Regionali in Sicilia: cronache di crisi e di alleanze
Spesso abbiamo sottolineato quanto gli appuntamenti elettorali isolani siano un vero e proprio terreno di sperimentazione e di verifica per tutto lo scenario politico e istituzionale nazionale. A partire dalle comunali di Palermo -che hanno sancito la disfatta del Pdl e l’ascesa con il minimo sforzo di papà Orlando– infatti alcune tendenze e ristrutturazioni del meccanismo di rappresentanza sembrano cristallizzarsi anche a livello nazionale. Parliamo della disaffezione elettorale per i grandi partiti e per le urne in generale, nonché l’utilizzo sempre più spregiudicato di un populismo in salsa italiota. A trarre vantaggio dall’inevitabile frantumazione, sono partiti come l’ Idv e il movimento cinque stelle che si affacciano prepotentemente sullo scenario politico futuro. Il loro populismo anticasta, costruito contro gli alti costi della politica, i privilegi della classe dirigente (a cui pure loro appartengono!) e il magna magna delle amministrazioni locali (vedi i recenti casi Sicilia e Lazio) suscita consensi in un paese disorientato e avvilito dall’imperversare della crisi. Assistiamo quindi ad uno spettacolo della politica inscenato, come detto, dal populismo di personaggi, come Grillo, Di Pietro, Orlando, che seppur con cosmesi diverse e contingenti alla scenografia mediatica sono sempre pronti a cavalcare il malcontento generato dalle misure anticrisi del governo, che hanno drasticamente ridotto garanzie sociali e diritti collettivi e brutalmente aumentato lo sfruttamento del lavoro vivo. Misure che però Pd e Pdl, in nome dei sacrifici necessari, hanno sempre appoggiato.
E’ forse la fine del bipolarismo? Tutto ciò rientra nei piani strategici di ristrutturazione della governance capitalistica e finanziaria? Crediamo di no. E’ sotto la lente d’ingrandimento dell’incapacità di gestione della crisi, infatti, che diviene lampante la sempre maggiore difficoltà dei partiti che gestiscono il potere di porsi come garanti di un elettorato il quale si sente invece sempre meno rappresentato dal governo della finanza e dai voltagabbana degli schieramenti politici. Da qui la dispersione del consenso verso partiti minori, di recente formazione e fin adesso storicamente poco determinanti ai fini della normalizzazione sociale.
Al momento le prossime regionali non sembrano meno decisive di quelle del 2001 che inaugurarono l’ascesa del cetrodestra (Pdl, An, Lega nord) a livello nazionale che governerà poi fino alla caduta del governo Berlusconi nel 2011; e potrebbero essere dirimenti per capire assetti e strategie di gestione della crisi da parte di quel modus applicandi del capitalismo, che da sempre è la forma stato, ma che nell’era della crisi finanziaria sembra mostrare tutti i suoi limiti. Non crediamo certo che centocinquanta anni di storia del capitalismo passino dalle elezioni regionali in Sicilia, ma ad un attento osservatore non sfuggirà quanto tali elezioni siano la massima esplicitazione del parassitismo raggiunto dalla forma partito.
Una campagna elettorale fatta di volti e populismo e non di programmi per il proprio bacino elettorale; le decine di cambi di casacca avvenute in vista delle elezioni; leggi elettorali che escludono una maggioranza alle urne; alleanze che non lasciano dubbi sulla totale assenza di qualsiasi convinzione politica; accordi post-elettorali per assicurarsi comunque vada -a costo della propria credibilità- una poltrona a Palazzo dei Normanni. Dati di fatto questi che palesano un processo di ristrutturazione -che al momento si traduce in sopravvivenza- dei partiti e del meccanismo istituzionale tutto, che attualmente non sembra in grado di poter rispondere efficacemente al crescente malessere e allarme sociale del Paese.
