A chi serve parlare di emergenza
“Numeri allarmanti” “emergenza”: in molte occasioni abbiamo già messo a critica l’utilizzo ormai smodato di queste parole associate alla narrazione del movimento migrante. Parole che ritornano puntuali come orologi svizzeri sulle prime pagine ogni qualvolta sia necessario avviare retoriche strumentali a giustificare decisioni politiche che speculano, e cercano di trarre profitto, dalle aspirazioni di migliaia e migliaia di persone ad un’altra vita.
L’inflazionamento della retorica dell’emergenzialità ha un duplice effetto per quanto riguarda i fenomeni odierni: se dapprima punta all’effetto shock per influenzare e condurre l’opinione pubblica, indirizzandola verso sentimenti come la paura e come la sensazione di vivere in “stato d’assedio”, dopo qualche tempo si impone come una modalità discorsiva che di fatto non è affatto contingente bensì paradigma di base nell’affrontare questioni come ad esempio la migrazione.
Indubbiamente se un reattore nucleare si danneggia da un giorno all’altro, il momento che seguirà l’accaduto sarà di emergenza..ma se ci si riferisce ad altro, come per esempio il giungere di migliaia di persone disperate a Budapest, e il loro estremo bisogno di andare laddove ritengono possibile costruirsi un futuro strappato dalla guerra, e’ possibile definire “emergenziale” e “allarmante” un fatto sociale dovuto ad un sistema ahinoi per nulla stra-ordinario e contingente come l’aumento dei conflitti in corso ai margini di Europa e mar Mediterraneo, che ormai da decenni è normalità?
In questo momento di forte instabilità politica in Europa la risposta più adeguata dei suoi paesi sta nel puntare tutto sulla retorica dell’emergenzialità per aumentare il senso comune di pericolosità e connotare ancora maggiormente in modo negativo chi, irrompendo in paesaggi gentrificati e scevri di conflitto – come può essere la stazione di Budapest – porta con sé le facce del mondo che nessun signorotto della finanza né politico locale vorrebbe che si vedessero.
La sola visione di un’alterità massificata come quella che si è registrata ieri con la determinazione di migliaia di persone a Budapest di fronte al blocco imposto dalla polizia alla stazione rovina i sonni di governanti, figurarsi di Orban e del suo modello di nazionalismo xenofobo spicciolo. La risposta di Orban, con critica sferzante alla Ue e alla Merkel, è essa stessa dimostrazione dell’avvitamento della crisi dell’Europa che ricomincia ad erigere nuovi steccati, altri muri, e riporta l’immagine dei conflitti internazionali in casa propria, triste delocalizzazione all’incontrario portata da un movimento che non si riuscirà mai a governare..
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