Intervista: capire il “nuovo” Brasile di Bolsonaro
Nell’ambito della due giorni “Peripherique” ospitata al Laboratorio Crash di Bologna abbiamo realizzato questa intervista a due ricercatori brasiliani intervenuti al dibattito. L’intervista si concentra sull’attualità politica nel paese e nella regione sudamericana. Soffermandosi sull’elezioni di Bolsonaro, sullo stato dei movimenti, sulle nuove tecniche di dis-informazione in Rete e sulle convulsioni del PT e delle forze “progressiste” del paese. Buona lettura.
Vorremmo iniziare con la vostra analisi delle ultime elezioni nel vostro paese. Ovvero, sui motivi, sui processi politici di lungo periodo che hanno poi portato all’elezione di Bolsonaro. Molti stanno analizzando quanto avvenuto nei semplici e riduttivi termini dell’avvento al potere di un fascista, di un effetto domino dell’elezione di Trump..noi vorremmo invece capire il quadro nella sua complessità, dal ruolo del cosiddetto anti-petismo al potere della Chiesa evangelica ad esempio.
In realtà anche noi stiamo ancora cercando di capire cosa sia avvenuto. Stavo leggendo negli scorsi giorni una intervista ad un famoso scienziato politico brasiliano. Questo si rammaricava del fatto che sia lui che i suoi colleghi non fossero stati in grado di capire che Bolsonaro potesse davvero vincere. Solo a Settembre infatti era già incredibile l’ipotesi che Bolsonaro potesse andare oltre il 25%. La spiegazione mainstream, corretta ma anche riduttiva, è quella per la quale la gente si è stufata della corruzione, a causa dell’enfasi avuta dall’operazione Lava Jato. Dall’altro lato, ed è un tema che crediamo vada sottolineato, su questo spirito anti-corruzione si è inserita la realtà della crisi economica. In Brasile le crisi economiche hanno sempre portato ad una profonda rottura dello status quo politico. Fu una crisi economica che condusse al potere Getulio Vargas, e sempre una crisi economica fece salire e scendere dal potere l’ultima dittatura militare che abbiamo avuto dal 1964 al 1985. Questa è la base del discorso.
Poi però bisogna davvero considerare quello che è stato il ruolo dell’anti-petismo in tutto il processo. E’ sempre stato molto difficile per le forze progressiste emergere in Brasile, e quando questo è successo la destra reazionaria ha sempre cercato di collegare queste forze a una sorta di populismo di sinistra corrotto, spesso giovandosi dell’aiuto dei grandi media. Di fatto venivano scatenate ondate di astio verso le forze progressiste, basate anche su quello che crediamo sia un conservatorismo culturale interno ad ampie parti della società brasiliana. In questo sicuramente il PT è responsabile di non aver davvero effettuato una redistribuzione che toccasse le ricchezze dei grandi capitali: in Brasile chi era ricco è rimasto ricco anche dopo questi anni. Dall’altro lato ci sono stati senza dubbio grandi progressi rispetto al tema del riconoscimento dei diritti civili, sopratuttto per quanto riguarda la comunità LGBT. Questo a sua volta ha portato alla reazione guidata soprattutto dal sistema delle chiese evangeliche, altro tema decisivo.
C’è una cosa che va aggiunta. Ovvero il punto della sicurezza, in particolare relativamente al tema delle favelas e di come questa veniva percepita soprattutto dalle classi meno agiate. A differenza di quanto si potrebbe pensare, Bolsonaro non ha mai avuto alcun programma politico rispetto a come affrontare questa tema. Nei suoi discorsi parlava sempre e solamente di uccisioni e di una soluzione iper-militare del problema. In questo momento sono tantissimi i militari che sono entrati in Parlamento, più di settanta se non sbaglio, lui stesso come sapete è un ex-generale. C’è un processo di militarizzazione dello Stato in corso a tutti i livelli dell’amministrazione, locale e federale.
C’è un grande dibattito ora in Brasile su questo fatto della volontà popolare dell’avvento di un uomo forte, di uno che possa risolvere con la forza il problema della criminalità e così via. Ma dobbiamo considerare che ad esempio nel sud del paese, la parte più ricca e sviluppata, non è che ci sia un livello così alto di criminalità. Eppure è dove Bolsonaro ha preso più voti e consensi. Quindi forse il tema della sicurezza preso da solo non è l’unico o il più decisivo.
Tra le figure che sembrano emergere all’interno del prossimo governo c’è quella di Paulo Guedes. I media lo descrivono come un emulo moderno dei Chicago Boys degli anni Settanta, quelli che scrissero il programma economico di Pinochet per intenderci. L’agenda di Bolsonaro sembra dunque quella di una politica che mixa approccio neoliberale in campo economico e uno autoritario in ambito politico. Con l’appoggio delle grandi lobby agrarie, mediatiche e della Chiesa.
