‘Apprendimento in azione’ come cambiare nome alle stesse politiche
Alcune considerazioni di Sapienza Clandestina sul contratto M5S-Lega e sulle politiche sull’istruzione del futuro governo.
Non ci si può esimere dal commentare le sezioni del “contratto di governo” riguardanti scuola e università. Due tematiche mai realmente affrontate, durante la perenne campagna elettorale, dalle due parti in campo che si apprestano a governare il nostro paese. Ma buttate là perché va di moda contestare per partito preso le riforme precedenti in tema di istruzione. E perché il “BASTA TAGLI” rievoca scenari di rivolta culturale ed intellettuale mai sopiti nell’immaginario collettivo. E considerati insindacabilmente giusti dal tribunale popolare.
Prima di entrare nel dettaglio di quanto partorito dai tavoli di contrattazione, una piccola premessa. Non vogliamo entrare nel merito di chi è l’artefice di questi impegni presi con i cittadini in tema, tra gli altri, di istruzione. La tattica populista di attaccare le persone solo perché fanno schifo, la lasciamo proprio a loro. Questo vuole essere un testo che analizza il merito di quanto scritto. Ma, in ogni caso, non si può non considerare che a quel tavolo, per giorni, erano seduti personaggi che hanno votato, tra tutte, la riforma Gelmini, erano ministri di quel governo. O altri che hanno un’idea confusa, al limite della fantascienza, su temi che l’istruzione, di base, dovrebbe chiarire banalmente.
Perdonateci, una seconda, dovuta premessa.
Tutto ciò che è scritto in quelle pagine è solo ed esclusivamente il frutto di un sentito dire, di un aver letto sui social network, di un aver capito di cosa si lamentano le persone relativamente a queste tematiche. Nulla è frutto di una vera analisi del sistema (vedi la questione delle diplomate magistrali, buttata là dato che, chissà perché, qualcuno ha protestato. In fondo sono elettori… e per di più italiani!). Un facile riassunto sarebbe: questo e quest’altro sono dei problemi. Perché qualcuno lo ha detto o si è lamentato. Noi aboliamo. Noi superiamo. Noi cambiamo.
Ma viene facile chiedersi: perché? Come? In cosa?
Ok, possiamo cominciare ad analizzare la questione. Saltereremo molte delle banalità scritte a fine propagandistico, senza capo né coda, scopiazzate giusto per dare un po’ di risalto mediatico e populistico.
Cerchereremo invece di capire, o meglio provare a trovare, il bizzarro e disastroso contenuto politico.
Partiamo dalla critica alla riforma della scuola del governo Renzi (come detto, i membri di questa futura maggioranza quelle precedenti le hanno votate):
“In questi anni le riforme che hanno coinvolto il mondo della scuola si sono mostrate insufficienti e spesso inadeguate, come la c.d. “Buona Scuola”, ed è per questo che intendiamo superarle con urgenza per consentire un necessario cambio di rotta, intervenendo sul fenomeno delle cd. “classi pollaio”, dell’edilizia scolastica, delle graduatorie e titoli per l’insegnamento. […] L’eccessiva precarizzazione e la continua frustrazione delle aspettative dei nostri insegnanti rappresentano punti fondamentali da affrontare per un reale rilancio della nostra scuola. Sarà necessario assicurare, pertanto, anche attraverso una fase transitoria, una revisione del sistema di reclutamento dei docenti, per garantire da un lato il superamento delle criticità che in questi anni hanno condotto ad un cronico precariato, dall’altro un efficace sistema di formazione. Saranno introdotti nuovi strumenti che tengano conto del legame dei docenti con il loro territorio, affrontando all’origine il problema dei trasferimenti (ormai a livelli record), che non consentono un’adeguata continuità didattica.”
Non si può dire che la Buona Scuola abbia portato nulla di buono, ovvio, ma è davvero responsabile delle classi pollaio e dei problemi dell’edilizia scolastica? É l’unica riforma che ha precarizzato la classe docente?
