Sullo “Sciopero dell’affitto”
Lo “sciopero dell’affitto” è già una realtà di massa per decine di migliaia di residenti in locazione privata. L’insostenibilità economica dell’affitto rispetto al salario sociale e il “mal di abitare” dovuto alle pessime condizioni in cui sono costruite e affittati gli alloggi privati nelle varie cinture periferiche o nelle città sono i motivi scatenanti per cui nasce la morosità e si accumula il debito degli inquilini nei confronti del Mercato. Ma questo “sciopero” è vissuto individualmente e sottoposto a vessazioni, molestie e soprusi da parte dei proprietari e dal sistema istituzionale che ne garantisce il potere.
Scopo di questa discussione è analizzare i comportamenti di resistenza e di lotta che nascono nelle lotte abitative, guardando ai rapporti sociali tra conduttore e locatore come fonte dell’ingiustizia. La moltiplicazione dei picchetti antisfratto è una pratica di resistenza fondamentale contro l’emergenza abitativa. Allo stesso modo pensiamo che la lotta per l’abolizione della legge 431\98 e l’imposizione del controllo pubblico degli affitti debba nutrirsi di una molteplicità di pratiche e vertenze capace di sabotare dall’interno in più punti l’intero rapporto sociale contribuito dalla “locazione privata”. Costruire un punto di vista ed un sapere di parte che sostenga scientificamente le ragioni della battaglia contro il libero mercato è il nostro obiettivo.
Rompere l’ideologia proprietaria; il sentimento di vergogna e di paura che nasce dal non poter più pagare, ribaltarlo in consapevolezza e in obiettivi per ottenere un cambiamento strutturale dell’impianto liberista che regola l’accesso all’abitazione, sono dei compiti che vogliamo porci da subito per costruire un movimento generale per la riduzione dei contratti di affitto.
La contraddizione tra buste paga da fame, lavoro estenuante – interinale, part-time, esternalizzato – e spese altissime per l’abitazione, è esplosiva. È tenuta a galla da un sistema politico e finanziario basato sulla compressione individuale delle relazioni sociali, sul ricatto del debito e sulla paura di finire in mezzo ad una strada. Affrontare pubblicamente questa ingiustizia abitativa economica, significa mettere in risalto la truffa dei contratti libero mercato, svelando la diversità ed il privilegio costruito sulla proprietà. Il discorso pubblico è caratterizzato da un ribaltamento delle parti. Sono i proprietari a piangere per la cattiveria e furbizia degli inquilini. Nostro compito è dare voce e organizzazione a chi resiste ai soprusi, mostrando l’avidità, la falsità e la manipolazione che i padroni di casa attuano costante- mente. Si parla degli affitti mancati, ma non vengo- no mai calcolati le decine o centinaia di migliaia di euro che quel nucleo familiare inquilino negli anni ha versato al proprietario, magari senza ricevere alcun tipo di manutenzione. E alla prima difficoltà il rapporto si incrina: si viene giudicati per la macchina posseduta, si viene spiati negli acquisti che si fanno per sostenere la propria famiglia. Una volta una fami- glia allo sportello ci raccontò che il padrone di casa aveva rinfacciato all’inquilino moroso di averlo visto a passeggio d’estate sul lungomare a comprare il gelato alla figlia! Questa avidità è la caratteristica del mercato e su questa va contrapposto un senso di giustizia e di equilibrio da conquistare dando forza ai bisogni delle persone; rompendo il senso di solitudine e di abbandono. Costruire una prospettiva per tutti coloro che sentono di voler pagare meno l’affitto, per non rinunciare più a vivere una vita dignitosa. Il senso comune da fondare è quello che ha il coraggio di dire che la norma dei contratti di affitto libero mercato è il sopruso da parte dei padroni di casa, sia nel prezzo che nelle condizioni di abitabilità!
Le vertenze con i padroni di casa:
autoriduzione e lotta per un nuovo contratto
“Facevo la cameriera ai piani, lavoravo tutto il giorno per una busta paga di 1150 euro, facevo altri due lavori al nero come pulizia nelle case, e comunque non riuscivo a pagare l’affitto serenamente.”