Quando parliamo di questa combinazione tra neoliberismo e autoritarismo ovviamente pensiamo al Cile e a quanto è successo negli anni Settanta e Ottanta. Quello che differenzia però i supporter di Bolsonaro da quelli di Trump, probabilmente, è che loro non supportano l’idea di uno stato minimo in classico stile neoliberale. In questo senso credo che ad esempio il ruolo della chiesa evangelica sia stato importante per nascondere questo aspetto anti-statalista di Bolsonaro. In Brasile la gente a maggioranza in realtà è favorevole alla spesa in servizi pubblici, vuole il Welfare State. C’è consenso all’idea che salute e istruzione siano diffuse, gratuite e di qualità. E per quanto possa essersi diffusa anche in Brasile l’idea dell’autosufficienza, dell’essere auto-imprenditori di sé stessi, io credo che la gente soprattutto volesse stoppare la corruzione all’interno dell’amministrazione statale, non ridurre il ruolo dello Stato nelle loro vite.
La gente era semplicemente molto stanca del vecchio sistema politico. Volevano qualcuno di nuovo, al punto tale di eleggere uno che poi in realtà non era neanche veramente nuovo come Bolsonaro. Però volevano punire i partiti tradizionali, cercare una nuova strada per migliorare le proprie condizioni, che a volte sono anche proprio le più materiali. Ad esempio a Rio, una città dove il tasso di criminalità è molto alto, il governatore neoeletto come prima soluzione ai problemi della città ha detto che assumerà decine di cecchini per rimediare alla criminalità. Bolsonaro probabilmente è più da paragonare a Duterte che a Trump. In realtà i brasiliani probabilmente neanche hanno piena comprensione di quale sia il ruolo dello Stato per Bolsonaro, e senza dubbio non appoggiano l’idea di uno stato minimo che comporti meno spesa in servizi pubblici.
Abbiamo letto molto delle nuove tecniche utilizzate a livello informativo e mediatico per orientare le elezioni. Ad esempio, abbiamo visto queste nuove catene su Whatsapp usate per diffondere notizie scandalistiche all’interno di vere e proprie campagne di disinformazione. E’ dalle elezioni di Trump che sentiamo questi discorsi e vediamo l’affermarsi di nuove pratiche, cosa è successo in Brasile?
In Brasile Whatsapp è il principale strumento di comunicazione, molto più di Facebook ad esempio. Whatsapp è stato decisivo per l’elezione di Bolsonaro. Per chi si contrapponeva a Bolsonaro non è stato facile capire cosa succedeva all’interno della bolla intorno ai suoi sostenitori, al fine di provare a combatterlo. Whatsapp non è di facile accesso come Facebook perchè è uno strumento molto più chiuso. Nuove tecniche sono state utilizzate, con notizie inventate che venivano inviate da numeri stranieri per evitare qualunque ripercussione legale. Tralaltro questa ha mostrato anche i limiti della legislazione elettorale rispetto alle nuove forme di comunicazione. C’è una branca della Giustizia che si occupa solo di elezioni, ma se in passato poteva controllare soltnato quanto avveniva in tv o su Faceboook ora è diventato tutto molto più complicato.
Hanno usato video, meme, foto ritoccate con informazioni aggiunte. Molta della campagna è stata giocata sui temi dell’identità, in particolare in relazione alle questioni di genere. Una delle immagini che girava era una che affermava come se il PT avesse vinto le elezioni, i suoi governanti sarebbero andati in giro per il paese a prendere i bambini al fine di trasformarli in gay. Robe semplicemente ridicole, che però a quanto pare in parte hanno avuto successo nell’orientare il voto. L’ormai abusata “ideologia gender” è diventata il nemico numero uno. E badi bene, non soltanto da parte degli evangelici, ma anche della chiesa cattolica.
In Brasile abbiamo ancora una parte progressista interna ai cattolici, ma la sua controparte conservatrice sta crescendo ed anche questa ha usato come gli evangelici i social network come arma di disinformazione e di orientamento del voto. Poi ovviamente sono stati ripresi i soliti clichè del fatto che avrebbe vinto il comunismo e che quindi avresti dovuto dividere con gli altri tutto quello che avevi. Poi c’è la battaglia contro il marxismo che sarebbe stato imperante nel paese. Poi c’è lo spauracchio che saremmo diventati come il Venezuela. Infine, quello più surreale se vogliamo, il fatto che se avesse vinto il PT avrebbe controllato i media. Questo discorso si basava sul fatto che il PT aveva proposto una legge di riforma dei media che li avrebbe aperti alla concorrenza, rompendo quello che attualmente è uno dei veri problemi del Brasile ovvero la concentrazione nelle mani del gruppo Globo di tutto il potere mediatico o quasi, con quattro emittenti che di fatto controllano tutto. La grande sfida della sinistra, e qui non intendo il PT, sarà quella di tornare a parlare con i poveri e i meno agiati di persona, vis a vis, per rompere questo enorme flusso di disinformazione. E soprattutto, partire dalla difesa dell’istruzione pubblica che a quanto pare di capire sarà uno dei primi campi in cui Bolsonaro e i suoi vorranno agire. E’ già partita una campagna politica contro l’indottrinamento politico che i professori farebbero agli alunni..