La Buona Scuola è l’ossatura definitiva di un’idea scolastica che nasce ben prima. Il sistema scolastico italiano, non ha bisogno di un superamento di una o dell’altra riforma. Ha bisogno di una rifondazione. Di una rivoluzione totale. Di essere un luogo centrale nel garantire diritti uguali a tutti, e non solo se hai la sfortuna di nascere disabile, ma a prescindere da qualsiasi estrazione sociale, culturale e territoriale. Ebbene si, perché avendo parte del governo che nasce dall’ideologia razziale nei confronti (tra gli altri) di più di metà del paese, immaginarsi un sistema che abbia alla base l’appaiamento del sistema educativo in ogni angolo dello stivale, è quanto meno un’utopia. Ne viene invece rivendicato uno che esalta un fantomatico merito, garantito da test come gli Invalsi. Nazionali e discriminatori. La Buona Scuola, tra varie fondamenta, si fonda su questa finta meritocrazia. Questa premia privilegi basati su differenze di classe, già sperimentate con precedenti disegni di legge e rivendicata da tutte le forze politiche, anche se mascherate dall’illusione dell’onestà.
Riguardo ai docenti, innanzitutto, non si capisce qual’è il sistema di reclutamento contestato, da superare. Forse il TFA previsto dalla riforma Gelmini? O il nuovo FIT? Come immaginarsi un sistema di reclutamento basato sulla meritocrazia, ma che non generi disuguaglianze?
Ma un aggettivo rimane impresso: l’ECCESSIVA precarizzazione. Esiste forse una giusta dose di precarizzazione. Un buon numero di precari è soddisfacente? Quindi una fase transitoria dovrebbe garantire ancora precarietà. Ma forse in numeri consoni a statistiche ISTAT, europee o spendibili per le prossime elezioni. Come si fa ad immaginare un superamento del reclutamento territoriale imposto dalla Buona scuola senza ulteriormente garantire maggiore precarietà? I docenti costretti a migrare o a fare i pendolari costituiranno il numero di precari “accettabile”?
Sono questioni che non possono essere trattate con tale superficialità politica. E le premesse non sono certo positive per cercare di risolvere un problema storico come questo.
“La c.d. “Buona Scuola” ha ampliato in maniera considerevole le ore obbligatorie di alternanza scuola-lavoro. Tuttavia, quello che avrebbe dovuto rappresentare un efficace strumento di formazione dello studente si è presto trasformato in un sistema inefficace, con studenti impegnati in attività che nulla hanno a che fare con l’apprendimento. Uno strumento così delicato che non preveda alcun controllo né sulla qualità delle attività svolte né sull’attitudine che queste hanno con il ciclo di studi dello studente, non può che considerarsi dannoso.”
Eh si, l’alternanza scuola lavoro l’hanno criticata in molti… Perdonateci se vi rimandiamo al capitolo del contratto sul lavoro per un’ analisi totale delle intenzioni del nuovo governo sul tema. Non è voler sviare l’argomento, ma la pochezza politica anche di quelle poche righe dedicate ad esso nel contratto, non meritano forse neanche un commento qui. Ovviamente rimandiamo là perché l’alternanza scuola-lavoro non può essere analizzata al di fuori del contesto del sistema lavorativo del nostro paese. La proposta dello scorso dicembre, da parte del movimento, di superare l’alternanza con un certo “Apprendimento in Azione”, fa presagire ben poco di buono dal punto di vista politico. Lo strumento viene comunque definito potenzialmente efficace, delicato, si può sottintendere utile in qualche sua variante. Si fa quindi avanti l’idea che può esistere una buona alternanza. Che progetti terzi obbligatori di collegamento col mondo del lavoro possano avere un’utilità d’apprendimento formativo. Il lavoro non pagato è forse legittimato se effettuato in una casa editrice piuttosto che da Mc Donald’s? Se il marchio non fa scalpore allora lo sfruttamento è accettabile? E’ quindi comunque giusto finanziare con soldi pubblici progetti istituiti da privati per formare studenti con scopi mirati al profitto? Non può esistere un controllo su di uno strumento di controllo. Può esistere solo un suo rigetto completo. Una delle più grandi trasformazioni culturali degli ultimi anni, una delle più grande derive neo-liberiste a cui abbiamo assistito, non ha risvolti positivi, non può essere cambiata in meglio. Va rifiutata in toto. Va respinta. Va combattuta. Per scardinarla e non rivederla mai più. In nessuna sua forma.
