13 febbraio, l’indignazione che riempie le piazze
La cronaca mainstream ha raccontato la diretta delle manifestazioni, presentandola come “occasione organizzata per rivendicare la dignità delle donne”, con un milione – riferisce La Repubblica – di persone in piazza nel mondo, nella straordinarietà dei numeri di Roma, Milano, Torino, Napoli e tante altre città piccole e grandi. 100mila nell’urlo collettivo nella capitale, con gli ombrelli colorati di Torino, le sciarpe bianche di Milano. Palermo, Trieste, Bologna, Bari, Pesaro, Bergamo, Genova, ma anche Bruxelles, Parigi, Barcellona, New York. Un appello che indubbiamente è stato raccolto a piene mani.
13 febbraio dentro il quale hanno convissuto tante anime, anche nella contraddizione e nella differenza, e per far questo si pensi alla piazza torinese che nel marasma dei numeri eccezionali ha visto la necessità ed urgenza di alterità in quello che è stato lo spezzone sociale “Sistema in crisi, corpi in lotta!”, che pur nella critica netta nei confronti dell’appello promotore della giornata ha portato per le strade di Torino alterità e differenza, indignazione e rabbia, gridando forte come il solo e reale cambiamento è quello portato dalle lotte e dalla forza del conflitto!
Scenario torinese che è utile (nella parzialità) anche prendere come esempio esplicativo di quanto visto nelle piazze italiane, che seppur nella diversità dei contesti cittadini avevano un tratto comune nella composizione sociale. Nella moltitudine delle persone che hanno raccolto l’invito alla discesa in piazza c’era una cittadinanza “non avvezza alla piazza”, quella società civile o si dica d’opinione mossa dall’indignazione contro Berlusconi che si è mischiata con un’eccedenza sociale di ceto medio-basso. Caratteristica emblematica delle manifestazioni, a Torino come altrove, un’età media piuttosto matura, nella presenza (non significativa) delle giovani generazioni che sotto la Mole hanno rinfoltito lo spezzone sociale o hanno condiviso implicitamente la sfilata dentro la dimensione del comitato organizzatore.
Impossibile da cogliere anche la funzionalità di passerella usufruito dallo stato maggiore della sinistra nostrana, da Bersani a Vendola. Nonostante il vigere delle regole dei promotori di “Se non ora quando?”, che non ha permesso l’ostensione dei simboli di partito così come la partecipazione dei politici ai comizi… Fatto presente ciò, già semplicemente dalla narrazione che Repubblica e dintorni hanno dato alla giornata, innegabile il tentativo di attingere dal potenziale bacino elettorale così come l’opportunismo e la strumentalità della presenza politicante…!
Per concludere, come già detto, nell’importanza che il 13 febbraio ha avuto era necessario esserci, criticamente e differentemente, ma attraversando uno spazio sociale dentro il quale decine di migliaia di persone si sono ritrovate, anche mettendo in discussione i punti fondati dell’appello e, soprattutto, superandoli con la forza di contenuti altri, forti perchè politici, urgenti perchè antagonisti non solo al feticcio del personalismo contro Berlusconi ma innanzitutto al regime di governo del nostro paese.
Bello un cartellone appeso alla schiena di una signora al corteo di Torino: “Egitto: grazie dell’esempio”. La rivoluzione d’Egitto è stato, per forza di cose, uno dei richiami che implicitamente ha percorso gli umori del corteo, non solo torinese. Facciamo cadere il rais… Domani è il 14 febbraio, e sarà e dovrà essere un altro giorno di lotta.
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