Argentina: Piatti vuoti nel “granaio del mondo”, il prezzo degli alimenti aggrava la povertà
In un paese che si pubblicizza come “produttore di alimenti”, ogni giorno è più difficile accedere a frutta, verdura e carne. I settori popolari sono i più colpiti dalla corsa inflattiva. Le politiche governative inefficienti e inefficaci, la proposta di restare al potere ai grandi formatori dei prezzi e di ridurre l’intermediazione.
di Julio C. Gambina
I dati dell’inflazione a febbraio 2023 preoccupano. In effetti, il 6,6 per cento di febbraio 2023, un accumulato del 13,1 per cento nel primo bimestre dell’anno e del 102,5% in 12 mesi, preoccupa in generale, ma ancor più nei settori sociali impoveriti. È un tema aggravato, ancor più, quando osserviamo il prezzo degli alimenti, che è cresciuto del 9,8 per cento a febbraio, del 17,2 tra gennaio e febbraio e del 102,6 per cento nell’accumulato di 12 mesi.
Con redditi popolari in basso -siano salari, pensioni o diversa assistenza sociale-, il peggioramento delle condizioni di vita quotidiana della maggioranza della popolazione aggrava la situazione dell’impoverimento.
Un dato della realtà è la disuguaglianza, si manifesta nella concentrazione di redditi e ricchezza in molto poche mani e in un ampliamento dell’impoverimento sociale.
È da un po’ di tempo che preoccupa il tema dell’inflazione, e non basta sottolineare che si tratta di un fenomeno mondiale, giacché l’inflazione negli Stati Uniti si situata tra l’8 e il 9 per cento annuale e ora sta a circa il 6 per cento. In generale, sia in Europa o in altri paesi del sistema mondiale, l’inflazione annuale si aggira tra l’8 e il 20 per cento, chiaro che ci sono paesi con registrazioni minori, molti di loro nella regione latinoamericana e caraibica.
La specificità dell’Argentina è che l’inflazione che è annuale per vari paesi: è mensile nelle registrazioni locali. Non è un tema nuovo, ma di lungo respiro, che, nell’ultima fase, con rialzi e ribassi ha incominciato a salire dal 2006.
Foto: Nicolas Pousthomis / Subcoop
Teoria, politica, alimenti e povertà
C’è un dibattito teorico e politico sulle cause dell’inflazione e sulle politiche antinflattive. È un dibattito inconciliabile, basato su basi teoriche e politiche che rivendicano obiettivi differenti ed esprimono interessi economici, politici e culturali privati.
Da parte del liberalismo si sostiene un punto di vista monetarista che sfocia in politiche di aggiustamenti fiscali, elevando il deficit fiscale e l’emissione monetaria a problemi essenziali.
La scuola keynesiana, con le sue varianti, sostiene politiche di “accordi” tra diversi anelli del processo di produzione e circolazione, e risolvono la diagnosi abusando di una multi-causalità che può spiegare varie cause ed effetti.
Ovvio che in ogni corrente ci siano sfumature, come ci sono in coloro che polemizzano dal marxismo, che basano le proprie posizioni nella legge del valore di Marx e, perciò, il carattere monetario mercantile della società capitalista.
Il dibattito è incompiuto e può sembrare un dialogo senza ascolto, impossibile da sintetizzare, e nel frattempo, i prezzi generano la crescente disuguaglianza, fatto che presuppone l’estensione dell’impoverimento.
La salita dei prezzi colpisce in primo luogo le ed i generatrici/i della ricchezza sociale: le e i lavoratori. A questo si aggiunge un insieme di settori piccoli della produzione e dell’attività economica in generale, senza capacità di intervenire nella disputa dell’eccedenza economica.
Da questa preoccupazione, del deterioramento aggravato degli impoveriti, è che ci interessa specificatamente perché avviene con il prezzo degli alimenti, la voce di maggior incidenza nell’indice dell’inflazione, che oscilla tra il 25 per cento nel Gran Buenos Aires (GBA) e il 38 per cento nel Nordest.