Passiamo all’istruzione terziaria e alla ricerca. La culla degli intellettuali di questo paese. Bacino elettorale per anni del centro-sinistra. Soggiorno di quella sinistra dei salotti di cui una parte è rimasta tradita dalla governance del nostro paese. Che oggi, ma soprattutto domani, può rappresentare un forte incanalizzatore mediatico ed elettorale per forze che dichiarano di voler cambiare rotta.
Oltre a tutta una serie di rivendicazioni portate avanti da questo o quest’altro nel corso degli anni e buttate là per accaparrarsi qualche “bene, bravi”, si legge:
“Nel corso degli ultimi anni il nostro Paese si è contraddistinto a livello europeo per una continua riduzione degli investimenti nel comparto del nostro sistema universitario e di ricerca. È pertanto urgente e necessario assicurare un’inversione di marcia. È prioritario incrementare le risorse destinate all’università e agli Enti di Ricerca e ridefinire i criteri di finanziamento delle stesse.”
Ebbene si, il primo punto non poteva non riguardare i tagli. Tagliare ancora di più sull’università significherebbe non lasciare più nulla. Conviene sempre rivendicarsi gli investimenti. Ma i tagli all’università sono principalmente serviti ai governi passati, di cui alcuni scrittori del contratto facevano parte (sembrerò ripetitivo, ma solo loro che si sono costruiti un bacino elettorale così grande tramite questa retorica), per attuare le loro vergognose manovre economiche. E i preannunciati interventi economici, ugualmente raccapriccianti, del prossimo esecutivo da qualche parte i soldi li dovranno pur prendere. Ma questo sospetto sembra andare in direzione opposta alle intenzione dell’equipe di governo. E allora analizziamo il resto del testo:
“Attraverso una costante sinergia con la Banca per gli investimenti saremo in grado di assicurare maggiori fondi per incrementare il nostro livello di innovazione, rendendoli efficaci ed eliminando gli sprechi. Intendiamo incentivare, inoltre, lo strumento delle partnership pubblico-private, che consentiranno, di fatto, un maggior apporto di risorse in favore della ricerca. I centri del sapere, università e centri di ricerca in primis, oltre a garantire la fondamentale ricerca di base, dovranno altresì contribuire a rendere il sistema produttivo italiano maggiormente competitivo e propenso alla valorizzazione delle attività ad alto valore tecnologico.”
Cos’è uno spreco nel mondo della ricerca? Chi potrà valutare e in che mondo la programmazione di intervento per progetti che possono avere risvolti in dieci, trenta, cinquanta anni? Se se ne occupa una banca, sicuramente non poniamo le basi per investimenti realmente qualificanti per i lavoratori del settore e la collettività tutta. Ne tanto meno realmente universali e trasversali, quanto annunciati. Basta negare un interesse innovativo per non garantire più finanziamenti. Ma d’altronde, viene spiegato dopo: bisogna incentivare la partnership coi privati. Qua crolla tutto il castello di carte costruito sulle basi politiche del nulla. Le disuguaglianze, le valorizzazioni del singolo fuori controllo, gli interessi a favore di pochi, nascono e crescono in un sistema finanziato da “partner” privati. Dal mondo del profitto. Dalla ricerca del brevetto, della pubblicazione a scopo monetario e industriale. Il mondo dell’università deve invece rimanere distaccato da quello del privato. É insito nella sua costituzione, unico modo per salvarne la sua utilità sociale. Le risorse non devono provenire dal finanziatore di turno, perché il raggiungimento del suo obiettivo non è sinonimo di maggiore competitività, ma solo ed esclusivamente di subalternità, sottomissione. Economica, politica e sociale. E qui crolla il mantra delle grandi università dell’estero. Sistemi educativi che si basano proprio su questo. Faro per molti ideologi nostrani dell’università, che puntano tutto su competitività e spendibilità con i colleghi europei. Promotori di un sistema che svalorizza le sue componenti e i risvolti ottenibili per tutti e tutte.