Dal voto dei siciliani dipendono infatti le sorti di un Pdl che solo undici anni fa, con la propria coalizione, otteneva tutti e 61 i seggi assegnabili all’elezioni politiche per il Senato della Repubblica, se dovesse uscirne con una sconfitta, potrebbe già preconizzarne un’altra sul piano nazionale. Ma anche tutta la (in)consistenza del Pd, nel suo cimentarsi in funamboliche alleanze e rotture a sinistra sarà messa a dura prova, facendo luce sulle possibili future alleanze con Idv, Sel, Udc, in vista delle nazionali. Insomma, sembra che tutte le forze politiche si sentano ed effettivamente siano di fronte ad un test fondamentale che possa assicurargli una futura sopravvivenza nel capitalismo della crisi.
Ma passando ad una disamina degli schieramenti, proviamo a dare una lettura, seppur parziale e ipotizzata, dei possibili scenari.
Comunque vada probabilmente non assisteremo ad una composizione alle urne della maggioranza. Per quanto detto sembra infatti improbabile che qualcuna delle coalizioni in corsa riesca ad ottenere la maggioranza assoluta dei seggi (come la coalizione di Lombardo nel 2008); e i 10 su 90 non decisi dal voto, possono essere assegnati alla lista più votata, ma entro il limite di raggiungimento di 54 seggi in favore della coalizione vincente (i restanti verrebbero divisi proporzionalmente alle altre liste). Quindi l’attribuzione dei 10 seggi oltre ad essere eventuale (può non scattare se la coalizione vincente ne ha già ottenuti 54), può non essere decisiva al raggiungimento della maggioranza assoluta. In pratica per ottenere la maggioranza assoluta in sede di Assemblea Regionale una delle coalizioni in corsa dovrebbe riuscire a guadagnare il 40% delle espressioni di voto!
Come dicevamo il Pdl si gioca una carta importante in Sicilia. Nonostante i sondaggi lo diano in vantaggio(con il 28%delle preferenze) rispetto all’avversario del Pd, Crocetta (con il 27% delle preferenze), il candidato alla presidenza Musumeci, nelle ultime settimane non sembra interpretare al meglio l’atipico elettorato siciliano: i proclami contro gli sprechi, la pressione fiscale o per la crescita e il pareggio di bilancio, sembrano infatti in sintonia con la linea governativa di austerity che al momento non suscita troppa fiducia negli italiani! Da non dimenticare è che la scelta del candidato ex-missino maturò in Agosto sulla base di una alleanza -poi non concretizzatasi- con un altro candidato alla presidenza, Miccichè. A Musumeci quindi mancherà un bacino elettorale non indifferente.
Miccichè e autonomisti appunto (che si attestano al 20% delle preferenze), che presentano un programma elettorale tutto rivolto alla medio-grande imprenditoria vista la centralità data all’alleggerimento burocratico per agevolare investimenti e infrastrutture, come dire, alla siciliana! L’ex forzista, già presidente dell’Ars (assemblea regionale siciliana) durante il mandato Cuffaro, nonostante la sua totale incoerenza politica è riuscito però a riciclarsi in coalizione con il compare Lombardo (Mpa) facendo appello ad un autonomismo populista contro la spending review e il controllo di bilancio previsto dal patto di stabilità per gli enti locali, imposti da Roma.
Sicuramente più aperto e sperimentale è lo scenario a sinistra.
La scelta del Pd di candidare Crocetta, sindaco antimafia per antonomasia, conferma l’idea già esposta che, Orlando docet, cercare di smarcarsi dall’immagine della casta para-mafiosa che ha governato nelle ultime due legislature sia una nota di merito. Che il Pd sia stato un protagonista del governo Lombardo poco importa, e se poi un partito come l’Udc del vecchio Cuffaro, che non sa più a che santo/partito rivolgersi per non scomparire, dà pure il proprio appoggio alla coalizione, ben venga, sono pur sempre una manciata di voti.
