Sgombero Cavallerizza: tra resistenza e promesse irrealizzabili.
Arriva a compimento lo sgombero della Cavallerizza Reale. Occupata dal 2014, ha costituito un importante esperienza cittadina di resistenza alla gentrificazione e alla speculazione. All’alba camionette, poliziotti e Digos hanno sgomberato con la forza l’ultimo presidio in difesa dell’occupazione: Casa Riders. La sede che serviva da ciclofficina, luogo di ritrovo per riunioni e assemblee e socialità era rimasta l’unica ala ad essere occupata, dopo l’accordo tra Cavallerizza Irreale (l’assemblea dell’occupazione), Prefettura e Comune. Oggi, martedì 19 Novembre è prevista una manifestazione dei Riders in lotta in risposta allo sgombero.
L’Affare Cavallerizza, dopo l’ultimo incendio che aveva coinvolto l’area delle Pagliere, ha subito un importante cambio di rotta, riaccendendo i mai sopiti appetiti delle istituzioni verso una delle più grosse speculazioni della storia di Torino. Dopo cinque anni e mezzo di occupazione, nata per restituire un bene storico alla città e mettere in luce il progetto speculativo dell’allora giunta Fassino, un triste punto di fine è stato segnato sulla storia dell’occupazione. Le cause e le responsabilità sono molteplici e difficili da riassumere qui, ma la matrice di fondo crediamo rimanga la spinta lobbistica e affaristica che sotto la Mole continua a comandare e dettare legge, in un sistema di interessi trasversale che da Banca Intesa attraversa Questura, Prefettura Comune per arrivare nei cosiddetti “salotti buoni” in cui siede chi veramente conta nella capitale sabauda.
Ma proviamo a ricostruire un po’ di storia.
Nel 2010 il Comune di Torino crea la CCT: la Società di Cartolarizzazione della Città di Torino, nata con l’unico obiettivo di sbarazzarsi dei beni pubblici, diversamente invendibili ai privati. Successivamente l’immenso edificio storico di oltre 44.000 mq, Patrimonio Unesco, viene messo all’asta per ben tre volte. Nessun potenziale acquirente privato si palesa e la Cavallerizza rimane vuota per anni. Vale la pena ricordare che lo stabile tra l’altro rappresentasse una delle ultime anomalie nel centro, case Atc, teatri, spazi vuoti e abbandonati.
Con l’occupazione nata il 24 maggio del 2014 la Cavallerizza Reale riprende vita e con essa anche l’attenzione sul debito e la (s)vendita dell’edificio. Nasce così la necessità di restituire quel che molti hanno definito “Bene Comune” a tutti quelli che abitano il territorio. Seguono anni di assemblee e discussioni, anche animate, in una realtà del tutto eterogenea spesso e volentieri proficuamente “confusionaria”.
L’arrivo dell’Appendino, che ha basato circa il 25% della propria campagna elettorale sul cavallo di battaglia dei Beni Comuni a partire proprio dalla Cavallerizza Reale, aveva aperto un varco al quale dentro la realtà della Cavallerizza si è guardato tra scetticismo e speranza per alcuni, per altri con becero opportunismo e calcolo politico.
Peccato che da quell’ormai lontano giugno 2016 il progetto del Comune sulla cavallerizza non sia cambiato di molto nella sostanza: arrivare alla consegna dello stabile ai meccanismi di messa a valore immobiliare normalizzando e rendendo inoffensiva l’esperienza di resistenza messa in atto dal 2014.
Sulla spinta del regolamento dei Beni Comuni di Bologna anche a Torino arriva la spasmodica volontà di redigere un regolamento analogo. Peccato che in entrambi i casi la scrittura di questo, che già è di per sé una sconfitta, soprattutto se non supportata da reali rapporti di forza, non è stata realizzata attraverso un percorso dal basso, bensì è stato guidata dall’alto dalla dimensione istituzionale coadiuvata da “esimi” giuristi.
