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Cartografia della collera

Il primo passo lo fanno loro, e restano sempre in prima fila: gli studenti, i laureati disoccupati e il proletariato giovanile, capaci di costruire, aprire ed intrecciare spontaneamente spazi di organizzazione, dai social network alle sedi sindacali, dalle assemblee di istituto ai comitati di quartiere, dalla discussione sulla barricata al seminario in facoltà. Avanguardia sociale dei movimenti, questa generazione di proletari nati guardando fisso negli occhi la crisi sta prendendo il coraggio a due mani per battersi per la libertà, la dignità e la giustizia sociale. E’ ovvio, ogni territorio ha la sua storia, le sue organizzazioni, la sua memoria, la sua specificità, ma che a rispondere per primi all’appello lanciato dalla rivoluzione in Tunisia siano quei giovani poveri, ricchi di saperi e capacità, ormai inizia ad essere qualcosa di più di una ipotesi facendosi strada come tendenza concreta di trasformazione. Mancano poco, ci stiamo avvicinando alle nuove giornate della collera lanciate dai movimenti in tanti paesi arabi, e quindi “Yalla!”, andiamo, e cerchiamo di fare una cartografia di parte, del movimento che viene.

 

Marocco

All’inizio è “la nayda”. Un movimento culturale che prende le mosse dalla musica rap e ghinawa-fusion, è “la sveglia” del proletariato giovanile marocchino da alcuni anni sempre più protagonista della vita sociale, culturale e politica del paese. Dalla musica all’arte, dallo slang ai comportamenti, la nayda ha svegliato le periferie e i centri delle città ed ora sembra iniziare a voler muovere i primi passi insieme alla società civile e le organizzazioni dell’opposizione radicale verso il 20 febbraio, giornata di mobilitazione e di lotta contro la crisi ed il regime. La monarchia ha fissato per la stessa giornata un corteo pro-corona autorizzando entrambe le manifestazione.

 

Algeria

Le rivolte dei primi di gennaio, e poi i tanti casi di suicidi e immolazioni di protesta contro “la mal vie” hanno fatto decidere alla società civile, ai sindacati e alle organizzazioni antagoniste al regime di organizzare una grande manifestazione ad Algeri il 12 febbraio. Il movimento punta il dito contro il regime che mantiene lo stato d’emergenza da anni contrastando con il pugno di ferro ogni tipo di espressione di dissenso e lotta. Eppure il conflitto sociale in favore dei diritti e della dignità è diffuso e consolidato ovunque, dai quartieri agli istituti superiori, dai cantieri all’amministrazione, la lotta contro la crisi e per una redistribuzione della ricchezza è al centro delle agitazioni e delle iniziative di polizia politica e celere. Giorni fa il regime ha annunciato le riforme e simultaneamente vietato e criminalizzato la mobilitazione del 12 febbraio. Oggi Algeri si è già svegliata in stato d’assedio militare con più di 30000 poliziotti disseminati ovunque nella città e tutti i treni con destinazione per la capitale sono stati bloccati. In risposta il coordinamento nazionale che ha organizzato la mobilitazione ha confermato il corteo in un clima di tensione altissima.

 

Tunisia

Nel fine settimana il movimento rivoluzionario in Tunisia ha fatto sentire al Governo di transizione la sua potenza politica e la forza della sua indignazione. Le piazze della Tunisia si sono sollevate ancora in protesta alla nomina dei governatori, annunciata dal primo ministro Ghannouchi, nella stragrande maggioranza provenienti dall’establishment dell’RCD, il partito di Ben Ali. In molti casi è bastato il presidio degli edifici dei governatorati per far scappare a gambe levate gli impresentabili governatori, in altri la piazza ha dovuto fronteggiare ancora una volta le pallottole della polizia che ha ucciso diversi manifestanti. Sono seguite iniziative di piazza a carattere insurrezionale che hanno costretto il governo di transizione a sospendere ufficialmente l’RCD, proibendo le riunioni e le manifestazioni pubbliche del partito e ordinando la chiusura immediata di tutti i suoi locali e proprietà. Intanto la milizia continua il suo lavoro terrorista e di provocazione contro il movimento attaccando le scuole superiori e i sindacati, e provando a saccheggiare piccoli negozi di alimentari del quartiere. In risposta iniziano a costituirsi i “Comitati di difesa della rivoluzione” i cui militanti sono ben visibili grazie alla sigla stampata sulla maglietta con al fianco, a volte, il ritratto del Che.