Ma, lungi dall’invocarne l’unità, non poteva certo mancare la solita spaccatura del centrosinistra; Sel, Idv, Verdi e Federazione della Sinistra hanno infatti deciso di candidare con una propria lista Claudio Fava (che si attesta al 14% delle preferenze). Sia Pd che l’auto-definitosi nuovo centrosinistra, intendono raccogliere il malcontento legato alle scellerate amministrazioni Cuffaro e Lombardo; una campagna elettorale figlia della retorica sulla legalità, sull’anticorruzione e sull’antimafia. Ma nonostante Crocetta si sprechi per l’epurazione dalle liste Pd degli ex filolombardiani (uno su tutti l’ex assessore alla sanità Russo), sappiamo bene quanto negl’ultimi due anni a tenere in piedi la giunta Lombardo, sia stato proprio il suo partito.
Più che di spaccatura però, preferiamo parlare di una sperimentazione, quella tentata da Idv e Sel che per motivi di diversa natura, stanno improntando una campagna elettorale verso le politiche ergendosi, in concomitanza ai grillini, ad unica forza d’opposizione alla macelleria sociale del governo monti. L’idv ha già consolidato questo suo ruolo sia a livello nazionale che nelle amministrazioni locali (vedi Napoli); per Sel invece le elezioni siciliane sono un buon appuntamento per capire quanto pagherebbe tagliare il cordone ombelicale con il Pd; cordone che Vendola ha così accuratamente cucito negl’ultimi mesi; a maggior ragione se il Pd in Sicilia, nonostante il crollo del Pdl, non riuscirà ad affermarsi come primo partito dell’isola (e le elezioni comunali di Palermo ce lo dimostrano). Particolarmente interessante in tal senso è il materializzarsi del personaggio Fava, che sembra aver già imparato le strategie elettorali dei cosiddetti “sindaci arancioni” che da Milano (Pisapia, Sel) a Napoli (De Magistris, Idv) passando per Parma (Pizzarotti, M5S) sbaragliano gli avversari facendosi strumentalmente portavoce di un rinnovamento dal basso di una casta politica corrotta, arraffona (si pensi agli appelli di Fava sulla trasparenza, contro gli stipendi d’oro dei deputati regionali e i milionari rimborsi elettorali) e fannullona (leitmotiv mediatico quello dei fannulloni che spesso ricorre quando si vuol screditare una qualche forma di lotta, dalle proteste degli operai fiat di Pomigliano a quelle della gesip di Palermo); appropriandosi del resto di parole d’ordine che poco hanno a che fare con la gestione delle politiche sociali dai palazzi del potere, come bene comune, e carpite direttamente dai movimenti di opposizione sociale. Probabilmente la retorica sulle responsabilità del Pd nell’appoggio al governo Lombardo, sta facendo rosicchiare a Fava punti percentuali non indifferenti.
Altri candidati meno quotati sono: M.Ferro che cavalca la lunga scia lasciata dal movimento di enorme rottura sociale dei Forconi per assicurarsi qualche poltrona di rilievo nella sua futura carriera politica, e il grillino Giancarlo Cancelleri. Anche per quest’ultimo e per il movimento cinque stelle le regionali in Sicilia risultano centrali; se il candidato grillino riuscisse infatti ad ottenere quell’8% di preferenze che i sondaggi gli assegnano -in un territorio in cui la progenie del popolo viola non ha alcun peso né nei movimenti né nella politica istituzionale- chissà cosa c’è da aspettarsi per le politiche!