I salari italiani in Europa dal 1990 al 2020 sono gli unici ad essere diminuiti (-2,90%)! La liberalizzazione degli affitti invece ha fatto aumentare esponenzialmente i canoni di locazione, fino al 300% in trent’anni! Si calcola secondo fonti istat che le spese per l’abitazione – comprensive delle utenze- arrivino ad incidere fino al 40% del reddito familiare per coloro che sono in affitto. Il fondo per la morosità incolpevole, disciplinato dalla Legge 124/2013 , ha definito che l’improvvisa incapacità di pagare l’affitto dovuta alle varie cause della diminuzione reddituale maggiore del 30%, costituisce “morosità incolpevole”. I comuni quindi bandiscono dei fondi che vengono ripartiti ai proprietari di casa (fino a 12mila euro) per “slittare” l’esecuzione dello sfratto oppure per sospenderlo contraendo un nuovo canone di locazione.
Questa procedura è un ammortizzatore sociale per la rendita e dimostra l’insostenibilità dei contratti libero mercato in relazione alle famiglie. Ma anziché intervenire sul problema – la libertà proprietaria di abusare del bene casa mutandolo in merce su cui speculare – lo Stato interviene per gestire l’emergenza della “morosità”, ovvero la caduta dei profitti proprie- tari. L’accesso a questi fondi deve diventare oggetto di battaglia sociale e politica affinché i proprietari che ne utilizzano debbano essere costretti a fare nuovi contratti sociali di locazione e a rendere l’alloggio abitabile e dignitoso, spendendo i soldi per le manutenzioni straordinarie (che puntualmente vengono sospese quando l’inquilino smette di pagare).
“Mi vergognavo di stare in una casa che mi faceva paura, perché cadeva a pezzi, il proprietario si è sempre rifiutato di sistemare il tetto e gli impianti”
Un altro elemento scatenante il ritardo, l’autoriduzione o l’interruzione dei canoni di affitto è costituito dal ricorrente risparmio che i proprietari fanno lasciando deteriorata l’abitazione in affitto, rifiutandosi di adeguare gli impianti, i tetto, le mura agli standard di “abitabilità”. Ci sono leggi che regolano questi standard e le condizioni igienico-sanitarie che devono essere mantenute negli alloggi. I Beni immobili che non li possiedono non potrebbero essere locati, oppure il non soddisfacimento prolungato di questi requisiti comporta il diritto dell’inquilino a sospendere i canoni di locazione. E’ possibile e necessario certificare e documentare l’inabitabilità dell’alloggio tramite una richiesta di ispezione alla usl di riferimento, o in alternativa produrre una perizia privata dal geometra, sia nel caso di problematiche già presenti all’inizio del contratto locativo sia sorte successivamente, durante la permanenza dell’alloggio. Il proprietario dirà che “la colpa” è della negligenza dell’inquilino, o troverà scuse di altro tipo. Noi invece sappiamo che non pagare l’affitto se la casa non è a norma è un diritto. Conquistare collettivamente questa “norma” significa coinvolgere in questo percorso di “ispezione popolare delle condizioni dell’alloggio” molteplici saperi e figure. Avvocati, architetti e geometri, muratori ed idraulici, elettricisti; ma anche studiosi delle condizioni igienico sanitarie, e medici. Il problema della salute per il cattivo abitare è sempre più frequente: patologie cronicizzate come l’asma bronchiale, per non parlare di danni gravi derivanti da “incidenti domestici” causati dall’assenza della sicurezza sulle immobile sono frequenti. Il moto di rabbia che ne consegue non può però perdersi nella fatalità o nella disperazione ma va ricondotto a queste dimensioni strutturali del risparmio proprietario sulla salute, sicurezza, abitabilità degli alloggi! Non è un caso che queste situazioni siano piene di invarianze con altri fattori: la precarietà dell’alloggio è frutto di una ricerca sul mercato abitativo nelle fasce urbane secondarie e terziarie, per cercare locazioni più economica, ma assolutamente sproporzionate nel prezzo. Il poco risparmio economico è però ricompensato dalle sistematiche cattive condizioni delle abitazioni.