Possiamo dire però che la crescita del consenso agli evangelici è anche dovuta al crollo del consenso nei confronti del PT? Sopratutto dopo i fatti del 2013. dei primi movimenti popolari contro il PT, dei problemi del modello di sviluppo del paese..
Leggevo prima un report di Latinobarometro che affermava proprio come fosse crollato il consenso popolare al governo negli ultimi sei, sette anni. E’ chiaro che non tutte le promesse sono state rispettate. Se da un lato la cosa ironica è che nel 2013 non c’era la crisi che abbiamo visto negli ultimi due tre anni, dall’altro lato è ovvio che se prometti coninuamente un welfare state da sogno e poi non lo realizzi rischi delle conseguenze. La gnte si è stufata di aspettare. Allo stesso tempo, c’è anche difficoltà nel capire le difficoltà di un paese come il Brasile. Il Brasile non è un paese ricco, ha la decima economia del mondo ma in termini di potere di acquisto siamo molto indietro. Si è diffusa una vulgata per la quale in Brasile senza corruzione avremmo uno stato e una società perfetti in ambito educativo, sanitario e cosi via. La realtà è di un paese ancora molto povero, in cui il modello sviluppista non ha funzionato ma dove c’è ancora una povertà davvero difficile da sradicare.
I media hanno anche utilizzato le proteste per tirare l’acqua al loro mulino. Quando c’erano le proteste contro Dilma, le narravano parlando del PT come del partito politico più corrotto della storia del Brasile, se non della storia del mondo! L’arresto di Lula pure è stato narrato in questi termini, e tutte le questioni sociali portate avanti, anche nei loro limiti, dal PT su scuola e sanità venivano legate a quanto avrebbero rubato nel frattempo.
Per molti quindi la corruzione e il crimine non sono sistemici, ma vanno addossati al’individuo. Si chiede alle istituzioni di lottare contro la corruzione, quando ovviamente sono le istituzioni nel loro complesso ad essere corrotte. Inoltre, il PT ha fatto grossi errori sia nello smettere di fatto di fare lavoro di base, nei luoghi più poveri, sia nell’aver lasciato crescere molto la violenza nelle aree periferiche senza impattare in maniera diretta con i grandi gruppi criminali.
Ci sono state grandi manifestazioni sul tema di genere dopo l’assassinio di Marielle Franco. In molti pensavano che l’unione tra donne, poveri e neri avrebbe potuto creare un’alleanza maggioritaria e vincente nel paese. Ma non è successo.
Negli ultimi anni c’è stato un aumento della rappresentanza nera nelle istituzioni e nelle amministrazioni. Marielle era parte di questo trend che si stava affermando nel paese. Ci sono grandi sforzi organizzativi da parte di donne nere nelle comunità ma anche nei grandi centri cittadini. Tanti collettivi, sia formali che informali, stavano sorgendo anche prima in risposta alla possibilità di un governo Bolsonaro. E’ ancora difficile capire cosa succederà in futuro, c’è grande agitazione sopratutto nelle principali università, dove ci sono dimensioni organizzative praticamente ovunque. Questo è un buon punto di partenza ma non basta. Sarà importante capire anche come si ristruttureranno movimenti come quello dei Sem Terra, che è di fatto il più grande movimento latinoamericano in termini numerici.
Infine, vi chiediamo se quanto sta succedendo tra Argentina e Brasile può essere visto anche come una nuova fase per il Sud America nel suo complesso. Ovviamente, sia per i movimenti che per la controparte.
E’ da vedere se ache su scala regionale, dato il trend reazionario in corso, si potranno dare nuove forme di relazione tra movimenti. Dall’altro lato, è chiaro, ci sarà anche una dimensione regionale della controparte. L’anno prosismo ad esempio in Bolivia si candiderà contro Morales un soggetto molto simile in termini di proposte a Bolsonaro. La mia speranza è che però un movimento come quello di Non Una di Meno possa essere capace di radicarsi in tutto il SudAmerica, anche perchè ovunque quello che è successo in Argentina sul tema dell’aborto potrebbe riproporsi ovunque. Anche in Brasile dove da diversi anni c’è un tentativo di restringere quello che è un diritto già molto limitato.
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