La spesa dei settori impoveriti è principalmente in alimenti e se questi crescono di prezzo implica il deterioramento dei redditi popolari, diventa chiaro il risultato di maggior indigenza e povertà.
Alcuni dati forniti dall’Indec per febbraio e il GBA evidenziano un aumento dei prezzi rispetto a gennaio del 35 per cento nella carne macinata comune, 34,3 l’anca, 33,5 la scapola, 32,8 la natica e 28,6 per cento l’arrosto. Su una simile linea, aumento del 14,6 per cento il riso bianco, 13,2 le uova di gallina, 9,9 il formaggio cremoso e lo yogurt, e ancor più: 72,4 per cento le arance.
Sono solo alcuni dati che illustrano il maggior aumento degli alimenti rispetto alla media dei prezzi che sono saliti del 6,6 per cento nel febbraio passato e, ricordiamo, del 9,8 per cento gli alimenti.
È chiaro che ciò si spiega anche con la siccità che aggiunge problemi, che genera scarsezza e perdita di qualità nelle merci. È un tema associato ad altri paesi e legato al cambiamento climatico, che rende manifesto che è un tema che va oltre la congiuntura e tutto indica che è scarsa la pianificazione di iniziative che contemplano un problema strutturale che dovrebbe essere risolto nell’ambito dell’integrazione regionale.
Foto: Télam
Il prezzo degli alimenti: diagnosi e proposte
Molto si discute in genere sulla fissazione dei prezzi, dove ci sono rami monopolizzati nella produzione e circolazione degli alimenti. Allo stesso tempo c’è una diversità di produttori di frutta e verdura distribuiti su tutto il territorio che producono, simultaneamente con una immensa rete di posti di vendita disseminati su tutto il paese.
Consultati i piccoli commercianti di quartiere, produttori di frutta e verdure, anche professionisti che assistono questi piccoli impresari della campagna o della città, tutti coincidono che un problema centrale sta nell’intermediazione, per cui una prima conclusione che si dovrebbe trarre riguarda la necessità di organizzare l’articolazione tra questa massa di produttori e distributori al dettaglio, avvicinando la produzione al consumo.
Non si tratta di stabilire legami individuali tra produttori e consumatori, ma si potrebbero sviluppare forme comunitarie, cooperative e di autogestione per la produzione e la circolazione di frutta e verdura, senza danni per altri alimenti nei quali il paese ha un’elevata esperienza e sviluppo tecnologico, sia di carne e latticini, per esempio.
La proposta coinvolge lavoratori e consumatori, anche con la partecipazione universitaria nell’assistenza tecnica e ambiti specifici delle amministrazioni municipali provinciali e nazionali.
Il mercato degli alimenti, specialmente frutta e verdura, richiede l’estensione dei “mercati centrali”, non solo quelli che oggi ci sono in vari territori, ma dovrebbe estendersi come politica di articolazione della produzione, della circolazione, dello scambio e il consumo, attraverso “fiere” o “mercati popolari” con la partecipazione di lavoratori, produttori e utenti, promossi dalla politica statale.
Si deve riconoscere che il prezzo appare determinato dalle grandi catene della circolazione, forti concentratori della produzione e formatori dei prezzi, ai quali si adeguano i piccoli stabilimenti.
È un dato che il piccolo produttore è quello che ha meno possibilità di intervenire nella fissazione dei prezzi.
Eliminare o diminuire l’intermediazione risulta strategico, fatto che richiede una deliberata politica statale con risorse per sostenere una logistica adeguata e una pianificazione partecipativa che coinvolga lavoratori, produttori e consumatori.
La speculazione intermediaria può essere risolta solo con pianificazione e partecipazione, anche se è certo che dietro a tutto c’è la legge del valore e, perciò, dei prezzi legati al regime di produzione capitalista che domina le relazioni economiche e sociali nel loro insieme.
Foto in alto: Télam
16 marzo 2023
Agencia Tierra Viva
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