Violenze contro gli studenti: andare oltre l’indignazione, per un presente più giusto
Fioccano le espressioni di indignazione per quanto successo venerdì scorso durante i cortei degli studenti e delle studentesse scesi in piazza a seguito della morte di Lorenzo all’ultimo giorno di stage in alternanza scuola-lavoro. A Torino, Roma e Milano la polizia ha messo in campo una gestione dell’ordine pubblico che ha previsto cariche, manganellate, teste rotte senza alcuna remora.
Non è la prima volta che accade che giovani e giovanissimi vengano picchiati duramente per impedire loro di praticare forme di protesta. Questa volta, in particolare la gestione del questore di Torino, ha implicato un salto di livello, impedendo in qualsiasi modo la partenza del corteo rendendo impossibile uscire dalla piazza stessa. Le cariche a più riprese e le loro conseguenze, dalle dita rotte, alle teste insanguinate sino a casi ben più gravi, come quanto accaduto a un ragazzo ancora ricoverato in neurologia per monitorare un’emoraggia non ancora riassorbita, hanno scatenato un legittimo e – finalmente – diffuso moto di rabbia dalle più inaspettate parti. Dal segretario del PD Enrico Letta a Selvaggia Lucarelli passando per i vari assessori e giornalisti che accusano la Lamorgese, fino a La Stampa che scrive addirittura un editoriale dal titolo “La vergogna dei manganelli sugli studenti”.
Non si può negare che faccia piacere che venga scaricata un po’ di responsabilità su chi agisce in questo modo e che un po’ di sana collera contro la polizia soppianti le solite parole di solidarietà alle forze dell’ordine, che sia ristabilita un po’ di giustizia aumenta ancor più la voglia di riscatto. D’altra parte, è sempre curioso quando viene posto il tema della condanna alle violenze della polizia come centrale nel dibattito pubblico, soprattutto quando questo venga fatto da chi certo non è mai stato dalla nostra parte. Il fatto però è che è morto un ragazzo e semplicemente l’indignazione non basta, soprattutto se a indignarsi è chi come il PD è stato fautore dell’introduzione dell’alternanza scuola-lavoro. Questa morte è il risultato di un sistema che anche nella scuola riproduce standard di produttività e sfruttamento, ma non solo. Il tema è quanto la scuola sia l’ennesima agenzia di formazione all’idea che sia giusto ammazzarsi di lavoro, che sia normale accettare determinate condizioni a costo della vita perché la società in cui viviamo impone che il senso lo si trovi soltanto nel lavoro che si fa. Ci sarebbe più di un Mea Culpa da fare.
Quello che non torna è che questa morte sia stata trattata come un’eccezione, così come la condanna alle violenze della polizia significa che si sarebbe dovuta fare un’eccezione, almeno per questa volta. Invece la morte di Lorenzo deve far dire basta all’alternanza scuola-lavoro, senza eccezioni. Gli studenti e le studentesse scesi in piazza hanno ben chiara questa priorità. L’idea che la propria valorizzazione passi attraverso il mettersi a disposizione all’interno di itinerari capitalistici pure fallimentari, l’idea che si debbano riformare alcuni elementi per rendere più sopportabile l’idea di rischiare la vita per il lavoro, l’idea di legalizzare certe forme di sfruttamento sono già state buttate via lasciando spazio alla semplice pretesa di una vita più bella e giusta.
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