Negli anni si sono susseguiti tentativi di cooptazione istituzionale, spinte alla legalizzazione dell’esperienza di occupazione anche da parti consistenti dell’assemblea gestionale dello spazio, i cui risultati fallimentari sono sotto gli occhi di tutti e tutte.
Soprattutto a partire da metà del 2018, a queste ambiguità si sono sommate la quanto meno dubbie gestioni della socialità, lasciando spazio a situazioni come spaccio e abbandono di intere aree della Cavallerizza. A ciò si è aggiunta una esplicita volontà di una parte dell’assemblea gestionale a chiudersi in autismo politico incapace di risolvere le situazioni problematiche e allo stesso tempo impedendo la possibilità di una gestione più ampia delle realtà cittadine che sempre avevano partecipato e supportato l’esperienza dell’occupazione. Anche a fronte della denuncia fatta da un gruppo di donne di pesanti intimidazioni e violenze di genere avvenute all’interno dello spazio. Le dinamiche dell’ultimo incendio, purtroppo parlano chiaro in questo senso, e le responsabilità politiche non possono essere eluse con comunicati o misere giustificazioni.
Sfruttando la scia del rogo avvenuto il mese scorso e la palese situazione di difficoltà degli occupanti, il Prefetto di Torino ha convocato al tavolo la Sindaca e un gruppo dell’assemblea (in qualità di portavoce). In tale sede è stata proposta la costituzione di un Comitato di Scopo, che avrebbe creato le basi per un potenziale accordo, i presupposti richiesti sono stati: uscire dallo stato di occupazione, abbandonando di fatto l’edificio, in cambio di tali azioni il Comune si sarebbe impegnato a ricollocare gli occupanti in uno spazio di competenza di Cassa Depositi e Prestiti, con la sola ed unica possibilità di fare assemblee e portare avanti qualche piccolo laboratorio.
Fra giuristi, vice-sindaci caduti in disgrazia, consiglieri comunali, e occupanti allo sbando si è assunta la scellerata responsabilità politica di acconsentire alle condizioni dettate da Prefettura e Questura, e di auto-sgomberarsi senza opporre resistenza. Eccezion fatta per il progetto di Casa Riders che da sempre si è opposto a queste inutili trattative.
Chi fra gli occupanti si è assunto questo compito di mediatore, al meglio è stato l’utile idiota degli interessi dei potenti di questa città, al peggio ne ha facilitato in mala fede i piani.
Difficilmente crediamo che dopo la “messa in sicurezza” ci sarà spazio per una gestione della Cavallerizza fuori dalle logiche di profitto, e difficilmente verranno concessi spazi a dimensioni di autogestione se non al prezzo di pesantissimi legacci. Questo lo pensiamo non per presunzione ideologica nel rifiutare qualsiasi mediazione, ma perché questa per avere dei risultati reali sarebbe dovuta essere frutto di una reale resistenza e indisponibilità verso le controparti in gioco. Spacciare per vittoria, o come un salvataggio in extremis un esito di questo tipo significa mentire a se stessi e alla storia.
Il Questore De Matteis, commenta lo sgombero parlando di “chiusura di un capitolo oscuro della storia di Torino” ma è facile leggere fra le righe la soddisfazione di poter invece portare a compimento il ciclo di speculazione su quest’area del centro manu militari, ricordando a tutti chi sono i veri padroni della città. E non sarà la pioggia battente a lavare la vergogna dalle divise che ancora una volta hanno infangato la storia di questa città.
Nonostante tutto rimane la necessità politica di frapporsi al sistema di potere che sta consolidando la creazione di un centro vetrina gentrificato e turistificato nell’abbandono dei quartieri periferici e popolari. Resta come un macigno il lascito nel vissuto di migliaia di persone che hanno attraversato la Cavallerizza in questi anni. L’esperienza di un modo di vivere gli spazi comuni cittadini in maniera differente e in contrapposizione al profitto consumistico e individualista non sarà cancellata da una sgombero.
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