I contratti a canone concordato e gli “Accordi Territoriali”
L’unica forma di calmierazione dei canoni di locazione “sopravvissuta” alla scomparsa dell’equo canone nella legge 431\98 è quella che prevede, facoltativamente, la stipula di contratti a carattere “concordato”. Questa tipologia, largamente inutilizzata per più di 20 anni prevede l’istituzione di accordi territoriali tra enti ed istituzioni pubbliche e rappresentanze dei sindacati inquilini e le associazioni dei proprietari al fine di determinare delle zone di locazione corrispondenti a diverse “oscillazioni” dei prezzi degli alloggi al metro quadro. Sono previsti inoltre dei criteri ulteriori in base alla data di edificazione degli alloggi, alle sue caratteristiche, alla dotazioni di arredi e di altri spazi accessori (cantine, garage etc..). Questi contratti prevedono per i proprietari la possibilità di ottenere uno sconto sulla tassazione Imu al 10%, e sono della durata 3+2 anni. I prezzi vengono ripassati di un circa 30% ma le fasce di oscillazioni potrebbero ridurli ulteriormente. Solo con la pandemia molti proprietari hanno fatto ricorso a questo strumento, per contrattare dei canoni diventati insostenibili per milioni di persone. Un utilizzo che viene fatto di questi contratti è molto spesso quello di gonfiare le spese accessorie o di truffare sulle caratteristiche degli alloggi o ad- dirittura sui metri quadrati affinché si raggiungano comunque prezzi di affitto identici al libero mercato ma ottenendo lo sconto sulla tassazione!
Questi contratti inoltre devono essere soggetti a revisione periodica per rideterminarne i prezzi e dovrebbe essere istituita a livello comunale una “commissione di garanzia” formata dalle rappresentanze degli accordi con il compito di risolvere i vari contenziosi di tipo economico o di abitabilità, prima i ricorrere a procedimenti giudiziari. Nella realtà questo strumento non viene mai utilizzato e il proprietario continua a fare da Padrone: anche le istituzioni non hanno alcuna forma di controllo degli accordi territoriali né dei contenziosi che nascono per morosità incolpevole. Un ulteriore utilizzo di questi contratti è quello in relazione all’ottenimento da parte dei proprietari dei fondi per la morosità incolpevole: lo sfratto può esse- re revocato con l’ottenimento di una quota monetaria per coprire il debito dell’inquilino pagato dallo Stato, in cambio deve essere istituito un nuovo contratto del tipo “concordato”. Nella prassi corrente avviene che questo canone ricalca lo stesso prezzo di quello precedente a libero mercato ed il proprietario dopo aver preso i fondi per la morosità incolpevole è subito pronto ad emettere un nuovo provvedimento di sfratto non appena l’inquino non riesca a pagare la mensilità dell’affitto; a quel punto di nuovo il proprietario può fare richiesta di accesso ai fondi della morosità incolpevole… una ruota infernale che garantisce alla rendita contributi milionari dallo Stato e che lascia gli inquilini in preda a procedimenti governati da tecniche burocratiche rette solo sulla paura di finire in mezzo ad una strada.
Diventa sempre più esplicito il dissenso nei confronti di “regole” che sono ideate ed applicate esclusiva- mente sulla base di ritorsioni e ricatti. La scrittura di nuove regole per la riduzione dei canoni di locazione passa quindi dalla capacità collettiva di minare a fondo tutte le violente procedure che attualmente abusano dei diritti dei residenti e degli abitanti. Può apparire un commento “emotivo”, ma la nostra esperienza ci parla dell’insubordinazione e il coraggio di affrontare consapevolezze la morosità per ottenere un nuovo rapporto di locazione “più giusto” passa più dalla reazione a comportamenti di “presa in giro” e di “manipolazione” da parte dei proprietari che da “freddi” ragionamenti tecnici sindacalesi. Una nuova forma di organizzazione sindacale e sociale può nascere, riscrivendo contratti, imponendo accordi, solo se saremo in grado di dare forza e progetto alle tante resistenze a questi soprusi!
IN SINTESI: se più del 30% del reddito se ne va nell’affitto, se la casa che hai preso in locazione è malsana, ed il proprietario si rifiuta di fare i lavori di manutenzione NON PAGARE E’UN DIRITTO! La morosità non è colpevole, è il mercato ad essere responsabile della tragedia degli sfratti! Lo stato stanzia i fondi per la morosità incolpevole ai proprietari, ma questi non abbassano i contratti di affitto! Ci vuole un controllo da parte degli abitanti sui fondi e su come vengono gestiti!
