Amazzonia: non serve a molto pregare
In questi giorni sui social fioriscono numerosi appelli, grafiche e slogan che hanno come obiettivo di denunciare le gravissime conseguenze dell’incendio che sta devastano la foresta amazzonica.
Molti si riferiscono all’urgenza di smettere di mangiare carni che provengono dall’importazione dal Brasile in tutto il mondo, Europa e Italia ben incluse. L’appello alla coscienza dei singoli che può produrre atti di boicottaggio o altre pratiche sono sicuramente un buon punto di partenza ma occorre risalire alle responsabilità politiche ben precise. Il punto è che la deforestazione illegale che si pratica provocando incendi di migliaia di chilometri di terreno è uno degli strumenti principali per ottenere campi per la coltivazione di soia, olio di palma e pascoli per bovini. Da gennaio 2019, ossia da quando è salito in carica al governo brasiliano Jair Bolsonaro, gli incendi sono stati oltre 80000, quasi il doppio dell’anno scorso e il 40% in più del 2013.
Alle spalle di Bolsonaro la lobby che ha spinto per il sì alla sua presidenza è la Bancada Ruralista, la lobby più potente del Brasile che recentemente ha eliminato i divieti per molti pesticidi e ha limitato i dazi sull’importazione di macchine agricole in cambio di canali preferenziali per l’esportazione di carne brasiliana verso l’Europa. In tutto ciò il Programma di regolarizzazione ambientale ha permesso di fare una sorta di sanatoria per le terre indigene illegalmente occupate da anni a questa parte. Fondamentale ricordare che il business agropecuario rappresenta un quarto del pil brasiliano, non per niente Bolsonaro ha annunciato che, a seguito delle dichiarazioni di Macron, se ci saranno sanzioni internazionali nei confronti del Paese primo esportatore di carne bovina e avicola nel mondo significherebbero conseguenze per tutti.
E’ notizia di stamattina infatti che, all’apertura del G7 a Biarritz, il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato la mobilitazione di tutte le potenze riunite per aiutare il Brasile a lottare contro il fuoco in Amazzonia e per la riforestazione. In questo senso la Francia annuncia di essere pronta a opporsi all’accordo Mercosur implicando un arresto del trattato commerciale che permette il libero scambio tra Unione Europea e America del Sud. Questa mossa non vede però accordo con Berlino e Trump non si lascia scappare occasione per insinuare una minaccia di conflitto con la Francia e l’UE con l’idea di tassare i vini francesi in reazione alla tassazione dei giganti americani dell’informatica. Il presidente USA ha inoltre comunicato mediante un tweet di essere pronto ad aiutare il suo caro collega Bolsonaro dato che « Le nostre prospettive commerciali sono entusiasmanti e il nostro legame è forte, forse più di sempre”.
Insomma, un nuovo puzzle internazionale si sta giocando ai piani alti tra interessi economici, geopolitici e minacce dell’ultim’ora, il tutto condito da grandi dichiarazioni per il bene dell’ambiente da parte dei grandi riuniti in queste ore a Biarritz che contemporaneamente sono i mandanti della repressione che non ha tardato a colpire i numerosi militanti di varie associazioni e collettivi ecologisti e ambientalisti di tutta Europa giunti al contro-sommet. Ma il tentativo di lavarsi la coscienza è evidentemente ricoperto di fuliggine. Un rapporto pubblicato il 25 aprile scorso da parte dell’organizzazione Amazon Watch accusa numerose industrie nord americane e europee di partecipare alla distruzione della foresta amazzonica e di rendersi complici della deforestazione illegale attraverso i loro rapporti commerciali con quelle aziende brasiliane condannate per tali atti. In particolare, industrie francesi e tedesche specializzate nell’importazione di legno e di bacche di acai dirette ai mercati del biologico (!), hanno intrattenuto tra il 2018 e il 2019 importanti rapporti commerciali con queste aziende. Così come la BNP Paribas e altre banche occidentali perpetrano copiosi investimenti nel commercio delle materie prime.
Intanto, nel Paese si sono mobilitate più di 80 città contro le conseguenze che questo incendio potrà avere sul territorio, sulle popolazioni indigene e sul mondo tutto, assumendo sin da subito toni di feroce contestazione all’operato del governo di ultra destra. Da San Paolo a Brasilia a Rio de Janeiro studenti, esponenti di sindacati, insegnanti, leader indigeni sono scesi in piazza per protestare contro le politiche di Bolsonaro nell’ambito dell’educazione, criticando la riforma del sistema pensionistico e le limitazioni al bilancio scolastico. Migliaia di donne autoctone si sono mobilitate contro le politiche di genocidio e contro lo sfruttamento indiscriminato delle miniere in territori indigeni. Si fanno strada, sotto il pesante cielo di cenere che avvolge il Sud America e che fa sentire il suo acre odore fin dall’altra parte dell’Oceano, importanti rivendicazioni per un sistema più equo, di distribuzione delle risorse, di vivibilità e di rispetto per la terra e per i suoi abitanti.
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