“Dopo sabato ci sentiamo un po’ meno soli e un po’ più felici”. Cosa pensano i gilets jaunes?
Dal portale francese Lundi a.m., da tempo impegnato nella diffusione di un punto di vista militante nei recenti cicli di mobilitazione transalpini, abbiamo tradotto una lettera scritta da un partecipante ai blocchi stradali del 17 novembre contro il governo Macron, l’aumento del prezzo del carburante e il carovita in genere.
Buongiorno,
Ho 57 anni e sono un impiegato di una piccola-media impresa della Senna Marittima. Non sono un vostro lettore ma i miei figli vi leggono regolarmente e dopo ore e ore di discussioni (e sgridate) questa domenica mi hanno convinto a scrivere e inviarvi alcune riflessioni sul movimento dei Gilets jaunes al quale io sono felice e fiero di appartenere.
Per cominciare, ci tengo a sottolineare il fatto che ciò che segue non è che una mia opinione e un mio personale punto di vista sul movimento. E’ uno sguardo influenzato da ciò che ho visto e da ciò di cui ho discusso, tanto con i miei amici quanto con i miei figli. Al contrario di tutti quei media che stanno cercando di esaminarci dopo nemmeno due giorni, io non pretendo di dire la verità su questo movimento, composto da molte persone diverse con idee diverse, obiettivi differenti e probabilmente sogni molto diversi. Ciò che abbiamo in comune è la nostra esasperazione e la nostra azione. E’ molto e molto poco allo steso tempo, ma il fatto che esistiamo oramai appare evidente.
Ancora prima che agissimo, la maggior parte dei media e dei numerosi politici ci ha descritto come dei balordi anti-ecologisti intenzionati a preservare il diritto a inquinare in tranquillità. Su quale pianeta pensano che viviamo? Contrariamente a loro, noi abbiamo i piedi per terra. Non reclamiamo il diritto ad inquinare ogni giorno un po’ di più un pianeta già ridotto in pessimo stato. Ciò che rifiutiamo è questo loro ricatto disgustoso che vuole fare pesare sulle nostre spalle la responsabilità di una carneficina ecologica e il suo costo. Se il pianeta è in questo stato, se non siamo nemmeno certi che i nostri nipoti vi sopravviveranno, non è perché noi usiamo la nostra macchina per andare a lavoro, ma perché negli anni le industrie, i dirigenti e i politici hanno ritenuto che fosse più opportuno fare girare l’economia a tutta velocità piuttosto che preoccuparsi degli animali che si estinguono, della nostra salute, del nostro futuro. Ciò che continuano a fare è derubarci per finanziare una pseudo transizione ecologica assolutamente non all’altezza della posta in gioco. Questa gente ha perso credibilità in pressoché tutti i suoi ambiti di intervento, dovremmo dar loro fiducia proprio quando si tratta di una questione ecologica e di sopravvivenza dell’umanità? Lo facciano credere a qualcun altro.
Alcuni dicono che blocchiamo tutto per poter ripartire meglio il giorno successivo. Non è vero. In ogni caso, non è il mio caso. Ciò che noi blocchiamo è la nostra vita quotidiana. Le strade dipartimentali, le nazionali, le zone commerciali. Blocchiamo i tran-tran delle nostre stesse vite. A Parigi, oggi i gilets jaunes volevano bloccare Disneyland, la polizia glielo ha impedito, dunque hanno deciso di renderne gratuito il parcheggio. Che cosa pensi, quando vai a Disneyland e arrivando capisci che devi pagare 20 euro[1] solamente per poter parcheggiare? I gilets jaunes hanno pensato che è un racket e l’hanno reso gratuito per tutti. Che tu sia a favore o contro Disneyland, sei comunque a favore del fatto che il parcheggio di Disneyland sia gratuito.
Sui blocchi, ci son stati sindacalisti piuttosto buoni ma che passavano il tempo a dire, a coloro che volevano ascoltarli, che era necessario prendersela coi padroni, organizzarsi sui luoghi di lavoro, ecc. Certamente hanno ragione, ma il problema è che non tutti lavoriamo in grandi fabbriche o in grosse imprese dove i rapporti di forza ci permettono di fare pressione per l’aumento dei nostri salari. Molti di noi sono semplici impiegati, lavoratori autonomi, disoccupati ecc. Il padrone che abbiamo in comune invece, è Macron, è lui dunque che noi vogliamo piegare.