Rapporti con i servizi sociali: colloqui, scontri, mediazioni
Uno dei pilastri del sistema liberista degli affitti e dei mutui è la realizzazione di sé come soggetto nella capacità di essere solvibile acquistando e possedendo mezzi e proprietà da cui ricavare Status. Nel momento in cui viene meno la capacità economa di “farcela” il debitore viene trasformato in “malato”, e quindi infantilizzato, trattato come un bambino da assistere in una rieducazione che ha l’obiettivo di rivalorizzarlo e dargli nuove possibilità di stare sul “marcato”. La gestione dell’emergenza abitativa è affidata ai servizi di alta marginalità della Società della Salute. Gli\le assistenti sociali di base, anch’esse precarie, esterna- lizzate in cooperative, vengono assunte per formare un esercito di controllori con l’obiettivo di far crescere i profitti della Società della Salute, che ha una governance di tipo manageriale e aziendale. Gli assistenti sociali non rispondono quindi al codice deontologico e professionale né a rapporti di reciprocità con i cittadini bisognosi, tanto meno con la comunità. Ma a commissioni che stanziano fondi e fanno investimenti su “progetti” e che hanno come obiettivo “il bilancio”. L’emergenza abitativa ha progetti di tipo privatistico e nessuna forma di garanzia sociale pubblica: soldi agli affittacamere privati, presa in affitto di strutture privati, contributi all’affitto per i proprietari stanziati dal servizio sociale. Obiettivo è curare il malato moroso aiutandolo a “pagare”. Invece è possibile e necessario organizzarsi insieme come comunità di persone impossibilitate a pagare il libero mercato affinché questi servizi non siamo rivolti contro di noi ma che tutelino i diritti sociali. Sia nei rapporti con i proprietari sia nei rapporti con gli ufficiali giudiziari durante gli accessi, il servizio sociale deve essere messo nella condizione di individuare alternative utilizzando gli alloggi pubblici in disuso. Significa quindi saper organizzare una risposta alle tante esclamazioni che dicono “noi non abbiamo case”. Tenere vuote le case pubbliche e dare soldi pubblici ai proprietari è un controsenso da sottolineare. Dare i contributi ai proprietari senza provare a far ricontrattare gli affitti è un controsenso. Il servizio sociale serve come dispositivo di individualizzazione del rapporto tra persona e diritto alla casa. Sempre meno sono le persone che possono ottenere alloggio popolare tramite graduatoria erp pubblica, sempre di più invece si moltiplicano strumenti e dispositivi di emergenza abitativa che prevedono il ricorso al “privato”. Ma questo “ricorso” non vede nessuna contrattazione tra stato e mercato ma il semplice asservimento del primo al secondo.
Tutto ciò prende forma in una legittima diffidenza paura e ostilità dei nuclei familiari che si trovano o a piegarsi ai ricatti soddisfacendo i “percorsi” assolutamente umilianti previsti dal servizio sociale oppure semplicemente “non accedendo” a questi tipi di servizi. Lottare insieme affinché questi servizi “facciano il loro lavoro” cioè “aiutino” le persone invece di metterle sempre di più in condizioni di vergogna e difficoltà è un obiettivo ricompositivo anche proprio con quei soggetti che all’interno di queste macchine aziendali sociali si trovano a lavorare in condizioni di precarietà. Il primo passo è non essere “soli” a questi appuntamenti. Accompagnare le persone ai colloqui, formarsi e informarsi sui propri diritti, saper mettere in discussione limiti e applicazioni delle regole assurde, ottenere deroghe e spingere su possibili “contro – percorsi sociali”. Far chiamare l’ufficiale giudiziario per far rinviare lo sfratto, oppure far mettere al tavolo il proprietario per ridurre gli affitti, così come ottenere delle garanzie sociali per l’ottenimento di alloggi sono compiti che possiamo fare e discutere insieme per radicare nelle comunità dei territori, fatte da giovani, famiglie , donne, un modo diverso di rapportarsi con le istituzioni. Non più paura, ma rispetto!
Gli sfratti: dalle udienze in tribunale ai picchetti
Un altro aspetto che intendiamo discutere ed analizzare e che sottratto dalla sua dimensione esclusivamente “tecnica” è il procedimento giudiziario di sfratto. Questo perché l’organo competente di curare e applicare la legge è il Tribunale, che sempre di più è il luogo dove la giustizia assume dei caratteri di classe. La sezione civile del Tribunale è oramai una fabbrica dei senza casa. Perciò questa procedura è da conosce- re e contestare per come viene attuata. L ‘udienza in tribunale è una pura formalità: i giudici non vogliono ascoltare le tue ragioni, i motivi per cui non hai potuto pagare, i lavori strutturali mai eseguiti dal proprietario. Allo stesso tempo il giudice sforna sentenze in serie. I procedimenti di sfratto sono quasi un milione negli ultimi anni. Da questi numeri e dalla serialità della giustizia “civile” in materia di morosità incolpevole si può serenamente affermare che il problema non è più di tipo individuale, il “reato” è di tipo socia- le: a dover essere sul banco degli imputati deve esserci la legge 431\98! Il modo in cui si “diventa” morosi e in cui si affronta il calvario del procedimento deve qui di costituire un tempo politico, di lotta e di formazione. Lo stesso sistema giudiziario oramai vede un rodaggio tra avvocati dei proprietari, degli inquilini, giudici che asfalta qualsiasi possibilità di presa in considerazione dei problemi dell’inquilino. Le velocità di convalida e l’assenza di dibattimento sono dei gravi elementi antidemocratici sintomo di un rapporto di forza tutto teso a rendere legale l’ingiustizia dell’abuso proprietario. Ma anche qui possiamo e dobbiamo batterci, e tutto ciò non va considerato “immutabile” ma soggetto a cambiamento!
