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Abbandono scolastico e disoccupazione giovanile

Secondo La Stampa l’abbandono scolastico è dovuto al fatto che “c’è sempre meno voglia di andare a scuola”, e che “sono sempre di meno quelli che ci credono”. Non condividiamo una lettura così semplicistica e scialba di quello che è per noi uno dei fenomeni più importanti e significativi da analizzare per costruire una lettura critica ed una contro-narrazione di ciò che è la scuola come la viviamo tutti i giorni.

Il fenomeno dell’abbandono scolastico non è altro che la conseguenza da un lato di precise scelte che sono state fatte dai governi in materia di scuola, e dall’altro della difficile situazione generale che si vive in Italia in questo momento. Quello che si è voluto costruire in Italia è stata una scuola che fondamentalmente serve come parcheggio in cui gli studenti e le studentesse restano in attesa di essere gettati nel mondo di un lavoro sempre più precario. In questo grande parcheggio, però, gli studenti e le studentesse devono imparare a stare al loro posto, a non porsi domande, ad abbassare la testa. L’utilizzo della meritocrazia in una scuola senza risorse va letto in questo senso, così come la reintroduzione del voto in condotta e il ruolo sempre più autoritario che i presidi rivestono. La scuola perde quindi ogni funzione di “ascensore sociale” (questo – è il caso di ribadirlo – avviene sotto governi di ogni colore… alla faccia di tanti professori “di sinistra” sempre pronti a descrivere il loro lavoro come una “missione” che rasenta il peggiore moralismo cattolico!). L’abbandono scolastico è quindi causato dello smantellamento della scuola pubblica? Dal nostro punto di vista questo ragionamento potrebbe portare ad un vicolo cieco. E’ vero che tutte le riforme degli ultimi anni sono partite dalla volontà di ridurre sempre più i fondi all’istruzione pubblica, ma quello che è successo, più che un semplice “smantellamento”, è una ristrutturazione (al ribasso) della scuola, una costruzione di un nuovo modello di istruzione pubblica, dietro a cui si intravede un disegno ben preciso. Definire “smantellamento” la serie di riforme che ha portato a grandi trasformazioni della scuola (nel suo interno, quindi nel ruolo che gioca nella riproduzione sociale) ci sembra riduttivo, poiché non porta a vedere le intenzioni che si celano dietro a questo progetto. Per capire ciò, nell’ambito della dispersione scolastica, poniamoci un’altra semplice domanda: quante di quelle persone che abbandonano la scuola lo fanno per mettersi alla ricerca di un lavoro utile ad affrontare le difficoltà economiche della propria famiglia? Molte, moltissime, la maggior parte. E probabilmente si accontentano di un qualsiasi lavoro precario o in nero, o di un apprendistato o di una delle mille e variegate forme dietro cui oggi si nasconde lo sfruttamento. Ed è in questo che vediamo come l’esito dell’abbandono scolastico non sia poi profondamente distante da quello della scuola. In fondo se la scuola serve a disciplinare e non fornisce una visione critica, chi è lo studente che abbandona la scuola se non il perfetto “disciplinato”, colui che per una situazione di necessità, non si può permettere di alzare la testa? Questo non è un discorso lontano dalla nostra esperienza quotidiana. E’ drammaticamente reale: non è forse vero che le opportunità di condurre una vita dignitosa e di immaginare un futuro non sono molto differenti per chi abbandona la scuola a 16 anni e chi ottiene un normale diploma tecnico? In entrambi i casi (e lo dimostrano i recenti dati sulla disoccupazione giovanile, che arriva a toccare il 41,6 %) le opportunità sono scarse e probabilmente in entrambi i casi si finirà in quel limbo di sfruttamento di cui sopra.

Abbandono scolastico e scuola sono due facce della stessa medaglia, questa è una triste e drammatica realtà. E le responsabilità di questa situazione non sono certo da ricercare nella scarsa voglia degli studenti (questa ci sembra la più assurda e vergognosa ipotesi che si può avanzare a riguardo… e purtroppo tanti professori ne sono convinti!), ma nei palazzi del ministero, nelle sedi del MIUR, tra i presidi sceriffo, che hanno lucidamente ideato e costruito questo modello di scuola. La riflessione qui proposta, che meglio può essere affrontata (seppur mai in maniera definitiva…) in un momento come questo, in cui le riforme Gelmini e Profumo sono a tutti gli effetti realtà , è uno dei tasselli che ci ha fatto parlare di un nuovo soggetto studentesco/giovanile. Quando abbiamo vissuto la radicalizzazione delle proteste nel ciclo di lotte dell’Onda, quando vediamo affacciarsi nelle piazze la rabbia e la forza delle scuole di periferia dobbiamo essere coscienti di come chi ha abbandonato la scuola sia parte di quella stessa rabbia. Questo – è una sfida tutta da mettere in pratica e da verificare– deve essere il motore delle mobilitazioni: essere presenti nelle scuole, ma saper cogliere i legami tra le scuole e i territori, tra disagio e difficoltà all’interno della scuola e nei quartieri. Se l’abbandono scolastico è l’altra faccia dell’istituzione scolastica stessa, sta a noi costruire ricomposizione e contro-utilizzare questo rapporto. Non è certo un compito facile, ma le mobilitazioni più volte ci hanno indicato questo impervio percorso, essenziale per superare la vertenzialità ed allargare il fronte delle lotte.

Da Studaut

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