Don’t keep calm..and take your life back!
Un governo di tecnici messi lì dalla troika finanziaria per garantire un’applicazione diretta delle sue ricette neo liberiste, che sono quelle che ci hanno portato verso questa crisi sistemica e quelle che vengono ritenute come “soluzione” della stessa in tutta Europa: lacrime e sangue concretizzate in riduzione della spesa pubblica, soprattutto in settori fondamentali come sanità ed istruzione, perdita di posti di lavoro e aumento della precarietà…insomma austerità e rigore, nella promessa che i conti rientreranno e che tutto si aggiusterà.
Il governo della sobrietà e dei tecnici aveva dato tre parole d’ordine all’inizio del suo mandato: rigore, crescita ed equità sociale. Le ultime due sembrano esser state rimosse dall’agenda politica, mentre perseguire il rigore è stato l’unico obiettivo del governo Monti. La pressione fiscale è alle stelle e colpisce le fasce medio basse: altro che tassare le rendite e la ricchezza, ci troviamo difronte ad un vero e proprio meccanismo di tassazione della povertà. Il tecnicismo di questo governo si è perso per strada, e non solo perché il debito pubblico è aumentato, la pressione fiscale manco a parlarne, le famiglie e le piccole imprese sono nell’occhio del ciclone e la fiducia dei consumatori è a picco, ma anche perché consegnare in questo stato il paese e lasciare la suspense su un’eventuale scesa in campo in vista delle elezioni, pare un’ operazione delle più politiciste, altro che sobrietà!
A noi la retorica di questo governo non ci aveva mai convinto. Abbiamo provato dall’inizio a smascherarla, siamo andati fino a Francoforte, sede della Banca Centrale europea, perché ci è stata sin da subito ben chiara la mancanza di legittimità e la sua subordinazione alle politiche economiche della BCE di questo governo. Ora che gli effetti di queste politiche economiche sono sulla pelle di tutti, o quasi, e che monta il malumore e si moltiplicano, quasi non si contano più, le migliaia di vertenze di esodati, cassintegrati , licenziati e quant’altro, è venuta meno la cieca fiducia nei tecnici, e Monti ha approfittato dell’assist di Berlusconi per uscire di scena, non prima di essersi assicurato l’approvazione della legge di stabilità ( per le università circa 100 milioni di euro rispetto ai 400 che sarebbero necessari, mentre nello stesso DDL sono stanziati 150 milioni di euro in più per la Tav Torino- Lione…)
Ora che il consenso all’ormai passato governo sembra essere caduto, quali sono le prospettive e le vie di uscite da questa crisi economica?
Come abbiamo ripetuto più volte contro le illusioni di una sinistra istituzionale incapace di ripensare ad una sua funzione progressista e di attenersi al proseguimento dell’ ”agenda Monti” , non ci sono soluzioni keynesiane da portare in parlamento. Le alternative non sono molte: chiunque si discosti dalle politiche della BCE sarà bacchettato dai mercati e dallo Spread, dalle agenzie di rating… i governi a venire saranno sempre di più ostaggio della BCE. E’ un meccanismo malato, che non spetta a noi curare o provare a risolvere. Non ci sono riusciti i tecnici e non ci riuscirà nessun altro…L’Italia è un malato terminale che non può più riprendersi e venire meno ai diktat della BCE. L’unica soluzione per noi è l’eutanasia.
Intanto le nostre vite sono sempre più strette nella morsa della precarietà, i servizi sono inesistenti e il futuro è una macchia nera, figuriamoci una pensione. E’ a partire dalle nostre condizioni, dalla realtà delle nostre vite precarie, che proviamo quotidianamente a tracciare vie di fuga dalla crisi e dall’austerity riprendendoci pezzetti di reddito e di felicità. Non ci sentiamo di aspettare le elezioni e di riporre la fiducia in nessuno, tantomeno in chi si propone di essere collegamento tra movimenti e politica parlamentare.