Quindi si rincorre ancora la retorica del merito:
“Occorre riformare il sistema di reclutamento per renderlo meritocratico, trasparente e corrispondente alle reali esigenze scientifico-didattiche degli atenei, nonché garantendo il regolare turn-over dei docenti.
Per un reale rilancio dei nostri atenei occorre, infatti, garantire la presenza di sistemi realmente meritocratici ed aperti a tutti coloro che intendano proseguire nella carriera accademica senza il timore di veder limitate le proprie aspettative da coloro che utilizzano in maniera indebita il proprio potere.
Occorrerà apportare dei correttivi alla governance del sistema universitario e all’interno degli stessi atenei, ridisegnando il ruolo dell’ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca) per renderlo uno strumento per il governo (e non di governo).”
Ma il sistema di reclutamento universitario oggi è già altamente meritocratico, così come ogni step della valutazione. Basato su di una meritocrazia sbagliata, di cui abbiamo già parlato prima. Può essere che il solo problema siano i baroni? Eh no, l’università classista che oggi viviamo li genera automaticamente. Lo produce al suo interno il baronato. Insieme a tutte le disuguaglianze sociali che genera o esalta. Questo è solo uno specchietto per le allodole. Rifondare il sistema, basandosi sull’eliminazione di tutti gli strumenti di controllo legati al merito e alla valutazione, è l’unica soluzione. Eliminando e non cambiando organi quali l’ANVUR, strumento che produce differenze sociali. Che sia di governo o per il governo, cambia poco.
“Sarà incentivata l’offerta formativa on line e telematica delle università statali attraverso finanziamenti finalizzati, nonché meglio regolamentata l’offerta formativa delle università telematiche private.”
Giusto due righe, da dedicare a questo. Non solo per l’assurdità di quanto scritto. Si ha l’intenzione di svuotare ancora di più gli atenei, con l’eliminazione di conseguenza del confronto sociale, culturale e personale che comporta il vivere un luogo come l’Università. Questa idea di trasformare tutto il sistema in un grande piattaforma on-line è a dir poco raccapricciante, staremo a vedere che cosa intendono. Ma noi siamo consapevoli del significato e l’importanza che vivere l’università comporta. Così come il vivere luoghi sociali e politici.
Oltre che essere un sicuro danno, può essere mai questa una priorità rispetto alla condizione di precariato dilagante post-laura? Alla ricerca di fortuna da qualche altra parte, che sia estero o chissà dove in Italia? Allo sfruttamento dei tirocini formativi? Alla dilagante disoccupazione giovanile? Alla distruzione sociale di generazioni? Alla totale assenza di ogni minima parvenza di diritto allo studio? E no, non si possono riassumere tutti i nostri problemi con una no tax area. O con qualche altro proclamo da talk show.
Questo testo sarebbe stato volentieri più lungo, se i capitoli che critica sarebbero stati a loro volta maggiormente ricchi di contenuti politici.
Perchè chi ha vissuto e vive il sistema educativo italiano, di cosa da dire ne ha. Perchè chi da tutto questo non ha prospettive, non basta qualche proclamo.
Forse hanno scritto fin troppo e a volte, si sa, si farebbe meglio a star zitti.
Ma, se questo governo deciderà di intervenire sull’istruzione, siamo sicuri che porterà solo ulteriore distruzione in questo mondo, spostando macerie contribuendo a crearne ed accumularne di altre, di nuove. E contro tutti gli altri orribili piani di questo governo, dall’immigrazione all’economia, state certi che non resteremo a guardare.
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