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Ad un anno dagli UK Riots: una quiete in tempesta?

Contributo inviato da un compagno che in queste settimane si trova in Inghilterra.

 

Alcuni appunti dall’Inghilterra su un grande rimosso del nostro presente

 

Arrivare negli aeroporti di Londra in questi giorni olimpici è un’esperienza vagamente inquietante. Uno dei primi sbarramenti che si deve superare è un piccolo varco sulle cui pareti diverse frecce indicano una telecamera. Appena il tuo sguardo fissa l’occhio elettronico, scatta una foto.

Peccato che ultimamente gli inglesi abbiano perso un po’ del loro tradizionale humor, perché un cartello con scritto “Smile! Big Brother is watching you” non ci sarebbe stato male.

Il senso di inquietudine aumenta quando ti rendi conto che da lì in poi ogni ulteriore identificazione per accedere al successivo step dell’infinito quanto ridondante sistema di controlli verrà fatto con quella foto. La sensazione di trovarti nel racconto Minority Report è piena.

 

Anyway.. In questi giorni, come prevedibile, il Regno Unito è letteralmente invaso dalle Olimpiadi. Sulla BBC non è possibile trovare altro (tranne qualche volta sul secondo canale, dove però televendite et similia non risultano particolarmente entusiasmanti), e stessa cosa per i giornali: uno potrebbe aspettarsi che The Times, Guardian o simili abbiano almeno un po’ di snobismo verso lo sport, invece anch’essi parlano per decine e decine di pagine esclusivamente di Olimpiadi. Il tutto ovviamente condito da un costante patriottismo alle volte davvero stucchevole.

 

Anyway.. Pare che quasi tutti se ne siano scordati, ma esattamente un anno fa scoppiavano quelli che passeranno alla storia come UK Riots. O forse alla storia non passeranno, visto l’assordante silenzio al riguardo durante quest’anno. D’altronde si sa che la storia è una delle discipline decisive per il controllo ed il mantenimento dello status quo. Tuttavia si potrebbe supporre che vista l’entità di quell’evento nei giorni dell’“anniversario” si possa leggere qualcosa al riguardo. Invece assolutamente nulla. E non può certo bastare la fagocitazione olimpica a renderne ragione.

Due giorni fa, ovviamente solo dopo decine di pagine tessenti le lodi dei golden boys&girls locali, si poteva trovare un accenno al venturo referendum nel quale la Scozia deciderà se staccarsi dal Regno Unito o meno. Qualche vignetta che irrideva la coalizione al governo fra libdem e Tories (se si forma il mitico Polo della Speranza ne avremo anche noi un bel po’ di materiale umoristico. Tra l’altro, avevate notato che l’acronimo è un’inquietante PS?). Si poteva leggere qualche interessante articoletto su una composizione di diversi gruppi armati irlandesi che stanno riformando l’Ira. Molto spazio era dedicato alla questione siriana, con un’interessante intervista ad un combattente quaedista. Ma nemmeno un minuscolo trafiletto sul fatto che il 4 agosto 2011 la polizia londinese effettuava l’esecuzione sommaria di Mark Duggan. Due giorni dopo quell’assassinio un corteo promosso dalla famiglia, tra l’altro non massicciamente partecipato, terminava con qualche tafferuglio. Ma proprio da quel tafferuglio si scatenava la scintilla che incendierà per giorni la prateria di una delle metropoli dove più densamente è insediato il comando globale.

Dunque sui giornali inglesi non c’è alcuna traccia dei riots, nonostante l’anno scorso molte testate avessero dato ampio spazio a quei fatti anche con interessanti inchieste sociologiche sulla composizione del sommovimento e sull’uso della tecnologia fatto da esso. In termini psicoanalitici si potrebbe parlare di una straordinaria rimozione. In termini politici possiamo invece dire che quando il barbaro, il mostro, o forse lo spettro, il fantasma, è in casa propria, è meglio far finta che esso non esista.

 

Anyway.. Per avere una prova del fatto che, oltre ad essere estremamente redditizio, il governo della paura funziona, basta provare a scambiare qualche parola nei luoghi di ritrovo preferiti della società britannica: i pub. Se si tenta di parlare dei riots con qualche bianco di classe media esso risponde infastidito, quasi come se quei fatti al limite non fossero proprio successi, o quantomeno li derubrica velocemente come figli dell’immigrazione e della mala gestione della polizia. Se si prova ad approfondire il discorso immancabilmente ci si trova di fronte ad un frettoloso “Anyway..”, che prelude all’introduzione di un differente argomento di conversazione.

Mentre pur addentrandosi in qualche scalcinato pub periferico, trovare qualche proletario disposto a parlarne è pressoché impossibile, si accumulano solo rimandi evasivi, silenzi e finte incomprensioni linguistiche.

 

Anyway.. Una cosa che forse non è stata percepita dall’Italia riguardo agli UK Riots dell’anno passato è il legame fra essi ed i lavori per le Olimpiadi. Sicuramente le cause dell’esplosione della rivolta sono molteplici, ma non va sottovalutato il fatto che una delle più importanti strategie di accumulazione inventate dal neoliberismo è proprio quella del marketing urbanistico, del grande evento come punta avanzata di capitalizzazione che usa lo spazio metropolitano per l’estrazione di plusvalore.

Molti analisti britannici, non senza alcune ragioni, stanno parlando delle Olimpiadi come ultima vera istituzione globale multilaterale, dopo che la fine della guerra fredda ha progressivamente dissolto il sogno di un governo globale. Ebbene, forzando un minimo i termini della questione, si potrebbe dire che il proletariato inglese ha detto la sua contro questa istituzione con largo anticipo.

