentavano di spaccare il fronte degli studenti con la strategia dei “buoni e cattivi”, ci appare come una crescita in cui la conflittualità di piazza diventa strumento estensivo della protesta (propagatasi con le numerose occupazioni delle scuole), e non il contrario come spesso accade.
Questo intendiamo quando facciamo riferimento ad una generazione cresciuta si nella precarietà e nella totale assenza di diritti e garanzie collettive, ma anche e soprattutto di una generazione cresciuta a “pane e lotte” su cui ipotizzare un futuro di trasformazione, riappropriazione, contropotere costituente nella crisi.
Ma non ci distraiamo, la strada è lunga, ma la mobilitazione delle scuole occupate di Palermo è solo tra tre giorni.
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