Dopodiché, certo, è vero che bloccare il paese non è necessariamente rivoluzionario e, a dirla tutta, non sono veramente certo di sapere cosa può significare ad oggi fare la rivoluzione. Da un lato, ci sono talmente tante cose che ci soffocano, ci rendono schiavi, ci instupidiscono e ci rendono infelici, ma dall’altro c’è uno stile di vita che ci vuole, al quale noi teniamo. La famiglia, i barbecue con gli amici, i colleghi di lavoro; tutto questo può sembrare futile ma, mi dispiace, no, non passiamo le nostre serate a guardare Arte [rete televisiva francese dedicata alla divulgazione culturale n.d.t.] e i nostri fine settimana andando al museo.
Del resto, non sono uno specialista di storia, ma non credo che nel 1789 o nel 1968, i manifestanti sapessero esattamente ciò che volevano conquistare prima che iniziasse tutto. Può essere io sia troppo ottimista, ma penso dobbiamo fidarci l’uno dell’altro.
Capisco poi che questo momento di confusione, questo ignoto, possa fare paura ad alcuni. Molti nel mio ambiente non hanno voluto unirsi ai gilets jaunes considerandoli una cosa dei fascisti, manipolati dal Front National. Oltre il fatto che non è questo il caso, sono molti i politici che vorrebbero appropriarsi del movimento, Front National per primo (e Mélenchon dietro, non troppo lontano) ma ad ora nessuno ci riesce. Capiamoci, non voglio dire che non ci riusciranno mai, ma se questo accadrà sarà ciò che ucciderà il movimento. E certo, ho visto in televisione che ci sono state azioni e insulti intollerabili contro omosessuali e persone straniere, questo mi fa ribrezzo come a tutti, ma fa comunque schifo buttarsi a pesce su questi episodi per accomunare chiunque e sottintendere che poiché si è “popolari” si è per forza stupidi e cattivi. Vorrei aggiungere che nel corso dei due blocchi a cui ho partecipato, alla rotonda di accesso di un’intera zona industriale e a tutte le entrate della più grande zona commerciale della regione, non ci sono stati incidenti se non qualche battibecco a volte un po’ più violento ma sempre verbale con qualche automobilista stanco di aspettare e decisamente arrabbiato. Sì certo, sui blocchi ci sono razzisti e stupidi, ma sta a noi mettere con loro i puntini sulle i, non certo ai giornalisti ben al caldo sotto i riflettori delle loro televisioni. La loro piccola opinione su ogni cosa non ci importa. Si è anche detto che la polizia è dalla nostra parte. Non è vero, la prova è che quando i gilets jaunes sono voluti andare all’Eliseo (ndt dal presidente della repubblica), glielo è stato impedito dalla polizia. Questo non significa che i poliziotti che li hanno dispersi con i lacrimogeni sono dei fedeli di Macron e per il momento si può dire che sono stati piuttosto cortesi, ma cosa faranno quando il governo dirà loro di picchiarci, quando saremo 100 000, e non 1000?
Infine, vorrei tornare indietro e rendere omaggio alla donna morta sabato mattina in Savoia. E’ veramente tragico, per lei, per la sua famiglia, ma anche per l’automobilista che, da quello che dicono i media, ha solamente avuto un momento di agitazione. E’ chiaro che non sarebbe mai dovuto accadere e che questo la dice lunga sul nostro livello di improvvisazione. E’ dunque necessario fare il possibile per essere sempre meglio organizzati e che sia evitato il peggio (in Moselle, per esempio, hanno bloccato l’autostrada in tutta la sua larghezza con dei pneumatici, per di più infiammati. Questo ha avuto il merito di dissuadere chiunque avrebbe voluto forzare uno sbarramento con la macchina e l’autostrada non ha potuto riaprire la sera stessa). D’altra parte, sfruttare questo incidente per provare a screditare il movimento e disincentivare la gente ad unirsi a noi, è il culmine del cinismo. Ci sono più di 300 morti al mese sulle strade in Francia, se volessi essere cinico come i nostri dirigenti, chiederei loro quanti morti sono stati risparmiati con la nostra giornata di blocco e di quanto si abbasserebbero le polvere sottili se bloccassimo il traffico per un mese intero. I politici e i giornalisti possono anche prenderci in giro vedendoci bloccare le rotonde ballando “La queue leuleu” ma dopo sabato ci sentiamo meno soli e un po’ più felici.
[1] NDLR: Dopo verifiche, un posto nel parcheggio di Disneyland Paris ammonta a 30 euro e non 20.
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