 

Libia

Gheddafi, il leader libico inizia a tremare dopo aver appreso che la collera si sta facendo strada anche in Libia e il movimento insieme alle opposizioni hanno annunciato che il 17 febbraio sarà una giornata di mobilitazione contro il regime e la crisi. Personaggio di spicco della reazione contro i movimenti nei paesi arabi, Gheddafi sembra essere pari solo al governo italiano e a quello israeliano. Estrenuo difensore dei suoi colleghi di Cartagine e del Cairo, ha recentemente attaccato il satellite da cui trasmette AlJazeera considerata emittente di non ben esplicitati interessi stranieri, e dopo aver aperto le frontiere della Libia alle tigri nere (le teste di cuoio fedelissime di Ben Ali) si prepara per contrastare con ogni mezzo l’emergere del movimento nel suo paese. Le lotte per il diritto alla casa e alcune città in rivolta si erano già fatte sentire nei primi giorni di gennaio, ma ora che i movimenti convergono su una data comune la preoccupazione è alta per il regime che si è già prodigato nell’arrestare giornalisti, artisti e attivisti solidali con la manifestazione.

 

Egitto

Falliscono per ora i tentativi di dialogo tra governo ed alcune organizzazioni dell’opposizione, e mentre la censura totale delle comunicazioni si allenta tutto il mondo inizia a venire a conoscenza di cosa è successo al di là di piazza AlTahrir su cui era concentrata tutta l’opinione pubblica mondiale. Scontri, cortei, esecuzioni in piazza, manifestazioni e presidi in tutto l’Egitto continuano a far salire il conto dei morti tra le fila del movimento ma che allo stesso tempo si scopre ancora più forte. In Piazza AlTharir, adesso che le opposizioni ufficiali sembrano vivere un momento di difficoltà, ad emergere, come altrove, c’è la composizione sociale del movimento, le sue organizzazioni nate spontanee tra social network e comizi in piazza, e adesso sembra che sia proprio il cuore della rivolta e della mobilitazione a dare l’indicazione politica allo sviluppo degli eventi. Confermando lo slogan strategico “Murabak vai via, andatevene via tutti” le iniziative prendo respiro e rilanciano la lotta puntando contro la tv di stato e la residenza presidenziale. A dare energia politica e forza al movimento, che è tornato a portare in piazza altri milioni ancora di manifestanti, si uniscono gli operai, i medici e gli infermieri, gli operatori dei cal center, e tanti altri settori produttivi che a catena iniziano ad incrociare le braccia in moltissime città dell’Egitto, anche al di là e in contrasto di quanto deciso dal sindacato ufficiale. All’ordine del giorno del dibattito dei lavoratori egiziani è in questo momento la creazione di sindacati autonomi che potrebbero divenire uno strumento per rinforzare le rivendicazioni originarie delle mobilitazioni e da sempre al centro degli interessi politici e di lotta del cuore della rivolte: ridistribuzione della ricchezza e abolizione del regime della crisi. Il 14 febbraio un nuovo venerdì della collera è già nella attese di tutti.

 

 

Iraq

Arriva a Bagdad la giornata della collera. Il 25 febbraio si fa appello “agli iracheni disoccupati, agli intellettuali, ai lavoratori, ai laureati delle università irachene e di quelle internazionali che sono diventati addetti alle pulizie, e a milioni di disoccupati, vedove, e orfani, di scendere in piazza per una enorme manifestazione il 25 febbraio, nel centro di Baghdad, in piazza Tahrir”. Ancora una Piazza della Liberazione anche per l’Iraq e la sua gente, che con il comunicato per la “rivoluzione della collera” ha fatto ben capire che è determinata a prendersela la sua liberazione: dagli eserciti occupanti e dai governi amici dell’Europa e degli Usa che fin ora hanno solo garantito un proficuo export di petrolio e povertà per la maggioranza degli irakeni. “Non siamo stati zitti abbastanza?”, si legge nel comunicato di indizione della mobilitazione che sembra voler dire al mondo che oltre alla pazienza in Iraq è finita anche la paura.

 

Iran

Mentre il regime rivendica e appoggia pubblicamente le mobilitazioni contro i regimi nei paesi arabi, parlando di rivolte islamiche contro i presidenti filo-sionisti, nega le autorizzazioni al partito d’opposizione per organizzare manifestazioni in solidarietà al movimento egiziano e tunisino. Ed è di questa mattina la notizia per cui un leader del partito dell’opposizione ufficiale Eternad-meli è stato posto agli arresti domiciliari fino alla data del 14 febbraio. L’onda verde fa a ancora sentire i suoi effetti al regime iraniano che per il 14 febbraio, anniversario della rivoluzione che cacciò lo Scià dal paese, non vuole avere sorprese dalla piazza che dalla solidarietà all’Egitto alla Tunisia potrebbe tornare a mettere in discussione il regime. Con o senza autorizzazione alcuni attivisti hanno comunque annunciato che il 14 febbraio manifesteranno nelle piazze dell’Iran e la pagina facebook che rilancia la mobilitazione, in poche ore ha raccolto migliaia di iscrizioni.

 

Yemen, Palestina, Giordania, Arabia Saudita, Siria, Libano, altri paesi dove la collera fa le prime prove tecniche di movimento, proprio come in Yemen dove già ha portato migliaia di manifestanti nelle piazze o in Giordania dove ha costretto il regime ad attuare immediate riforme… in ogni modo tutto fa pensare che siamo solo all’inizio.

 


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