Volendo trarre una sintesi ci troviamo difronte a:
-un Pdl ormai del tutto isolato e che anche nel proprio programma elettorale sembra avere poche idee e proclami retorici per riconquistare l’elettorato disperso negl’ultimi 2 anni;
-il Pd che in caso di una vittoria che come mai prima sembra possibile, come già detto dovrà decidere se comporre la maggioranza del governo regionale con un suo più naturale e storicamente vicino partito, Sel, o piuttosto accettare l’appoggio di Miccichè. La logica potrebbe già darci una risposta, ma nella politica della rappresentanza la logica fa a pugni con l’opportunismo e il conteggio dei voti (soprattutto se dietro ci sta un ex rifondarolo adesso alleato con l’Udc);
-i partiti autonomisti guidati da Miccichè (che sembra abbiano barattato con Fini l’isolamento del Pdl in cambio di garanzie per le prossime politiche), potrebbero sedere comunque a Palazzo dei Normanni. Se il Pd, non riuscirà infatti a raggiungere una consistente maggioranza alle urne, cosa altamente probabile, a poco potrebbero servirgli i pochi seggi della coalizione di Fava. E il flirt tra Crocetta e Miccichè dice molto più delle dichiarazioni del candidato del Pd, che ha ovviamente affermato di guardare prioritariamente a sinistra, ma con una preoccupazione sulla percentuale che otterrà Fava. Se dovesse invece vincere Musumeci, checché ne dica, per questi non esisterebbe alleanza possibile se non quella con Miccichè appunto;
-infine il movimento cinque stelle, che a dispetto del discredito unanime del mondo politico e mediale (vedi finanche il partito di repubblica), si fa strada verso Roma, al parlamento.
Ma mettendo da parte i giochetti di palazzo e passando a ciò che veramente ci interessa, è facile notare come una costante percorra tutti i programmi, da quello di Sel e Idv a quello del Pdl: la necessità di attrarre in Sicilia grandi investimenti e grandi aziende e imprese, straniere perlopiù; c’è chi propone l’alleggerimento dei vincoli burocratici o della pressione fiscale (Miccichè e Musumeci); chi invece fa un troppo facile richiamo alla valorizzazione del patrimonio siciliano (Crocetta e Fava). Ovviamente nessun candidato ha una reale progettualità su ciò che oggi rende precarie migliaia di esistenze, la piaga occupazionale, all’infuori di slogan e proclami o di proposte neo-keynesiane di un reddito minimo garantito assolutamente prive di qualsiasi carica di cambiamento e inserite in un quadro di compatibilità che di per sé non avrebbe alcuna capacità di rottura nei confronti dell’attuale assetto economico-istituzionale. E’ fin troppo chiaro, infatti, che chiunque vincerà avrà davvero poco spazio di manovra e d’intervento (ammesso che ne voglia!), dovendo sottostare non tanto al governo nazionale -ormai mero strumento esecutivo- quanto ai dettami della governance finanziaria.
Essere capaci di attrarre investimenti/ori che possano godere dell’abbattimento dei costi del lavoro è proprio la strategia che il governo Monti, sotto imposizione dell’UE si è data attraverso il decreto liberalizzazioni e la riforma del lavoro (Fornero); barattando così migliaia di posti di lavoro e il necessario protezionismo di alcuni mercati, in cambio della possibilità che qualche magnate venga dalle nostre parti potendo contare su un mondo del lavoro totalmente svuotato di diritti e garanzie (che già in Sicilia di certo non abbondavano!), a speculare su vite e territori. Il tutto in nome dei mercati e della nuova accumulazione finanzcapitalistica (valga come esempio il possibile investimento di una grande azienda italiana nel campo della meccatronica, che verrebbe a produrre ogm in Sicilia!)
Quindi inutile illudersi che la scelta di un candidato o di un altro, di uno schieramento piuttosto che un altro, possa davvero cambiare la situazione; o possa avviare un processo di ridistribuzione di beni, lavoro, risorse prodotte quotidianamente da un’incredibile mole di cooperazione sociale, e ad egual ritmo depredate da meccanismi di cattura e sfruttamento neoliberisti. Ma sembra che i siciliani comincino a intuire tutto ciò e il previsto astensionismo alle urne di circa 2 milioni di isolani (che equivale al 36% di aventi diritto al voto) è un dato inequivocabile che conferma il momento esiziale vissuto dall’attuale sistema di rappresentanza capitalistico, non in grado di reggere la troika finanziaria e contenere il sempre crescente malcontento e conflitto sociale.
Infoaut Palermo
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