Allarme rosso: il Decreto ingiuntivo.
Un mezzo che costituisce un deterrente e una minaccia molto grave nei confronti dello sciopero dell’affitto e della morosità incolpevole è il provvedimento chiamato “decreto ingiuntivo”. Questo è un procedimento distinto da quello di sfratto per morosità (e non obbligatorio) richiesto dal Proprietario di un alloggio nei confronti di un inquilino moroso. Prevede l’applicazione entro 40 giorni di pignoramenti del quinto dello stipendio, blocco del conto corrente, pignora- mento di beni mobili e fermi amministrativi dell’auto- mobile. In questi 40 giorni, laddove il provvedimento viene effettivamente notificato, questo può essere impugnato dall’inquilino e fatta opposizione e quindi portare al giudice le proprie condizioni socioeconomiche per annullare tali richieste o ridimensionarle. Ma gli scrupoli legislativi a vantaggio della proprietà non hanno conosciuto limiti in questi anni: e infatti è prevista anche una applicazione immediata (in dieci giorni di tempo) dell’eventuale pignoramento, prima dell’udienza di fronte al giudice, che a quel punto può ratificarla o modificarla o annullarla. Sempre più persone si trovano ingabbiate in questo sistema perverso che oltre allo sfratto si trovano con richieste di risarcimenti e rimborsi che li incatenano a pignoramenti e a calvari burocratico legali. Questo è strumento odioso è utilizzato in modo sproporzionato da ricchi proprie- tari nei confronti di inquilini senza reddito o a basso reddito rendendo ancora di più ingiusto e vessatorio questo strumento. Esso infatti serve soprattutto come minaccia per impedire la permanenza nell’alloggio.
Il blocco dei conti correnti e il pignoramento del quinto stipendio, sono quindi misure coercitive finanziare tese a indebolire ancora di più la possibile resistenza. Perciò è necessario battersi per abolire il decreto ingiuntivo per i debiti ingiusti dell’affitto!
Picchetti
I picchetti antisfratto sono il culmine di una lotta quotidiana che si svolge in molti modi e in più luoghi. Non sono eventi da concepire in modo isolato, e quando vengono organizzati “all’ultimo momento” cresce il rischio di non riuscire a portare a termine l’obiettivo: il rinvio dell’esecuzione e l’apertura di tavoli di trattativa per conquistare soluzioni abitative. Questo perchè il picchetto è una pratica di lotta, un’azione diretta, che immediatamente chiarifica le parti in campo dello scontro, misurando e modificando i rapporti di forza. Da una parte il bisogno abitativo, dall’altro la volontà di continuare a lucrare sull’abitazione. Questo scontro va costruito e coltivato adoperando varie strade al fine di ottenere il massi- mo livello di energia sociale. Nella nostra città dopo un primo ciclo di lotta contro l’emergenza abitativa (2011-2014) che ha visto numerosi picchetti essere attaccati dalle forze dell’ordine per tentare di eseguire gli sfratti, le istituzioni hanno iniziato ad utilizzare lo strumento di “graduazione della forza pubblica”. Ovvero delle sospensioni temporali definite per tutti quei nuclei la cui soluzione abitativa poteva essere raggiunta “sforzando gli uffici a individuare degli alloggi di emergenza abitativa. Questa sospensione è nata dalla resistenza dei “senza casa” anche al costo di denunce e condanne, ed ha aperto a delle interlocuzioni con le istituzioni che hanno reso sempre più difficile per i proprietari esercitare direttamente la forza della questura per far liberare l’immobile. Questa tensione si è infatti scaricata anche sulle istituzioni pubbliche, che negli anni hanno dovuto aprire nume- rosi bandi di emergenza abitativa e stanziare maggiori fondi per placare la sete economica dei proprietari. Con gli strumenti della indennità di occupazione e dei ristori della morosità incolpevole, si sono ottenuti dei rinvii e delle sospensioni. La richiesta di sospensione forza pubblica alla prefettura è stata proceduralizzata tramite la compilazione di un modulo dove allegare la “storia” e le prospettive di risoluzione del disagio abitativo.