L’abbiamo urlato nelle piazze questo autunno: non ci rappresenta nessuno. Non cercheremo scorciatoie facili a processi costituenti che nascono necessariamente dalla contrapposizione e dal conflitto, dalla costruzione di consenso e generalizzazione di quest’ultimo, e non da cabine elettorali e poltrone in parlamento.
Sentiamo i palazzi del potere lontani da noi e dalle nostre vite quotidiane e il meccanismo del voto ci sta stretto. L’impegno non è quello di mettere una crocetta su un foglio, l’impegno è quello di riprendere in mano le nostre vite, di lasciare che nessuno più decida per noi, e di mandarli tutti a casa.
Quest’autunno studenti e precari hanno ripreso parola, e hanno avuto un ruolo determinante nello smascherare la retorica dei sacrifici, cominciando a partire dal 5 Ottobre, passando per l’accoglienza alla Fornero a Napoli e agli altri tecnici nel resto d’Italia, e arrivando poi allo sciopero generale europeo del 14 novembre, rimettendo al centro dell’agenda politica il tema che non vogliamo sia offuscato dal clima soporifero elettorale che ci aspetta per i prossimi mesi: le condizioni di una generazione che non vede le minime condizioni per costruirsi un futuro, una generazione che prova da anni a porre questo problema, e che ora è stufa di aspettare risposte dall’alto, e che le condizioni per un futuro migliore inizia a costruirsele da sé.
Le forme della rappresentanza sono vuote e vecchie, i nomi e i volti sempre gli stessi, con qualche migrazione interna da uno schieramento all’altro. Lo scenario politico è il seguente: il tramontato Silvio che tenta di riconquistare con il suo populismo espresso in 20 anni di Berlusconismo il consenso perduto, il centro- sinistra con a capo il Pd in continuità con le politiche montiane, un Movimento 5 Stelle che mantiene il proprio consenso, consolidandosi a secondo partito del paese, i cui risultati sono forte indice della crisi della rappresentanza e di sfiducia verso il sistema politico nel nostro paese. A ciò si aggiunge il tentativo di una sinistra, lasciata fuori dalle manovre bersaniane delle primarie, che porta sull’altare la “rivoluzione” dei sindaci arancioni che da Milano a Napoli ha già visto smentite le sue promesse.
Lo scenario è desolante e pensare di riporre le aspettative di cambiamento nel voto non ci convince. Non ci convince non per ideologismo fine a sé stesso ma perché non è abbastanza. La lontananza delle istituzioni da chi vive l’austerity e le sue politiche, e la rigidità con la quale queste politiche impattano con la nostra vita, ci fanno pensare che votare non è abbastanza. Vettore di cambiamento è riprendere in mano le proprie vite, impegnarsi in prima persona per il diritto ad una vita degna. Stiamo parlando di un impegno che non è retorico e politicista, ma di un impegno che ha a che fare con le condizioni materiali di vita di noi tutti.
Fioriscono e si moltiplicano iniziative di riappropriazione diretta che parlano di diritto all’abitare, diritto alla salute, ad una vita degna in generale. Che parlano di mutualismo, e costruzione di comunità resistenti piuttosto che di individualismo sfrenato, che parlano di redistribuzione della ricchezza e di reddito d’esistenza.Riteniamo questo tipo di iniziative e il consenso e la generalizzazione che hanno intorno, degli spunti, seppure incompleti, per tracciare rotte di fuoriuscita dalla crisi nella crisi. Oggi come ieri farsi altro alle sponde istituzionali nei movimenti e nella lotta sarà la nostra via di percorrenza e di militanza nel reale.
E’ troppo tardi per stare calmi e aspettare, è troppo tardi per avere fiducia di delegare il protagonismo e la gioia con i quali ci riprendiamo tutto ad un manipolo di parlamentari, banchieri e imprenditori che potranno cambiare colore e inventarsi nuove ricette, ma che sono lontani anni luce dai bisogni della gente, da chi oggi trova nella riappropriazione di spazi reddito e felicità la nuova rotta per un futuro migliore. Adesso. TAKE YOUR LIFE BACK!
Aula Flex Napoli
da zer081
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