 

Ad un anno di distanza è utile ricordare alcuni degli elementi che hanno caratterizzato quella rivolta dentro e contro le metropoli:

  • nell’anno in cui la Merkel e Cameron annunciavano il fallimento e la fine dell’idea di società multietnica, i riots hanno frantumato “l’alternativa”, ossia l’idea di Big Society proposta da Cameron. La sommossa, lacerando l’etnicizzazione sessuata delle gerarchie del mercato del lavoro, ha dato vita all’embrione di un melting pot di parte che è più che una potente allusione ad un meticciato possibile ed a-venire;

  • come tutte le rivolte, essa è stata uno squarcio nel cielo. Ma al contempo come tutti i fenomeni sociali, non bisogna scordare che essi non sono evenemenzialità trascendenti quanto risultati di processi, accumuli di forze e tensioni, che possono risultare invisibili, ma che sedimentano e costituiscono un patrimonio al quale si potrà nuovamente accedere;

  • la composizione degli UK Riots è stata ibrida, un misto di strati sociali e generazionali che ha saputo unire (basta guardare il profilo degli arrestati per intuirlo) proletariato di periferia e spezzoni di movimento studentesco e ceto medio in via di proletarizzazione, cosa che ad esempio non si era data durante la rivolta delle banlieues ed il movimento No Cpe in Francia. Inoltre la rete è stata uno strumento di lotta assieme al contro-uso tecnologico, che rendono il segno della potenza cognitiva di quella composizione sociale, umiliata da anni di politiche neoliberiste di tagli e macelleria sociale;

  • in una delle società con il livello di controllo sociale più alto la reazione dello stato fu isterica e brutale: dalle foto sui giornali e sulle auto della polizia con schermi proiettanti i volti dei rivoltosi, agli arresti di minorenni per l’incitazione alla rivolta su Facebook; dalla pratica dello stop and search (controlli e perquisizioni casuali per le strade) agli anni di galera per aver rubato una felpa fino alle minacce (infine realizzatesi solo parzialmente) di annullamento dei sussidi e delle case popolari. Una lezione è che lo stato di diritto si può tranquillamente sospendere nelle Democrazie Occidentali;

  • la particolarità e novità dei fatti dell’agosto 2011 sta nell’aver individuato la riappropriazione diretta della merce come obiettivo primario. Un’idea di giustizia chiara e immediata, che ha fatto gridare allo scandalo morale e parlare di critica al consumismo tanta sinistra-bene. Una pulsione al “..riprendersi la merce e la vita..” che non è probabilmente stata sufficientemente ancora indagata.

 

Inoltre non si può sottacere il fatto che gli eventi di cui stiamo parlando non furono un momento isolato, ma si devono leggere in un quadro che fa tornare alla mente che giusto alcuni mesi prima migliaia di giovani avevano occupato la torre dei Tories a Londra ed assaltato la macchina dove viaggiavano i monarchi britannici. Immagini che fecero il giro del mondo e fornirono un eccezionale carburante di immaginario anche per il movimento italiano esploso nel 14 Dicembre. E non si può dimenticare che il 2011 è stato l’anno in cui per la prima volta dentro la crisi la classe-parte del lavoro vivo ha preso iniziativa anticapitalistica e decisioni di parte, dall’Europa al Nord Africa, dal medio Oriente agli Stati Uniti, dal Sud America al Canada (senza dimenticare che la pressoché totale assenza di informazioni non ci può far parlare con sufficiente cognizione dell’Asia, ma anche in quel contesto si sono date grandissime lotte..) con sommosse, tumulti, jacqueries, forme insurrezionali, rivolte – che non si possono certo dividere in buone e cattive.

 

Per concludere, nell’anno del Termidoro, in cui dentro lo spazio ed il tempo della crisi il capitalista collettivo ha nuovamente preso l’iniziativa, non può che sorgere una domanda: i riots inglesi sono stati eclissi o anticipazione? Folgorante tramonto di un ciclo di lotte o prime luci aurorali di un nuovo tempo dei movimenti?

Nessuno chiaramente ha una risposta certa al riguardo. Quello che tuttavia è possibile affermare è che quella rivolta ha fatto emergere e impresso nella mente di milioni di persone come urlo di potenza quell’Atlantide sommersa che spesso risulta invisibile ma che pulsa costantemente della riproduzione endogena di vita dell’autonomia sociale. Un continente fatto di spazi increspati, talvolta densi e raggrumati e talvolta sottilissimi come ghiaccio, estesi in flussi transnazionali o radicati come alberi nel territorio, con una temporalità mai lineare che procede per rotture, salti, vuoti, attese, rarefazioni e precipitazioni. Un tessuto di classe multiforme fatto di sorprese e selvaggi assalti, assenze e frenesia d’azione e che come una talpa dal sottosuolo può spuntare fuori dove meno ce lo si aspetta, nei bordi o nel cuore delle metropoli globali.

Questa una delle ricchezze più preziose da non scordare della rivolta dello scorso anno. E, in un momento in cui la superficie del mare pare placida e soleggiata per i poteri finanziari, una delle certezze che ci possono far parlare di un quiete che in realtà cova tempesta. In attesa che la fiaccola della rivolta cominci una nuova corsa.

 

Nc from the North

 

Leggi anche:

Londra sta chiamando. L’economia morale dei riot britannici

Il comune in rivolta

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