Il ricorso alla forza pubblica quindi è una violenza esplicita che viene spesso utilizzata come minaccia e deterrente, più che essere esercitata in modo sistematico. Solo una quota bassissima sul totale degli sfratti infatti vede l’impiego della polizia e dei carabinieri. Tra decreti ingiuntivi e altri meccanismi persecutori, la maggior parte delle persone che hanno un procedimento di sfratto per morosità incolpevole preferisce lasciare l’alloggio e cercare soluzioni di fortuna. Questo rappresenta un dato molto importante su cui riflettere: da una parte il ricorso continuo all’ordine pubblico è un problema per la stessa politica istituzionale poiché alza un livello di conflitto e di contraddizione difficilmente gestibile senza mettere mano a riforme che le istituzioni non hanno assolutamente intenzione di fare; dall’altro lato il prolungamento del periodo di sfratto e l’ottenimento di un numero alto
di rinvii, funziona solo con una battaglia duratura che deve essere preparata prima dell’esecuzione dello sfratto. Tecniche e trappole da parte degli ufficiali giudiziari in combutta con Proprietari, alcuni assistenti sociali e funzionari di polizia cercano costantemente di produrre rassegnazione e sfiducia nelle possibilità di resistenza. Perciò è decisivo confrontarci sulla dimensione pubblica e sociale e anche sulla comunicazione politica che deve accompagnare la lotta contro gli sfratti. La fermezza nel non lasciare nessuno in strada di fronte all’avidità dei proprietari e alla complicità di uno Stato che preferisce tenere sfitti migliaia di alloggi pubblici può dare vita a percorsi di mobilitazione collettivi. Non solo i “solidali” con la persona sotto sfratto, ma con l’insieme di nuclei familiari che condividono il medesimo problema, possiamo aprire delle vertenze collettive per la stipula di nuovi contratti, l’assegnazione di alloggi vuoti, l’attivazione di progetti di autorecupero. Il costo sociale dell’intervento della forza pubblica deve essere rovesciato in possibilità di far crescere l’indignazione e mettere a nudo le contraddizioni su cui si regge l’impalcatura violenta ma precaria del libero mercato.
S’invertono i ruoli. Lo sfratto è comprensibilmente vissuto dall’inquilino come una tragedia in arrivo. Il carico di tensione e di paura si riversa anche come danno fisico e psicologico. I percorsi di lotta per la riduzione degli affitti prevedono un ribaltamento anche di questi stati. Il proprietario, l’agenzia immobiliare, il consulente o l’avvocato procurato dal padrone di casa, si trovano a strapparsi i capelli e ad implorare di la- sciare l’abitazione. Questo succede quando riusciamo a costruire una serie di passaggi che rendono in orma persona lo “sfrattato” soggetto attivo e rivendicativo, capace di trovare le parole per descrivere una ingiustizia subita da molti, e che merita un cambiamento e una ribellione. La partecipazione fin dalle prime ore del mattino, prima dell’arrivo di ufficiale giudiziario
e forma pubblica, di decine di persone, che generica- mente scelgono di non andare a lavoro o di distribuire diversamente i diversi carichi della giornata, crea una situazione di calore e di giustizia che insieme fa affrontare i rischi, dimostrando fermezza e serenità alle controparti. Le colazioni con i caffè versati nei bicchieri di plastica e la formazione di nuove relazione tra le persone del picchetto, lo sforzo di comunicazione con i vicini- i giorni anche precedenti allo sfratto – e la produzione di materiale coreografico di striscioni, bandiere, cori e canzoni, sono gli ingredienti basici di un momento di lotta che ha l’obiettivo di trasformare una tragedia in una festa.
Dare coraggio, conoscere e trasmettere un sapere di lotta tanto articolato quanto concreto, non significa romanzare la realtà ma prestare adeguata attenzione a nuove forme di organizzazione sociale che devono attraversare sempre più spesso la quotidianità, trasformandoci da “vittime” dell’ingiustizia abitativa” a protagonisti di un grande movimento per il diritto alla casa.
Qui il link al manuale elaborato per la tre giorni di Casematte.
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